Presentato in anteprima all’ultima edizione del Trieste Science+Fiction Festival e in uscita su Sky dal 20 giugno, Il nido vede Blu Yoshimi protagonista di una storia che trasfigura la realtà con venature horror e apocalittiche. Del suo debutto nel cinema di genere abbiamo parlato con l’attrice impegnata sul set de Il sole dell’avvenire, il nuovo lungometraggio di Nanni Moretti.
Blu Yoshimi prima de Il Nido
L’ultima volta che ci eravamo sentiti avevi detto dell’importanza di continuare a studiare perché oltre al cinema esiste anche la vita. Oggi ti sei laureata al DAMS e hai iniziato a scrivere soggetti cinematografici.
Sì, esatto. Mi sono laureata da poco e ho già iniziato a scrivere.
Mi sembra il segno della volontà di non aspettare l’occasione buona, ma di prendersela con le proprie mani.
Sì, hai colto nel segno! È un lato della mia personalità quello che mi porta inevitabilmente a fare questo. Non tolgo nulla alla recitazione anche perché non si tratta solo di uno studio teorico, ma prevede un’esperienza sul campo che si può fare soprattutto come attrice. Di solito assume la forma di workshop che vanno dal lavoro sulla maschera a quello sul corpo, dalle lezioni di canto a quelle di ballo. In definitiva è come se mi stessi costruendo il mio bagaglio di esperienza. La laurea invece colma i miei bisogni più intellettuali: ci tengo a dire che l’argomento della tesi verteva sugli esordi femminili nel cinema italiano contemporaneo. Tra le altre ci sono Maura Delpero (Maternal, ndr) e Laura Samani (Piccolo Corpo, ndr).
Figure femminili nel cinema italiano
All’interno delle mie conversazioni anche io ho fatto lo stesso percorso nella convinzione che siano loro la vera novità dell’ultimo cinema italiano. Tra queste includo anche l’ultima arrivata, e cioè Michela Cescon, regista di Occhi Blu.
Sono d’accordo con te. Queste autrici portano nel cinema due elementi di novità: parlano della questione femminile che fin qui è stato un terreno poco esplorato. In più lo approfondiscono con il punto di vista di una regista.
Per quanto riguarda la scrittura di soggetti cinematografici, è qualcosa che mi appartiene caratterialmente, anche come conseguenza degli anni passati a leggere e interpretare sceneggiature. Nel frattempo come regista ho già realizzato un teaser e un videoclip, dunque il percorso è già avviato pur non sapendo bene dove mi porterà. Per adesso non mi pongo aspettative e prendo tutto come una call to action, per dirla in termini di sceneggiatura.
Oltre a Il Nido, Blu Yoshimi con Nanni Moretti
Questo aspetto del tuo carattere ha molti punti in comune con quello di Nanni Moretti con cui stai lavorando proprio in questi giorni. Anche lui a suo tempo rispose alla crisi del cinema italiano auspicando che ognuno si sentisse parte in causa facendo qualcosa di concreto per riuscire a creare nuove opportunità. In questo senso è come se tu stessi seguendo la sua lezione.
La passione per la scrittura è nata dopo un provino in cui mi avevano richiesto di fare la fidanzata. Ne sono uscita arrabbiata perché non potevo credere mi avessero indicato per tutto il tempo di annuire senza proferire parola. So fare tante cose, ma questa no. Da quel momento in poi la scrittura è diventata il tramite per riconoscermi in alcuni personaggi; un po’ per volta mi sono resa conto che riuscivo a raccontare storie di un’umanità molto variegata. Succedeva quello che di norma accade nella recitazione perché un attore preparato e consapevole sa che interpretare significa raccontare una storia: la scrittura è solo un altro strumento con cui farlo.
Fin da giovanissima mi hai dato la sensazione di essere un’attrice molto consapevole della macchina cinematografica e il corso di studi proposto dal DAMS credo abbia accresciuto questa predisposizione. In termini pratici penso che tutto questo possa aiutarti anche davanti alla mdp. Giorgio Tirabassi, per esempio, mi diceva che la conoscenza dello strumento gli permetteva di intuire i movimenti della mdp, agevolando il regista nella realizzazione delle sequenze.
La teoria senza la pratica rimarrebbe fine a se stessa. È perciò necessario tradurre lo studio in esperienza. Per un’artista è ancora più indispensabile perché ogni progetto è caratterizzato da una fase di forte studio e preparazione che però diventa lettera morta se non riesce a trasformarsi in vita.
Blu Yoshimi ne Il Nido
Per iniziare a parlare de Il Nido vorrei partire dalle prime sequenze che ho trovato molto interessanti per il diverso rapporto che hanno nei confronti del sistema mediatico. La prima scena è un vero e proprio spot in cui a venire reclamizzate sono le qualità del rifugio che dà il titolo al film. Nel corso della storia toccherà a cellulari e computer svolgere una funzione simile. Da una parte, ed è il caso dello spot, i media sono ingannevoli e manipolatori: dall’altra ci sono i cellulari e gli iPad che invece risultano portatori dei sentimenti più intimi della protagonista. Nella ricerca del tuo personaggio hai tenuto conto di questo aspetto?
Sì, è vero. La tua è una bellissima osservazione per cui ti ringrazio di questa domanda. Nel film c’è una forte manipolazione delle informazioni perché quelle ricevute da Sara sono tutte filtrate da Ivan, il custode che in qualche maniera deciderà la sorte di questa ragazza. Il tuo punto di vista sul film è molto appropriato perché intercetta una problematica attuale, quella di una polarizzazione mediatica che rende molto faticoso distinguere la verità: con le fake news, il giornalismo sempre più soggettivo e con un’informazione spesso filtrata è difficile arrivare al cuore del problema. Attraverso i social si cerca di dare voce a più persone possibili, però allo stesso tempo c’è anche una grande confusione che ha scatenato la rabbia derivata dal fatto di non aver capito niente. Che poi è la stessa che prova Sara all’interno del nido: una frustrazione figlia dell’essere in balia delle decisioni altrui.
Il rapporto con i media ci dice di come Il Nido pur calato nei codici di genere sia comunque in grado di ragionare in maniera critica sulla realtà del nostro tempo.
Il genere riesce a farlo di più e meglio, nel senso che certe storie più sono folli e più sono in grado di raccontare la realtà per quello che è. Il fatto che il film sia stato scritto più di cinque anni fa e che poi prima di girare abbiamo dovuto cambiare il copione perché in parte si trattava di una storia già successa ti fa capire quanto la realtà superi l’immaginazione. L’importanza del film è data anche dal fatto di trasfigurare i tanti episodi di violenza domestica, o comunque situazioni casalinghe difficili occorse durante il periodo della chiusura pandemica. È stato un lockdown della borghesia, dei privilegiati che potevano stare a casa a fare yoga e a studiare perché avevamo soldi da parte. Non dimenticarlo può essere un’occasione per vedere delle cose che magari fin qui non abbiamo guardato. Oggi è il primo giorno in cui si può entrare in sala senza mascherina, ma i teatri i cinema e le scuole sono stati gli ultimi a farlo. Non posso sapere le motivazioni politiche e i ragionamenti che sono a monte di queste decisioni. Tendo a fidarmi di quello che viene fatto però penso anche che in tutto questo sia un sintomo di qualcos’altro. Ci siamo poco preoccupati della salute mentale degli studenti, dei giovani, degli under trenta; le questioni più importanti dal punto di vista umano un po’ ce le siamo dimenticate. Da una parte mi rendo conto che era difficile gestire la situazione per una miriade di problemi: d’altro canto penso si debba cogliere l’opportunità per guardare in faccia questa roba, altrimenti resterà solo un brutto trauma. Prendiamoci il tempo per guardare e capire quello che succede, osserviamo, cerchiamo di capire. Sono dell’idea che a volte bisogna fermarsi a osservare e parlare delle cose, confrontandosi uno con l’altro nell’ottica di dare il giusto valore a quello che sta succedendo.
Le tematiche
Rispetto al tema della manipolazione è interessante il modo in cui il film lo fa emergere: rispetto allo spot in cui il tutor è accanto a madre e figlia la realtà della storia sostituisce quel triangolo con un rapporto più stretto e sfalsato in cui la manipolazione è innanzitutto visiva. Facendo riferimento alle immagini iniziali la funzione di Ivan appare ambigua, sempre a metà strada tra l’essere una figura istituzionale, addetta alla cura degli ospiti del bunker e l’incarnare una sorta di surrogato familiare. La manipolazione è anche quella di non riuscire più a distinguere tra vittima e carnefice, incarnando Ivan e Sara entrambi le possibilità.
È così. Secondo me esiste un interscambio tra i due protagonisti. Entrambi hanno dei bisogni non soddisfatti di cui l’altro può prendersi cura. Il problema sta nel fatto che Ivan e Sara si incontrano nell’oscurità tipica di qualsiasi tipo di relazione tossica o comunque di manipolazione. Il nido è la metafora di come una violenza – in questo caso di tipo psicologica -, può segnarti. Qualsiasi sia l’esito del viaggio, Sara si porterà per sempre addosso i segni di questa malattia. In questo senso il virus diventa il segno visibile di qualcosa che è già rotto dentro. La patologia di cui soffre la ragazza è l’espediente per far emergere ciò che si nasconde dentro la nostra anima.
La prima scena, quella in cui ti vediamo cadere al termine di una fuga disperata, è emblematica di un film in cui è richiesta una performance fisica e non solo emotiva.
Sì, assolutamente.
Per la sua tipologia Il nido rappresenta una novità nella tua filmografia.
Sì, per me è il film della mia maturità d’attrice perché ha messo insieme diversi aspetti di me: non solo in termini di studio e d’ esperienza ma anche di qualcosa che non avevo mai fatto. È stata una prova super impegnativa per cui sono molto contenta che questo si riesca a vedere. Il mio lavoro è stato quello di darmi la libertà e la fiducia necessaria per far uscire il lato oscuro di Sara e vedere come potesse operare anche a livello fisico, vocale, espressivo, emotivo.
A che genere appartiene Il Nido con Blu Yoshimi?
In termini di genere Il Nido ha caratteristiche che potrebbero farne uno Zombie Movie, un film d’azione ma anche un thriller psicologico. Il comune denominatore era la presenza di una tensione implosa che avevi il compito di alimentare in uno spazio chiuso e rarefatto nel quale erano soprattutto la gestualità del corpo e le espressioni del volto a renderla reale. La sfida era alta.
Una sfida enorme anche per la fiducia che mi sono data nell’affrontarla. La stessa che poi ho sentito nei confronti di Mattia Tamponi (regista del film, ndr) e di tutti i reparti del film. Fare Il nido mi spaventava perché non sapevo dove mi avrebbe portato, cosa che non so mai prima di iniziare un nuovo lavoro. Ogni volta mi piace lasciare uno spazio in cui non ho più il controllo delle cose e in questo caso è successo ancora di più. Ne Il nido la sfida era aumentata dal fatto di girare in una lingua diversa dalla mia.
In questo caso sei stata chiamata a recitare la paura.
Il coraggio è stato quello di essere disposti ad avere paura, cercandola in tutti quei posti che te la scatenavano. Conosco molto bene la manipolazione per averla subita in prima persona dunque per me si è trattato di un percorso catartico fatto assieme al mio personaggio. La manipolazione fa paura quanto ti accorgi di averla subita e laddove ti rendi conto che avresti potuto essere tu il carnefice.
Quindi in Sara hai fatto entrare anche tue esperienze personali?
C’è molto del mio vissuto ma anche di ciò che avrei voluto vivere perché Sara rispetto a me è una ragazza con un carattere molto più rock. Attraverso di lei mi sono permessa dei comportamenti che nella vita non ero riuscita ad esprimere.
I due personaggi
Il rapporto tra Sara e Ivan è all’insegna dell’ambiguità. Ciononostante sia la regia che la recitazione sono rimaste sempre rigorose. Non avete mai ceduto ad alcun compiacimento voyeuristico. Il film riesce a trasmettere la paura dei personaggi senza sovraesposizioni di tipo sessuale.
Sono d’accordo. Secondo me la forza del film è di farti vivere insieme a Sara l’essere vittima della manipolazione. Nella storia capiamo perché la violenza domestica fatica ad essere denunciata. È come se il cervello non ne recepisse i segnali facendoti rimanere incastrato in quel comportamento perverso. Avere anche solo la consapevolezza di quello che ti sta succedendo richiede una forza spropositata. Mattia ha fatto un lavoro enorme, ascoltando e confrontandosi con gruppi femministi. Molte frasi del film sono quelle che vengono spesso usate in situazioni di abuso psicologico e di manipolazione. C’è una scena in cui Sara si toglie gli abiti per bruciarli e si deve mettere la divisa. Prima di farlo Mattia mi disse: “forse quando ti togli la maglietta si potrebbe far vedere il seno” e io: “secondo me invece è più forte se qui non si vede”. Avere un regista che ti ascolta genera quella fiducia di cui ti parlavo.
Ci sono molte scene in cui tu sei inquadrata mentre ti guardi allo specchio. In quei frangenti è il corpo a parlare al posto tuo facendo intravedere una fatica e uno sfinimento reale. A differenza di altre volte appari emaciata e dimagrita.
Per questo devo ringraziare le truccatrici Ilaria Zampioli e Francesca Antonetti ma anche la dottoressa Cecilia Colombelli, la nutrizionista che mi ha aiutato con una dieta molto faticosa da attuare. Io sono piccola di corporatura ma il mio intento era quello di arrivare ad avere questo aspetto un scavato e scarno.
I passaggi per Il Nido
In soli due film, Like me Back e Il Nido, Blu Yoshimi dimostra la capacità di lavorare sul corpo per adattarlo alle caratteristiche del personaggio. Nel primo eri più in carne, in questo succede l’esatto contrario. La trasformazione è netta.
La trasformazione del corpo a me diverte anche se in questo caso ho fatto una fatica allucinante perché dovevo mangiare pochissimo. Il trucco è stato fondamentale per esaltare ancora di più la mutazione corporea.
Il Nido è un esordio nel cinema di genere ed è tanto più importante perché ti può aprire nuove possibilità lavorative.
Me lo auguro. Non sono mai stata chiusa al genere. Penso che a esserlo sia più l’industria anche se adesso stiamo vivendo un periodo cinematografico interessante, in cui c’è tanta voglia di sperimentare. Sono consapevole delle differenze con il cinema d’autore ma molto dipende dall’atteggiamento che hai. A me piace tanto cambiare, come attrice sono sempre molto curiosa di sperimentare cose diverse.
Peraltro oggi succede sempre di più come nella New Hollywood in cui i grandi autori partono dalle forme di genere per raccontare le propria visione del mondo.
Capita anche oggi. Basta pensare a Quentin Tarantino che si è ispirato a Sergio Leone. Peraltro il genere è una forma di cinema che ci appartiene, solo che a volte ce lo dimentichiamo. Mi ricordo a Venezia le critiche ricevute per Piuma, colpevole, secondo gli addetti ai lavori di non rientrare nei canoni della commedia standard ma neanche nel dramma.
La preparazione di Blu Yoshimi per Il Nido
Mentre ora stiamo andando in una direzione in cui la mescolanza dei generi rende sempre più difficile fare distinzioni di questo tipo. La tua recitazione come si è adattata ai codici di genere? Penso tu li abbia studiati tenendone conto nella tua interpretazione?
Assolutamente. Per me la fase di ricerca è la fase preliminare di tutti i progetti nel senso che per qualunque cosa ho bisogno di ricercare per capire. Qui sapendo che stavamo affrontando il genere la prima cosa è stata di guardarmi più film possibili, anche i più recenti come Midsommar di Ari Aster e altri horror d’autore. Tutto questo senza prescindere da una verità di base che esula dai codici e si rifà alla realtà. Quest’ultima mi ha permesso di considerare Sara non solo come un mostro ma anche in quanto persona.
Alla studiosa di cinema propongo uno tra i tanti riferimenti presenti nel film, quello de L’esorcista, rintracciabile nella sequenza in cui ti vediamo dimenarti nel letto a cui sei legata. L’avevi in mente oppure no?
Nella sceneggiatura mi è parso un riferimento molto diretto, quindi sì. L’esorcista è stato sicuramente tra i film che ho rivisto per rinfrescarmi un attimo la memoria su cosa vuol dire avere paura. È stata una scena che mi ha sorpreso tantissimo nel senso che è una di quelle cose a cui non arrivi con la mente ma che sperimenti sul momento.
Hai parlato di una scena più vissuta che pensata. Volevo capire se è stata anche il frutto della crescita emotiva a cui hai portato il tuo personaggio attraverso le scene precedenti?
Hai ragione nel dire che la sequenza è stata il frutto del percorso compiuto dal personaggio all’interno del film. Ma c’è anche il fatto che il mostro che è dentro Sara non l’abbandona mai per cui ci sono momenti nei quali deve essere lasciato più libero, altri dove è la capacità intellettuale a doverlo controllare. Dunque in quella scena la perdita di controllo è stata reale.
Ti sei mossa tra istinto e ragione.
Esatto. Nella preparazione al ruolo il mostro c’era in ogni scena, solo che in alcune doveva essere più presente delle altre. Però quello era il punto di partenza.
D’altronde Sara, al di là dell’istinto primordiale stimolato dal virus, dimostra di essere sempre consapevole di quanto le accade. Dunque come persona anche lei è divisa tra istinto e ragione.
Sì, assolutamente vero.
Un’altra scena
L’altro riferimento che ti volevo proporre si ha nella scena in cui all’interno del bunker scatta l’allarme e tu appari con indosso una tuta. In quel momento il primo piano a mezzo busto è molto simile a quella di Ripley in Alien. Il taglio di capelli, l’espressione del viso ma anche il contrasto tra luce e ombra ricorda il personaggio di quel film.
Ma dai, pazzesco, questo, devo essere sincera, non l’avevo notato. La forza, è un aspetto che gioca a favore della storia, nel senso che a volte ti chiedi se è Sara ha essere così difficile caratterialmente o se invece è la malattia a farla reagire così. Lei mi piace ma non è sbagliato notare che è un personaggio femminile duro e poco simpatico anche per come si comporta all’interno della storia. Non fa nulla per essere empatica ed anche per questo mi piace.
Il personaggio di Sara è in linea con il mood delle antieroine del cinema contemporaneo, politicamente scorrette nel presentarsi per quello che sono.
Sì, esatto. Il politically scorrect va bene se fatto con costrutto perché talvolta con quella scusa ci si sente autorizzati a dire di tutto e di più. Empatizzare con qualcuno che ti assomiglia è troppo facile. Sara mi è piaciuta per il suo essere fuori dai canoni: ha una sua dolcezza ma è anche altro. Ed è bello quando è così.
Lo spagnolo
Recitare in lingua, in questo caso in spagnolo, è un aspetto che rientra nella tua voglia di studio e conoscenza, dall’altra è qualcosa che ti allontana dal personaggio permettendoti di viverlo come fosse una persona diversa da te.
È vero, molti mi chiedono se è una cosa difficile invece a me piace recitare in lingue diverse anche perché, come hai detto, ti permette un distacco formale che ti consente di costruire il personaggio esplorando territori lontani dalla tua esperienza. Lavorare utilizzando lingue diverse dalla tua ti fa accettare di non essere madrelingua. A me ha permesso di perdere un po’ di controllo facendomi arrivare a un punto in cui sono riuscita a parlare lo spagnolo correttamente.
Nanni Moretti
Lavorare con Nanni Moretti per un attore è una sorta di attestato di Laurea. Tu proprio in questi giorni sei sul set del suo nuovo film, Il sole dell’avvenire. Senza entrare nei dettagli del film mi piacerebbe che tu mi parlassi dell’impressione che ti ha procurato questa chiamata.
Come sai con lui avevo fatto Caos Calmo in cui Nanni era solo interprete. Tanti hanno sempre avuto da dire sulla sua figura e sul suo carattere ma per quanto mi riguarda il cosiddetto carattere burbero altro non è che la conseguenza delle sue forti opinioni, cosa che a me piace nelle persone. Devo dire che con Nanni mi sono sentita sempre molto rispettata, cosa per niente scontata perché io sono la giovane attrice e Moretti il grande regista. Il mio personaggio è stato aggiunto poco prima di iniziare a girare quindi sono stata chiamata a ridosso delle riprese. Già il fatto che abbia pensato a me mi suscita grande gioia. Del set ricordo un giorno in particolare in cui abbiamo fatto delle improvvisazioni insieme a partire dalle quali lui ha iniziato a emozionarsi. Osservare un regista alle prese con quel tipo di reazione mi suscita la stessa sensazione. Vederlo così e correre insieme al monitor per vedere il risultato delle riprese è una delle immagini più belle che ho di quest’ultima esperienza. Mi sono sentita parte di quel bel progetto ed è stata una sensazione bellissima.
Blu Yoshimi oltre Il Nido
Ti avevo chiesto dei tuoi film cosi come dei tuoi interpreti preferiti. Visto che è passato un po’ di tempo volevo sapere qualche film che nel frattempo ti ha particolarmente colpito?
Direi Storia di un matrimonio di Noah Baumbach (Marriage Story, ndr), la serie Maid con Margaret Qually. Tra gli italiani Maternal. Poi c’è stato l’ultimo di PT Anderson, Licorice Pizza. Spencer di Pablo Larrain l’ho apprezzato davvero tanto.