Prima di tutto Daniela Vega. Brava fino all’inverosimile: la fissità del volto, la fermezza dello sguardo e la gestualità elegantemente contenuta del corpo rendono il suo personaggio, Marina, una trans, amabilissimo, laddove, sebbene sia drammaticamente e ingiustamente esposta al pregiudizio volgare e meschino del mondo in cui vive, reagisce ogni volta con moderazione, senza dare in escandescenze, sostenuta in ciò da una profonda e salda consapevolezza circa la sua posizione all’interno dell’ordine simbolico in cui si muove. Non è necessario precisare il suo genere: donna, uomo o quant’altro. È una persona che ama e ha amato, che lavora e si relaziona normalmente col tessuto comunitario che abita, e, pertanto, non è tenuta a fornire ulteriori delucidazioni circa la sua natura, il suo modo di essere e vivere. Per quanto si stia sempre più diffondendo una cultura liberata da retaggi provinciali e miseri, la parabola di Marina testimonia quanto ancora di fronte alla volatilità di un’identità non catalogabile si presentino reazioni scomposte, aggressive e piene di violenza. Il fascismo di cui tanto si parla in questi giorni non è solo quello che esplode in eclatanti eventi; la forma più pericolosa che esso assume è, piuttosto, quella incarnata silenziosamente, giorno per giorno (e tacitamente tollerata) da quegli uomini e quelle donne cosiddetti perbene, ma pronti, all’occorrenza, a manifestare un’ottusità e un odio che provocano rabbia e sconforto al tempo stesso.
Marina ha una relazione con Orlando, che è più grande di vent’anni. Dopo aver festeggiato il suo compleanno, l’uomo accusa un malore; lei lo porta immediatamente al pronto soccorso, ma lui poco dopo muore. È subito guardata con sospetto dai medici e dalla famiglia di lui, che avvia delle indagini per verificare se è coinvolta nell’improvvisa morte. La moglie e il figlio di Orlando giudicano l’identità sessuale di Marina un’aberrazione, una perversione, e per tal motivo la ostacolano in ogni modo. Le viene vietato di partecipare al funerale, e rischia di essere cacciata dall’appartamento in cui vive. Marina lotta per il diritto di essere se stessa, avendo speso tutta la sua vita per diventare ciò che è.
San Francesco pregava così: “Oh! Signore fa di me uno strumento della tua pace: dove è odio, fa ch’io porti amore, dove è offesa ch’io porti il perdono, dove è discordia ch’io porti la fede, dove è l’errore ch’io porti la Verità, dove è la disperazione ch’io porti la speranza, dove è tristezza, ch’io porti la gioia, dove sono le tenebre, ch’io porti la luce”.
Senza abusare di alcuna retorica cattolicheggiante, ma, al contrario, cogliendo la sacra semplicità contenuta nel messaggio di pace del ‘giullare di Dio’, Sebastián Lelio (già impostosi all’attenzione con l’intenso Gloria) fornisce una via d’uscita alla sua protagonista, la quale è esposta al rischio di cadere nella trappola dell’odio o del non meno pericoloso vittimismo. Il canto intonato da Marina (è una discreta cantante lirica), sganciandosi dalla prosaicità del discorso, diventa preghiera significante che trascende la dialettica dei corpi (che pure c’è, evidentemente, e ha la sua importanza) in direzione di una relazionalità in cui cala una gioiosa indiscernibilità che elimina alla radice la logica dello scontro, facendo decadere il costante tentativo di sabotaggio messo in atto da chi vorrebbe discriminare in nome di un presunto stato di natura. Dietro ogni Legge c’è sempre un atto di violenza, che impone un codice etico specifico per agevolare l’esercizio del potere. Allora, in questo senso, le struggenti note di Ombra mai fu, l’aria iniziale dell’opera Serse di Georg Friedrich Hӓndel, diventano lo strumento attraverso cui affrancarsi dalla grettezza di un contesto antropologicamente decrepito, ma non in direzione di una vigliacca, patetica o romantica fuga, quanto piuttosto verso una consistente riformulazione dell’assetto culturale, da attuarsi senza ricorrere alle forme dello scontro violento, bensì perseverando sul solco tracciato dalla forza della ragione, determinando, in tal mondo, l’emersione dell’idiozia e della miseria di una visione anacronistica, incapace di aprirsi a quel divenire che costituisce l’essenza dell’essere nel mondo.
Vincitore dell’Orso d’Argento per la migliore sceneggiatura al Festival di Berlino del 2017, Una donna fantastica, prodotto da Fabula, la casa di produzione del celebre regista Pablo Larraìn, è stato selezionato per rappresentare il Cile ai premi Oscar del 2018 nella categoria Miglior Film in lingua straniera.
Pubblicato da Lucky Red e distribuito da CG Entertainment, Una donna fantastica è disponibile in blu ray, in formato 2.35:1 con audio in italiano e spagnolo (DTS-HD Master Audio) e sottotitoli opzionabili. Nei contenuti extra: making of, conferenza stampa e trailer.
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