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Giornate degli Autori

Storia senza narrazione: la poetica frammentata di ‘Do You Love Me’

Un archivio che parla per frammenti

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DO YOU LOVE ME

Do You Love Me di Lana Daher, presentato nella sezione Giornate degli Autori a Venezia, è un film tanto frammentato quanto completo. Composto interamente da filmati d’archivio – che spaziano da lungometraggi, trasmissioni televisive, video amatoriali e fotografie – si oppone all’illusione di una narrazione lineare.

Insiste invece sul fatto che il disorientamento è parte del viaggio, che il Libano non può essere compreso attraverso un’unica narrazione continua, ma solo attraverso frammenti di memoria. Ciò che emerge non è il caos, ma un mosaico: giocoso, intimo, doloroso e luminoso allo stesso tempo.

Beirut come palinsesto cinematografico

Daher inquadra Beirut non come una città statica, ma come un palinsesto vivente di immagini. Il film ci permette di vedere il Libano della gioia – bambini che ballano, amanti che passeggiano, programmi televisivi pieni di glamour – e allo stesso tempo di confrontarci con il suo lato abissale: edifici che crollano sotto i bombardamenti, corpi portati via, vite distrutte.

La forma d’archivio è più di una decisione estetica; diventa un gesto politico. In una nazione senza un archivio nazionale, l’atto stesso di assemblare frammenti diventa conservazione, testimonianza e amore.

Giornate degli Autori in primo piano

Do You Love Me è stato proiettato nella sezione Eventi Speciali il 3 settembre alle 22:15 in Sala Corinto, durante la sezione laterale delle Giornate degli Autori a Venezia 82. Nota per la sua promozione di un cinema audace e d’autore, la sezione laterale ha offerto la cornice perfetta per l’omaggio amorevolmente erratico di Daher.

La fascia oraria di seconda serata ha riflettuto la qualità onirica e liminale del film: la natura come memoria e la memoria come architettura, il tutto pronto per un film che non si chiede “Cosa è successo?”, ma “Come possiamo tornare?”

 

Il gioco dell’intimità e della rovina

Nella sua forma più toccante, Do You Love Me dà pari importanza alla tenerezza del Libano e alle sue rovine. Le riprese non lasciano mai dimenticare allo spettatore quanto bruscamente l’intimità possa dissolversi in catastrofe. Un momento una famiglia condivide un pasto; quello dopo, il fumo oscura il cielo.

Questa oscillazione riecheggia le parole della regista sul vivere tra violenza e calma, fragilità e ricostruzione. Ciò che il film ottiene – al di là della documentazione – è un ritratto della psiche del Libano, dove la resistenza è sempre legata alla vulnerabilità.

Parallelismi tra le arti

Il linguaggio formale del film evoca inevitabilmente parallelismi, sia cinematografici che letterari. Il montaggio ricorda Sans Soleil di Chris Marker, dove memoria e geografia si intrecciano in immagini disgiunte che resistono alla chiusura. Eppure il tono di Daher è più intimo, più vicino a un diario personale scritto attraverso decenni.

Letterariamente, il suo lavoro richiama le strategie narrative frammentate di W.G. Sebald, dove le fotografie d’archivio entrano nella pagina come prove e fantasmi, radicando e inquietando il testo. In un registro diverso, i gesti del film verso la rovina e il ritorno riecheggiano la poesia di Mahmoud Darwish, che spesso scriveva dell’esilio e del doloroso richiamo della patria. Queste affinità collocano Do You Love Me all’interno di una più ampia tradizione artistica che intende la frammentazione non come debolezza, ma come verità.

 

La dolcezza del ritorno

Le parole quasi conclusive del film – “quanto è dolce tornare da te” – ne racchiudono l’essenza emotiva. Il ritorno non è letterale; È cinematografico. Attraverso filmati recuperati da fonti sparse, Daher e i suoi collaboratori rendono il Libano visibile a se stesso e a noi.

La dolcezza non deriva dalla nostalgia, ma dalla consapevolezza che, nonostante la distruzione, Beirut persiste, vibrante e ferita. Questo è un ritorno non a un passato stabile, ma a un presente commovente e sfuggente, dove storia e memoria si sovrappongono in modi incerti.

Resistenza attraverso la memoria

Ciò che Daher dimostra in definitiva è che la memoria stessa è una forma di resistenza. Creando un archivio cinematografico a partire da frammenti, rifiuta il silenzio imposto dalla cancellazione politica e storica. La giocosità del film – la sua gioia per la musica, la performance e la cultura popolare – impedisce che venga consumato interamente dal lutto.

Suggerisce invece che amare Beirut significa custodirne le contraddizioni: le risate dei bambini e gli echi degli spari, lo scintillio di una starlet televisiva e la polvere di un edificio demolito. Il film è un’elegia, ma anche una celebrazione.

 

Una lettera scritta per immagini

Nella sua portata, Do You Love Me è più una lettera d’amore che un documentario. Si estende attraverso settant’anni di memoria audiovisiva libanese, non per costruire una storia totale, ma per tracciare le vibrazioni di una psiche collettiva.

Per il pubblico al di fuori del Libano, il film apre una finestra su una cultura che ha sopportato troppa invisibilità. Per gli spettatori libanesi, è uno specchio – forse incrinato, ma luminoso – che riflette la propria resilienza.

Il cinema dell’appartenenza

Il film di Daher è notevole non solo per il suo contenuto, ma anche per la sua forma. Confidando nel potere dei frammenti, ridefinisce ciò che un cinema nazionale può essere in assenza di un archivio ufficiale. Il film diventa una casa a sé stante, una casa in cui Beirut può tornare e attraverso la quale Beirut può essere restituita al mondo.

Nella sua tenerezza finale, Do You Love Me suggerisce che il cinema stesso è un luogo di dimora: uno spazio in cui memoria, perdita e amore si intrecciano e dove, anche attraverso la devastazione, si può ancora dire quanto sia dolce tornare da te.

 

Do You Love Me

  • Anno: 2025
  • Durata: 75'
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Francia, Libano, Germania, Qatar
  • Regia: Lena Daher
  • Data di uscita: 03-September-2025