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Film da Vedere

Il fischio al naso: quando Ugo Tognazzi traspose un racconto di Dino Buzzati per mettere alla berlina la società dei consumi

Ugo Tognazzi ne Il fischio al naso, sua opera seconda, si scaglia contro un mondo alla deriva, senza ideali di riferimento, in cui ciò che conta è produrre e consumare, per poi essere drammaticamente consegnati alla morte, dopo una vita contrassegnata dalla totale mancanza di senso

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Nella sua breve ma significativa carriera da regista, Ugo Tognazzi ha sempre dimostrato di possedere un notevole grado di lucidità, nonché un affilato spirito critico che lo spinse a realizzare alcuni interessanti film-pamphlet, in cui venivano messi alla berlina i vizi di un’umanità decadente, degenerata dal punto di vista antropologico, destinata a una fatale quanto inevitabile estinzione. Sebbene avesse esordito dietro la macchina da presa nel 1963 con Il mantenuto, per la sceneggiatura di Giulio Scarnicci, Luciano Salce, Renzo Tarabusi, Castellano e Pipolo, Il fischio al naso (1967) può essere considerato il suo primo, vero film, un’opera molto sentita e voluta, tanto da fargli rinunciare anche a un compenso, nella misura in cui partecipò di tasca propria alle spese per la realizzazione.

Stavolta, l’idea a monte era fornita da un racconto di Dino Buzzati, Sette piani, una metafora del dramma interiore vissuto dall’uomo di fronte alla misteriosa precarietà della vita e della conseguente incapacità psicologica di adattarsi alla realtà della morte. La dimensione surreale dell’ambientazione e dei fatti narrati rievoca in modo abbastanza evidente le atmosfere kafkiane de Il processo, e nel film di Tognazzi, scritto insieme a Alfredo Pigna, Giulio Scarnicci, Renzo Tarabusi e, soprattutto, a Rafael Azcona, fido collaboratore di Marco Ferreri, questo aspetto risalta, quantunque ridotto da talune situazione comiche più congeniali all’attore. Non a caso ne Il fischio al naso lo stesso Ferreri appare in veste di attore, interpretando un cinico medico che vuole sottoporre il protagonista, l’industriale Giuseppe Inzerna (Tognazzi), all’ennesima cura per guarirlo da un fastidioso eczema. Tognazzi apre il film mostrandoci un uomo venale, completamente immerso negli affari, travolto acriticamente dalla logica del profitto che lo induce a promuovere una vita all’insegna del più sfrenato consumo. Fino a quando un improvviso (e anche comico, va da sé) fischio al naso ne stravolge la vita, laddove suo malgrado si ritrova in una bizzarra clinica di proprietà di una banca (la grottesca Salus Bank), in cui è sottoposto a estenuanti cure, sebbene sia un soggetto fondamentalmente sano.

Con la descrizione di questa industria della malattia, ho voluto rendere la degenerazione che porta la società dei consumi anche nella scienza, cioè in quella parte della società che dovrebbe invece conservare l’uomo, la sua integrità fisica e psicologica” (Ugo Tognazzi, dal libro a lui dedicato nel 1981 da Claudio G. Fava e Aldo Bernardini).

Come poi ribadirà nell’incisivo I viaggiatori della sera (1979), ultimo suo film, tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Simonetta, Tognazzi ne Il fischio al naso si scaglia contro un mondo alla deriva, senza ideali di riferimento, in cui ciò che conta è produrre e consumare, per poi essere drammaticamente consegnati alla morte, dopo una vita contrassegnata dalla totale mancanza di senso. Durante i cento minuti di visione si assiste a un’assurda scalata dei piani della surreale clinica, dove il settimo rappresenta, chiaramente, l’ultimo, fatidico momento, quello della dipartita. A sgomentare non è solo l’insensatezza di un percorso folle e non scelto, ma anche e soprattutto la freddezza dell’umanità che gravita intorno al protagonista: padre, moglie e figlie non tentano in alcun modo di strappare il povero Giuseppe al suo fatale destino, e quando sopraggiunge l’amaro epilogo non battono ciglio, preoccupati solo delle questioni amministrative relative ai diritti di successione. Insomma, un inferno in terra che semina gaiamente vittime, senza che nessuno faccia qualcosa per impedirlo.

Particolarmente significativa è la sequenza in cui Inzerna cerca di evadere dalla clinica-prigione: lo vediamo correre tra i filari di betulle del giardino antistante la struttura, fino a quando si ritrova davanti a un invalicabile muro di cinta che gli impedisce di proseguire la fuga. Chi scrive ha trovato questa scena geniale, poiché mostra con semplicità e grande incisività l’impossibilità di smarcare quel muro semiotico del linguaggio (e del capitale) contro cui si può solo entrare in collisione (finendo nelle istituzioni disciplinari per eccellenza, per l’appunto, come prigioni, ospedali, manicomi e quant’altro); un punto di non ritorno che obbliga a riterritorializzarsi o soccombere. Il fischio al naso è un film di buona fattura, in cui Tognazzi dimostrò un coraggio non comune, discostandosi non poco dai consueti ruoli interpretati in precedenza e con cui veniva identificato dal pubblico. Un’opera rimasta ingiustamente invisibile, senza dubbio da riscoprire.

Pubblicato da Surf Film e distribuito da CG Entertainment, Il fischio al naso è disponibile in dvd, in formato 1.66.:1, con audio Dolby Digital 1.0 e sottotitoli per non udenti opzionabili. Nei contenuti extra: intervista Ricky e Gianmarco Tognazzi; galleria fotografica; dai giornali dell’epoca; trailer.

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  • Anno: 1967
  • Durata: 109'
  • Distribuzione: CG Entertainment
  • Genere: Commedia, Grottesco
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Ugo Tognazzi