Il nuovo film di Stéphane Brizé, In Guerra, seguito ideale del precedente La legge del mercato, è ancora una volta un’opera bella e necessaria, laddove scartando a piè pari la disinformazione gaiamente diffusa dai mezzi di comunicazione, veri e propri strumenti di distrazione di massa, il regista torna al nocciolo centrale del più intenso dramma della contemporaneità, ovvero l’inarrestabile processo di svalorizzazione del lavoro, ordito scientemente da chi ha interesse ad aumentare indiscriminatamente il proprio profitto, non esitando a speculare sulla pelle dei soggetti più deboli. Se Vincent Lindon – anche in questa occasione di una bravura unica – nell’altro lungometraggio era colto in una dimensione più intima, stavolta viene catapultato nel luogo dello scontro, il suo corpo è in mezzo a quelli degli altri operai di una fabbrica di componenti per automobili, in lotta contro la dirigenza, la quale, infischiandosene degli accordi presi due anni prima, decide di chiudere lo stabilimento, per dislocare in Romania e usufruire di una mano d’opera a bassissimo costo, pur potendo contare su ottimi profitti. Riprende forma, dunque, il consunto e miserabile teatrino di un mercato che, impunemente, non si fa scrupoli a mandare da un giorno all’altro in rovina le vite di più di mille lavoratori.
Laurent Amédéo (Lindon) è un condottiero onesto e generoso, che guida lo scontro cercando di non alzare i toni e utilizzando sempre gli strumenti offerti dal diritto per far valere le proprie giuste rivendicazioni presso chi ha dimostrato di non tenerne conto. Ciò che produce più malinconia nel film di Brizé è l’assoluta mancanza di efficacia della politica, la quale, chiamata in ballo nelle sue forme istituzionali, per tentare di trovare una soluzione soddisfacente per entrambi le parti, si rivela completamente impotente e asservita alle logiche di mercato, e la sua mediazione è solo simbolica, non ha alcuna reale influenza sull’andamento della sfiancante diatriba. L’amministrazione del gruppo industriale conta sullo sfinimento che prima o poi – è una questione di tempo – fiaccherà l’animosa protesta dei dipendenti, i quali, alla fine, troveranno tutto sommato accettabile la buona uscita offertagli per porre fine alla loro ferrea opposizione.
Brizé è un regista molto intelligente, onesto e attento, e lo dimostra non scadendo mai in una rappresentazione manichea della forze opposte, laddove con lucidità cala la sua macchina da presa negli spazi dialettici in cui prende vivamente corpo il suo film. Dà voce agli operai, ai dirigenti e ai politici, lasciando allo spettatore la possibilità di giudicare liberamente su ciò di cui è stato testimone. Il regista francese, raccontando In Guerra, ha parlato di “immagine mancante”, ovvero del suo intento di mostrare cosa accade prima che lo scontro divampi, che è poi quanto l’informazione ogni volta omette di raccontare. I media occultano sistematicamente tutta la contesa – dal suo inizio – che poi conduce a quell’esplosione che mostrata isolatamente non rende giustizia a tutti coloro che hanno subito una pesante violazione dei loro diritti di lavoratori.
Altro aspetto determinante è l’analisi del linguaggio posta in essere dal film: la guerra non è solo economica e politica, ma anche, e soprattutto, semantica. Il capitale ha sviluppato scaltramente un proprio gergo, che ha imposto ai mezzi di comunicazione, i quali, diffondendolo, hanno introdotto dei funambolici scarti di senso passivamente introiettati dalle masse, che, alla fine, li danno per buoni. Il termine principalmente usato dai dirigenti è “competitività” (perdita di), il quale occulta la questione che davvero costituisce il motivo del contendere, ossia la “redditività”. In poche e semplicissime parole: quando un’azienda disloca non lo fa per non perdere competitività, ma solo per aumentare i profitti, senza curarsi di chi, per tale motivo, viene improvvisamente messo sul lastrico.
Sebbene la sceneggiatura di In guerra sia dettagliatissima, il film è percorso da una spontaneità e da una naturalezza che lo rendono a metà strada tra documentario e finzione, e tale effetto è senz’altro garantito dalla non trascurabile scelta del regista di impiegare – a parte Lindon – tutti non attori. Lo spettatore è coinvolto dal primo all’ultimo istante, senza che si verifichi mai un calo di interesse. Il cinema civico di Brizé è davvero prezioso e, dunque, non ci resta altro che consigliare di non perdere un film che è un grido disperato che dev’essere assolutamente ascoltato. In guerra sarà nelle nostre sale dal 15 Novembre, distribuito da Academy Two.