Jurassic World – La Rinascita dà inizio a una nuova era di uno dei franchise più longevi del cinema moderno, ormai arrivata all’età di trentadue anni.
A dar man forte a questo soft reboot troviamo la meticolosa mano registica di un veterano del cinema di enormi e mostruose creature come Gareth Edwards (Monster, Godzilla e il sottostimato The Creator), coadiuvato da un trittico di grossi nomi del panorama attoriale statunitense, un monster trio composto da Scarlett Johannson, Mahershala Ali (Moonlight, The Green Book) e Jonathan Bailey (Bridgerton).
Produttrice fedele e sempre presente, Universal Pictures si affianca ancora una volta alla casa di produzione di Steven Spielberg Amblin Entertainment e The Kennedy/Marshall Company.
Jurassic World – La Rinascita, la trama
Nel 2027, cinque anni dopo gli eventi di Jurassic World – Il dominio, l’ambiente terrestre si è rivelato in gran parte inospitale per i dinosauri e le creature sopravvissute si rifugiano ora in luoghi remoti e tropicali, simili agli habitat in cui un tempo prosperavano.
Zora Bennett (Scarlett Johannson), un’agente sotto copertura, viene reclutata da un’azienda farmaceutica per collaborare con il paleontologo Henry Loomis (Jonathan Bailey) e il capo squadra Duncan Kincaid (Mahershala Ali) in una missione top-secret.
Il loro obiettivo è infiltrarsi su un’isola proibita, un tempo sede di una struttura di ricerca del Jurassic Park, per localizzare le tre grandi specie preistoriche, il cui DNA custodisce la chiave per un farmaco rivoluzionario, capace di salvare innumerevoli vite.
Ben presto scoprono che il luogo ospita esperimenti segreti su dinosauri mutati e falliti, creature che hanno prosperato in isolamento per decenni.
Il segno che non va più via

Trentadue anni di esistenza e due trilogie all’attivo ci dimostrano quanto sia difficile rimuovere dall’immaginario comune la cicatrice del graffio che Jurassic Park ha lasciato sul grande schermo.
Jurassic World – La Rinascita non disdegna ciò. Sente il legame indissolubile con il suo scheletro (o fossile) originale e ciò permea tutto il film, nelle parole, nelle immagini e anche nei suoni, un po’ per accontentare alcuni, un po’ per scontentare altri.
Nelle due ore e un quarto circa della pellicola si respira a pieni polmoni la classicità e prevedibilità dei diversi precedenti capitoli della saga. D’altronde, lo scritto di David Koepp, che già sceneggiò ai tempi il primo Jurassic Park, non disdegna linee narrative non troppo impegnate, personaggi chiari e risoluti sin dai primi istanti e lampanti citazioni ai momenti salienti della sua vecchia gloria.
Un film che è chiaramente un Jurassic Park e non si sforza di essere diverso, ma che anzi se ne fa orgoglio, lasciando la giocosità in mano a un grande regista con gli occhi da bambino, ovvero Gareth Edwards.
Spielberg secondo Edwards

Edwards non si nasconde dietro un dito e le sue sono dichiarazioni d’intenti plateali. Nella sua messa in scena vediamo situazioni spielbergiane pure e modellate a suo piacimento, da sequenze di chiare referenze a Lo Squalo a momenti di sorpresa e maestosità provati forse solo nel primo capitolo della saga.
Un po’ come la nostra, la realtà che Edwards racconta non è più nuova alla presenza straordinaria dei dinosauri (rappresentativa la scena dell’ ingombrante brontosauro che blocca il traffico delle strade di New York). Ora l’inesplorato nasce dalla congiunzione delle giungle e dei laboratori nascosti, dalla miscela perfettamente imperfetta dell’artificio umano e tecnologico con l’istinto di sopravvivenza di queste creature giurassiche.
Un connubio non più di semplice rivitalizzazione, ma di mutamento ed evoluzione soprattutto visiva, in cui l’indole del regista ha libero sfogo nel rendere di nuovo la figura del dinosauro maestosa e terrificante al tempo stesso, come appariva alla maggior parte di noi nel 1993.
Nuova Generazione di dinosauri (e registi)

Libero da qualsivoglia costrizione di sceneggiatura, il regista di Rogue One: A Star Wars Story si muove con grazia e dimestichezza in ogni situazione cinematografica, unendo sinuosamente cielo, terra e mare in un film che dà alla natura circostante e ai protagonisti totale libertà di esprimersi.
Insieme all’eccellente fotografia di John Matieson e la colonna sonora di un Alexandre Desplat preciso e infallibile come suo solito, Edwards mantiene ottimamente lo spettacolo sul filo del rasoio, tenendo sempre la tensione fino all’ultimo secondo buono, prima che il morso di qualcuna delle antiche bestie possa addentare un piccolo lembo di carne.
Per non parlare del fiore all’occhiello del regista inglese, i mostri e le loro mutazioni. Con la vecchia generazione ormai datata, il nuovo terrore (e stupore) proviene dalle nuove creature come il Titanosaurus e il Distortus Rex, bestie mozzafiato che mettono alla berlina le chiare ispirazioni di Edwards e compagni alle forme più sinuose delle creature fumettistiche di Moebius o alla ruvidità e brutalità visiva dello Xenomorfo di Alien.
Nel mare di possibilità che è Jurassic World – La Rinascita, Edwards naviga spedito, in un film dove le chance di colpire sono tante e dove la volontà di creare una nuova e (in)sana generazione di Jurassic Park si respira a pieni polmoni.
La prima via è stata tracciata. Ancora non si sa se Edwards ritornerà per un secondo capitolo (probabilmente in attesa di un eventuale verdetto del pubblico e delle casse mondiali), ma la speranza, per chiunque verrà dopo, è che la voglia e la necessità di evolversi e cambiare non si fermi qui.