Connect with us

Giornate degli Autori

“La salita”: intervista a Massimiliano Gallo

Intervista a Massimiliano Gallo, che alle Giornate degli Autori ha portato la sua opera prima da regista: “La salita”

Pubblicato

il

Massimiliano Gallo sul set

La salita è un film tutto all’insegna del teatro, della sua importanza e della sua potenza, a partire da un nume tutelare come Eduardo De Filippo. Ambientato nel carcere di Nisida negli anni ’80 e ispirato a una storia vera, La salita segna il debutto alla regia di Massimiliano Gallo. Il film è stato presentato nella sezione Confronti delle Giornate degli Autori all’82a Mostra del Cinema di Venezia, dove abbiamo incontrato e intervistato il popolare attore napoletano.

Quanto c’è di autobiografico in un film come La salita?

La storia è partita da Riccardo Brun, che ha pensato a questo soggetto ascoltando dei ragazzi di Palermo. Mi sarebbe piaciuto avere un rapporto più stretto con i detenuti del carcere di Nisida, ma girare lì avrebbe creato troppi problemi. Nella rappresentazione dei ragazzi, ho cercato di stare lontano dai cliché. Quando si parla di delinquenza, l’equazione è mostrare la feccia della società. Non m’interessava raccontare quello, tant’è vero che non si sa nemmeno perché i ragazzi stanno dentro, non volevo raccontare quelle dinamiche del carcere, ma che, anche all’interno di una comunità complicata come quella, può nascere bellezza. Volevo parlare di ragazzi che sono uguali ad altri ragazzi. Hanno sicuramente fatto delle scelte sbagliate che io, però, non volevo giudicare. M’interessava solo sapere se potessero avere un’altra possibilità. E, secondo me, l’arte in generale, la bellezza, sono gli unici elementi che ancora possono salvarci. Questo solo m’interessava raccontare.

In La salita compari nella scena finale, in un elemento molto metateatrale.

La metateatralità, e quindi un certo autobiografismo, c’è pure durante le prove dello spettacolo all’interno del film. Nel finale mi piaceva chiudere il cerchio di tutto quello che avevamo visto. In quei due minuti e mezzo di montaggio serrato, si capisce quello che è successo dopo. Un finale tragico e al tempo stesso salvifico, come può essere una cosa tragica. Volevo sparigliare le carte in quella sequenza, l’idea di non capire bene all’inizio dove stai, cosa succede, quanta conoscenza del mondo ti ha lasciato il teatro.

La salita

La salita

Dove avete girato La salita?

Anche quello è stato uno sforzo della produzione: abbiamo girato nell’ex Nato di Bagnoli, dove abbiamo ricostruito le celle e il cortile. Io non volevo andare in un carcere che non fosse Nisida. Ho preferito romanzare delle cose, quindi, per esempio, quel teatro abbandonato che si vede in La salita non c’è a Nisida.

Perché hai deciso di passare, dopo una lunghissima carriera di attore teatrale e cinematografico, dietro la macchina da presa per raccontare proprio questa storia?

Io credo che, in generale, quando si legge di un attore che fa il regista si pensa: ma non poteva rimanere a fare l’attore? È un passo che non bisogna fare per forza. Ha senso se, come in tutti i percorsi artistici, a un certo punto senti l’esigenza di raccontare qualcosa con il tuo occhio. Io l’ho fatto perché i ragazzi di Panama Film, Francesco Siciliano, Paolo Rossetti e Riccardo Brun, che ha scritto anche il soggetto, erano convinti di farmi fare questo passo. All’inizio ho detto di no, perché volevo capire bene se potessi sentirmi a mio agio in questa veste. Poi, pian piano, ci sono entrato, anche nella scrittura, dalla terza stesura in avanti. Alla fine, la cosa strana è stata che, sin dal primo ciak, ero molto tranquillo. Questo ha stupito anche me, perché era un film complicato, e ha dato a tutti una grande serenità.

C’è stato un cambiamento che hai portato entrando nella fase di scrittura di La salita?

Sì, il primo soggetto era ambientato ai giorni nostri. In realtà Riccardo Brun, a cui poi si è affiancato Mara Fondacaro, si è ispirato a cose che erano successe negli anni ‘80 e da lì è partito tutto un altro discorso, eliminando certe dinamiche delle vite in carcere. Anche il finale è cambiato. Tutto il progetto è mutato tanto via via che ci mettevamo mano. L’intero percorso è durato quasi un anno.

La salita

La salita

Cosa ti attirava di più della storia raccontata nella Salita?

Anche all’epoca, negli anni Ottanta, c’era il bradisismo e diciotto detenute del carcere di Pozzuoli furono spostate a Nisida, che non era attrezzata per accogliere le donne. In quel periodo arrivò Eduardo De Filippo, che fece un laboratorio di teatro con cui salvò tanti ragazzi. Il plot nasce da quello, da due fatti veri, che sono stati completamente romanzati. Pensavo che se avessi debuttato come regista, avrei diretto una commedia scritta da me, che sarei partito così. Alla fine, però, mi sono appassionato a questo progetto e siamo partiti.

Quanto è stata complicata la scelta del cast?

All’interno del cast, ci sono molti ragazzi che fanno qui la loro prima esperienza, però sono dei veri artisti. La forza del film, secondo me, è la tranquillità artigianale e la passione nel costruire una storia complessa.

Quali sono stati gli aspetti più difficili di questo debutto alla regia?

Gli aspetti più difficili sono stati legati al tempo. Ne abbiamo avuto poco, solo quattro settimane, per girare un film molto complicato, perché ci sono tante persone in scena, tanti attori da seguire. Era abbastanza complesso tecnicamente: non volevamo fare campo e controcampo, ma muovere la macchina da presa e c’erano tanti personaggi insieme ogni volta, non era facile. Poi si dice sempre: se avessi avuto una settimana in più… ma magari non si faceva niente di meglio, perché ci si rilassava, quindi, alla fine, va bene quello che c’è stato.

La salita

La salita

Quanto Eduardo De Filippo è una specie di fantasma per un attore napoletano? Sicuramente un padre e un punto di riferimento, ma anche una pietra di paragone ingombrante.

Eduardo De Filippo, per noi artisti napoletani, ma, credo, in generale, per tutti gli artisti, è un riferimento particolarmente impegnativo, perché, oltre a essere uno dei più grandi drammaturghi del Novecento, è stato anche uno dei più grandi attori. E avendo lasciato testimonianza di sé, perché è uno di quelli che ha capito prima di tutti la potenza del mezzo televisivo, registrando tutte le sue commedie, ha creato imbarazzo per ogni attore che lo va ad affrontare. Perché hai una testimonianza visiva di quello che faceva. Ma se dici che Eduardo non si può fare senza l’Eduardo attore, fai un torto all’Eduardo drammaturgo, l’autore italiano più rappresentato nel mondo. Questo significa che si deve fare con grande rispetto, capire quello che ha scritto e non cercare di cambiarlo. È interessante, secondo me, l’approccio che Mariano Rigillo ha avuto per interpretare l’Eduardo personaggio. Non ne fa mai l’imitazione, ma ne cattura lo spirito.

Hai conosciuto personalmente Eduardo De Filippo?

No. Mio padre, invece, ha lavorato come protagonista, insieme a Isa Danieli, nell’ultimo lavoro di Eduardo come regista, Bene mio e core mio, tra il 1983 e il 1984. Fu papà che andò a casa sua per conoscerlo. Quel che accadde lo racconto pure in uno spettacolo. Poiché Eduardo, giustamente, pensava che non poteva fare un provino a Nunzio Gallo, che era già famoso, lo invitò a casa e parlarono soltanto di musica napoletana. Arrivò la cameriera per portare un caffè, nella commedia c’era un riferimento al caffè, quindi Eduardo disse una battuta a mio padre, mio padre capì e rispose come il personaggio. Eduardo fece finta di niente. Poi, dopo tre ore che stavano parlando, mio padre chiese se dovesse fare un provino. Eduardo rispose: «Lo avete già fatto, dovete solo parlare con l’amministratore». Questo è il ricordo personale che mio padre mi ha trasmesso. Io ero solo un ragazzino ed Eduardo alla fine della sua vita. Lasciò che fosse Isa Danieli ad avere la possibilità di occuparsi concretamente di quella regia. Ci fu un suo intervento telefonico, doveva andare alla prima, ma non venne perché stava male. Lui disse «Buonasera» e settecento persone si alzarono contemporaneamente in piedi. Quella cosa mi è rimasta impressa: lui non c’era, nessuno si era messo d’accordo per alzarsi, ma settecento persone sono scattate nello stesso momento. È la dimostrazione di quando vai oltre l’arte e diventi un mito.

La salita

La salita

Pensando e girando La salita avevi già in mente i tuoi spettatori ideali?

A me piacerebbe che fosse un film popolare, che possa piacere a tutti, soprattutto che arrivi un po’ a tutti. Ho cercato di fare un film che avrei voluto vedere in sala, non mi sono preoccupato tanto dell’impatto sui critici cinematografici, perché altrimenti avrei dovuto fare scelte diverse, un altro tipo di film. Quando faccio teatro è per il pubblico, mettendomi al servizio di una storia: la stessa cosa vorrei accadesse con il cinema.

Dopo la prima regia teatrale ne hai fatte diverse altre. A La salita hai in animo di far seguire altri film da regista?

Io sono stato contento, perché abbiamo messo su una squadra di lavoro eccezionale e spero questa esperienza si possa ripetere.

Com’è arrivare con il proprio debutto alla regia direttamente alla Mostra del Cinema di Venezia?

È soprattutto una sensazione strana, perché ero già venuto qui con nove film, ma da attore. Da regista è qualcosa di completamente diverso!

Massimiliano Gallo