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Interviews

‘Nest’ di Hlynur Pálmason, su MUBI c’è aria di Berlinale: in esclusiva il regista

Il regista islandese di "Godland" parla del corto, disponibile su MUBI, girato coi figli e selezionato nell'edizione 2022 del Festival di Berlino

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Nest, ragazza che guarda verso il rifugio sopraelevato mantenendo un bastone

A guardare Nest, a fissarlo, irretendosi nella camera fissa in 35mm sul gruppo di ragazzotti (una ragazza e due fratelli) che allestisce nel corso dei mesi un rifugio-nido sopraelevato per i propri giochi – questo, troppo facilmente, verrebbe da pensare: che il corto del regista islandese Hlynur Pálmason, in selezione alla Berlinale nel 2022, sia un trastullo cinematografico. Un gioco, o divertissement, girato in beata indolenza e pericolosamente scarno di contenuti come di mezzi. Ma sarebbe un errore: guardare su MUBI per credere. Corto domestico sì, ma non addomesticabile nella facile definizione del film a corto di idee. Peggio ancora, osservando come sia stato girato durante la pandemia, se si annidasse nella testa di qualche spettatore l’idea dell’operetta da transizione.

Tanto è vero che, quando chiamo Pálmason e gli chiedo di rilasciare in esclusiva qualche nota sul film, disponibile su MUBI per un perfetto amarcord dell’incipiente Festival di Berlino, il regista mi risponde: “Sarò sempre a disposizione per sostenere Nest: è un film che mi è molto caro”. Come avevano d’altronde intuito a Berlino: premiandone la lirica del day-by-day, la poesia atemporale del flusso di immagini, la sperimentazione linguistica persino nel movimento azzerato, la bellezza minimale dello sguardo genuino che il regista getta, invisibile, sui tre figli-attori. È un piccolo gioiello che può essere caro anche a tanti spettatori e amanti di cinema. Pensando a questi ultimi, abbiamo chiesto Hlynur Pálmason di regalarci qualche parola di presentazione di Nest.

Il trailer di Nest

La trama di Nest

Avendo improvvisamente a disposizione un anno da passare con i figli, il talento emergente Pálmason ha creato un proprio microcosmo utopico. Catturando l’alternarsi delle stagioni in 35 mm, Nest è una meraviglia sensoriale arricchita dall’energia sfrenata dei giovani protagonisti. (Sinossi ufficiale da Mubi)

Note critiche

I bambini si guardano

In principio era il legno. Questo si vede nel campo in 4:3 di Nest. Al format, saporosamente proto-cinematografico, quasi lumièrano, resteremo inchiodati per altri 22 minuti, osservando i tre giovani protagonisti che schiodano e incastrano i pezzi del loro rifugio, sorta di palafitta su terraferma, o casa sull’albero senza l’albero. Il regista Hlynur Pálmason – loro padre – li segue nella recita dell’impresa, rilassata e monellesca, antidoto alla noia in tempi di pandemia. E il tempo passa, eccome: 18 mesi condensati nel flusso cinematografico, con la meraviglia da vera e propria wunderkammer delle stagioni che passano – cartoline su cui alita il vento, si accendono aurore, si inspessiscono le brume notturne, scrosciano piogge nel silenzio.

È stata la terra di Dio

Chi abbia visto Godland (in sala in Italia da gennaio 2023, a Cannes nel 2022, Un Certain Regard) non potrà fare a meno di cogliere analogie con l’apprezzatissimo ultimo lungo del cineasta islandese. In Godland, le riprese in più tempi della carcassa di un cavallo suggerivano un’analoga ricerca sul tempo che, scorrendo, diventa più astrazione che scansione, dimensione che assorbe in gorgo anche l’umano.

Godland, carcassa di cavallo vista dall'alto

Godland, il cavallo che apparirà più volte nel film in diversi stadi di decomposizione

Un’affine tendenza straniante, ma di tipo spaziale, si rinviene anche nel precedente A White, White Day (2019, premiato al Festival di Torino). Sia pure eleggendo una stagione in particolare – l’inverno – vi si cercava nell’immagine di paesaggio una densità ineffabile, un mistero di un qui e ora che si rinnova e si perpetua. Mi spiegò in un’intervista sul film lo stesso Pálmason: “Stavo lavorando su una serie fotografica che si chiamava A White Day e m’interessavano soprattutto quei momenti dell’inverno in cui nevica, c’è vento e infuriano tempeste di neve. Volevo fotografare il paesaggio, gli esseri umani e gli animali durante queste tempeste. Quello che ne ho ricavato è una serie di negativi molto bianchi, senza alcuna informazione visiva: c’era solo il bianco”.

Orizzonti di gioia

In Nest, c’è un equilibrio affascinante, mistico e ludico insieme: la metafisica del tempo che passa, la freschezza presente e viva, istantanea su istantanea, dei ragazzi che improvvisano, giocano, bighellonano. In miracoloso equilibrio, la terra di Dio e il calendario umano. A volte si affaccia solo uno dei tre figli del regista, altre comprare un tandem. In alcuni momenti l’ellissi temporale lascia intuire che sia successo qualcosa, che i lavori siano forse avanzati; in altri, viceversa, sta per succedere qualcosa. Ma poi, l’astuto montaggio – delicato a gestirsi su filmato in camera fissa – si congela un attimo prima dell’eventualità. Come quando uno dei tre bambini cade dalla piattaforma: tranquilli, non toccherà terra, non cinematograficamente. Diversi minuti dopo nel racconto – nella storia sono diverse settimane a seguire – lo rivedremo e capiremo al volo cosa sia successo.

Nest, bambini sulla casetta in costruzione

Nest, bambini sul rifugio in costruzione

C’è dunque una trascendenza cosmica, nell’orizzonte che fa da sfondo a Nest; e un’immanenza semplice e selvaggia, risolta nello sguardo sul dettaglio, sul fugace, sulla presenza disinibita dell’infanzia, la sua joy de vivre, financo la sua assenza. È come se Malick e Truffaut si fossero incontrati in una landa scandinava, tra la vita calda come la lava e il tempo che tutto ghiaccia inesorabile. Per catturarne l’energia, bisogna vedere Nest. Bisgona, con pazienza, asseconda l’attenta carpenteria cinematografica che accompagna la carpenteria fisica dei protagonisti. Ci siamo intanto fatti dire qualche considerazione dal regista per riscaldare lo sguardo.

Le dichiarazioni di Hlynur Pálmason su Nest

Perché questo film ti è così caro?

Credo che tutti i miei progetti mi siano cari, perché li faccio con molte delle persone che mi piacciono: amici, familiari. Ci passo del tempo, ci metto tutto l’impegno che posso. È così che si creano le cose che poi ti stanno a cuore. Nest, in particolare, è molto personale. Il film è stato girato appena fuori casa nostra. Riguarda il tempo che trascorriamo insieme, io e i miei tre figli. È stato come creare qualcosa insieme, rilanciando idee, giocando, divertendoci. Per me, dunque, è doppiamente caro perché è anche tempo in famiglia. E questa, sai, è la cosa probabilmente più preziosa al mondo.

Come si inserisce Nest nella tua traiettoria artistica? Penso, ad esempio, ai tanti collegamenti con il bellissimo Godland per quanto riguarda il tempo, la natura e l’uso del 35mm.

Nest è un film girato con tanti brevi spezzoni. Ne avevamo anche per A White, White Day, e sembravano  piccoli cortometraggi. Avevo dunque tutto questi pezzi di pellicola, a cui si aggiungevano quelli che avevo ordinato per girare Godland (che infatti è nello stesso formato) e che ho usato anche per Nest, lavorando in parallelo sui due film. Questa è una cosa che mi piace fare: lavorare in contemporanea a lunghi, corti, videoinstallazioni, dipinti, fotografie. Operando in parallelo, troverei difficile un lavoro su formati diversi. Ecco perché ne scelgo uno che valga, allo stesso tempo, per  più progetti in simultanea.

Tutto ciò che sto riprendendo in questo momento è in Academy Ratio 1.3.3 (formato classico cinematografico dagli anni Trenta fino ai primi anni Cinquanta, n.d.R.), che dunque risulta il medesimo in Nest e Godland, sia pure con qualche differenza, perché in questi ultimi ho effettuato le riprese con una specie di cornice nera intorno all’immagine. Credo si adattasse bene sia alla sensazione nostalgica di Nest, sia alla fotografia a lastre umide di Godland (in Godland, ambientato nell’800, il protagonista scatta delle foto usando la tecnica corrente per quel tempo, con lastre umide a impressione, n.d.R.).

Godlland

Godland, Padre Lucas (Elliott Crosset Hove) col proprio equipaggiamento fotografico

Oltre allo straordinario lavoro di montaggio, nonostante l’uso di inquadrature statiche, c’è tanta armonia e tanta bellezza in ogni singolo fotogramma. A volte sembra che i tuoi figli compongano quasi una coreografia. Mi chiedo, quindi, se hai assecondato semplicemente il flusso di quanto accadesse o hai provato a direzionare in qualche modo l’interpretazione dei giovani attori.

Si è trattato di una vera e propria esplorazione. Ho davvero avuto la sensazione di voler fare qualcosa di diverso. Credo di aver sempre avuto una sorta di conflitto costante con la narrazione. Non parlo di un conflitto negativo, ma creativo, volto a capire quale tipo di narrazione mi interessi. È qualcosa che mi viene spontanea e mi fa sentire meno impostore nel lavorare. Penso di avere ancora molti tipi di racconto che mi interessano e vorrei approfondire, così come diverse forme cinematografiche. Voglio sempre fare in modo che la narrativa si adatti alla forma e viceversa. In questo senso, Nest è un’estensione di ciò che ho esplorato finora riguardo i limiti della narrazione: fino a dove posso spingermi?

E in Nest fino a dove ti sei spinto?

Non fino al documentario, perché c’è molto di fittizio; fino al personale sì, ma non fino al privato. È come sei i miei figli fossero attori nel mio film. In diversi momenti durante le riprese ho sentito che il corto non sarebbe potuto consistere solo nelle scene spontanee o di gioco. Non era abbastanza, non funzionava. Nest aveva bisogno di quegli aspetti intuitivi e spontanei, ma essi soli non potevano reggere l’intera opera. Ho dovuto pertanto mescolare la realtà con la finzione creando una sorta di equilibrio. Il film gioca proprio con questo equilibrio.

Equilibrio in tutti i sensi: ci sono molte scene in cui i tuoi figli sembrano sul punto di cadere. È una forma sottile di tensione che pervade lo spettatore: alla faccia della staticità.

Io ho sempre questa paura profonda che cadano. Per me è naturale scrivere una scena in cui uno di loro cade. Si tratta come di filmare qualcosa, cominciare a guardarlo, reagire a quel materiale filmato e quindi continuare a scrivere per finire il progetto. È un processo che mi interessa molto. Cerco di iniziare le riprese il prima possibile, proprio in modo da avere qualcosa a cui “reagire” per girare di nuovo, e così continuare a scrivere. Faccio sì che riprese e sceneggiatura si influenzino a vicenda.

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Nest

  • Anno: 2022
  • Durata: 22'
  • Distribuzione: MUBI
  • Genere: Cortometraggio
  • Nazionalita: Danimarca, Islanda
  • Regia: Hlynur Pálmason