‘Don Vito Corleone’ : decostruire la figura del criminale
Marlon Brando ne “Il Padrino” usa il sacrale e il famigliare per costruire il nuovo gangster. Una figura che si muove negli affetti, dove il male diviene il nuovo bene
Il Padrino, il memorabile film di Francis Ford Coppola vincitore di ben tre premi Oscar nel 1973, vede come patriarca della famiglia mafiosa Don Vito Corleone interpretato da uno dei più grandi attori della storia del cinema: Marlon Brando. Il film cult proprio nella lavorazione con Brando ebbe una gestazione abbastanza complessa; la produttrice Paramount non voleva il grande attore nei panni di Don Vito Corleone, e solo l’insistenza di Coppola ci ha regalato una delle più intense interpretazioni dell’attore americano.
In occasione della 42esima edizione del Torino Film Festival dedicata a Brando per i 100 anni dalla nascita, approfondiamo la figura di Don Vito Corleone e de Il Padrino.
Clip Marlon Brando – Don Vito Corleone
Il nuovo gangster movie – Don Vito Corleone
Don Vito Corleone non è un uomo malvagio. Iniziano da qui Brando e Coppola per dar vita al mito. Attore e regista sono estremamente coraggiosi. Dopo anni a rappresentare la figura del mafioso come il cattivo della storia, losco e alla fine costretto alla resa, Il Padrino ha il merito di aver cambiato il genere nel suo impianto originario. Tutto comincia dalla famiglia ed è qui che Brando e Coppola si inventano un nuovo gangster movie. C’è una certa sacralità relazionale nel film e tutto conduce al legame indissolubile tra i componenti della famiglia. Alla fine la storia de Il Padrino non è la vicenda di una famiglia mafiosa, ma di come la comunità italoamericana ha abbracciato il sogno americano diventando quel sogno stesso. Don Vito Corleone prima di essere il padrino che scambia favori con la riconoscenza , temuto e rispettato, è un buon padre di famiglia. Brando/Corleone ci tiene affinché la famiglia resti unita.
La famiglia italoamericana
Redarguisce Sonny per le sue scappatelle fuori dal matrimonio, e preme per l’allontanamento di Michael dagli “affari”. Una scena epica, come quella all’ inizio del film nell’ufficio del boss, appare come un classico rito gerarchico tra chi comanda e chi deve ubbidire. Eppure non siamo in presenza di una riconoscenza; come un buon padre di famiglia il personaggio di Brando, rivolge fiducia e fedeltà a chi ripetutamente conferma il proprio amore, l’attaccamento alla famiglia Corleone. Non c’entrano i favori. C’entra uno dei temi fondanti de Il Padrino: la famiglia come assoluto collante degli italiani divenuti americani. Per il personaggio di Al Pacino il boss vuole un futuro in politica lontano dalla melma della criminalità, che si vedrà irrealizzabile per la faida con Sollozzo.
Seppur la figura di Don Vito Corleone viene costantemente tacciata di revisionismo criminale, come del resto accade a tutti i capitoli negli anni seguenti, la decostruzione del vecchio gangster movie e le origini del nuovo partono da una cosa semplice: il mantenimento della comunità famigliare. Un concetto poco esplorato in passato ma di cui Marlon Brando ne è il collante e l’assoluta forza generatrice.
Marlon Brando e il personaggio – Don Vito Corleone
Con quell’aria dimessa, imperturbabile, Don Vito Corleone inizia l’approccio al ruolo quasi in sottrazione. Gonfio in viso come un bulldog grazie alla geniale intuizione di Marlon Brando di indossare uno speciale apparecchio dentale. Il corpo pesante, intorpidito dalle movenze è l’involucro che serve a Brando per affrontare il suo personaggio ed entrarci dentro. Il geniale attore americano valuta l’esteriorità ingombrante che porta addosso come un mezzo per fare uscire l’anima del mafioso. Vediamo Don Vito indebolito nel fisico. Sentiamo il peso della criminalità attraverso quel corpo statuario ma affievolito dall’anzianità. Ed è nella fase di costruzione del personaggio, nell’iniziale percorso di Brando nel film, che il mafioso lascia il passo al padre di famiglia. Il cui fine è il lascito dell’unione e dell’armonia tra i figli.
Come si sa ciò non avverrà in quanto metà famiglia verrà disintegrata dalla faida con Sollozzo e Michael si trasformerà nella figura intermedia tra vecchio e nuovo gangster.
Ma concentrandoci sul Don Vito di Brando il fondamentale approccio che lo caratterizza è l’umanità. Nel ripulire i Corleone dagli aspetti prettamente criminali della malavita, Don Vito lascia un testamento. Quello di trasformare il male in bene, la mafia in un’attività redditizia. Cosa che il vecchio Michael Corleone cercherà di fare ne Il Padrino 3.
Le fasi della costituzione famigliare passano sempre dall’alterego di Brando. Il tentato omicidio, a cui Don Vito riesce a sopravvivere, attiva di certo il codice mafioso in Michael ma anche il dispositivo famigliare. Unendo la reputazione mafiosa con la protezione della famiglia. Tutto per Don Vito Corleone si riduce, inizia e ricomincia dalla e nella famiglia. “Un uomo che sta troppo poco con la famiglia non sarà mai un vero uomo” è un po’ il nocciolo identitario dell’immutabilità del rapporto parentale, che contiene responsabilità e senso del dovere.
Don Vito Corleone è la famiglia americana
E il nucleo famigliare per Brando/Don Vito diventa uno spazio isolato, un club esclusivo per i propri componenti; “Mai dire ad una persona estranea alla famiglia quello che c’hai nella testa” è una delle tante massime del frasario brandiano all’interno del film, che ci riconduce agli stilemi della liturgia mafiosa e di quella famigliare. Amare e rispettarsi in famiglia è tutto, sentimenti che rigenerano e tengono in vita la familia come primus inter pares. E il successore di Don Vito, il figlio Michael, sarà cosi fedele a questo mantra da sacrificare il fratello Fredo nel secondo film de Il Padrino.
Il metodo Marlon Brando
Marlon Brando anche con il suo Don Vito Corleone è stato la figura che meglio ha divulgato Stanislavskij e il suo metodo nelle produzioni hollywoodiane. Brando infatti non impersonifica il capostipite mafioso, lo scaricatore di porto o il seduttore americano trapiantato a Parigi. Marlon Brando è Don Vito Corleone. E’ Terry Malloy. E’ Paul. Brando pensa, agisce, desidera, esiste sul palcoscenico secondo le condizioni di vita del personaggio, e lo fa all’unisono con lui. L’attore di Ultimo tango a Parigi è riuscito a portare ad Hollywood un nuovo modo di recitare, approfondendo il tratto psicologico che caratterizza l’esperienza umana.
La prossemica di Marlon Brando
Proprio come fa il suo Don Vito rendendo umana e positiva una delle tipologie criminali più cruente: la mafia. la leggenda premio Oscar fa dell’espressività la sua dote maggiore, consumando il personaggio, annientandolo e riproducendo un’altra versione del Brando uomo. Riesce ad entrare con quello sguardo fulminante dentro la scena, la fa sua in pochi istanti. E guardando il suo interlocutore rende tutto assolutamente realistico. Vero nel momento in cui lo sguardo pensa la battuta prima di dirla. Attivando la prossemica del volto prima del suono della voce.
Il Padrino ha rappresentato una nuova rinascita per Marlon Brando, decaduto dopo il periodo ’60. Ma è impensabile pensare all’immortalità del cult di Coppola senza l’apporto di Brando e del suo Don Vito. Forte ma mai spietato, umano ma non fragile. Marlon Brando rivista il genere gangster facendo del boss mafioso che interpreta il Padrino per eccellenza.
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