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Paradise: con una narrazione non convenzionale Andrej Končalovskij ribadisce l’importanza del valore della testimonianza nel cinema

Končalovskij non racconta la solita storia ed evita, soprattutto, di cadere nella trappola dell’estetizzazione dell’orrore, non si lascia cioè risucchiare, come tanti altri autori hanno fatto in passato, dalla tentazione di prodursi nella rappresentazione della sofferenza.

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Ciò che è successo è un avvertimento. Non si può permettere che gli orrori del passato cadano in oblio. Deve essere continuamente ricordato. E’ stato possibile che accadesse ed è possibile che accada di nuovo in ogni momento. Soltanto la conoscenza è capace di scongiurarlo. Il pericolo risiede nel non voler sapere, nella spinta a dimenticare, nello scetticismo sul fatto che tutto questo sia in realtà avvenuto..”.

Così Andrej Končalovskij riassume il senso generale del suo ultimo film, Paradise, premiato – chi scrive ritiene assai giustamente – con il Leone d’Argento alla miglior regia alla scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Fratello del regista Nikita Michalkov e figlio dello scrittore Sergej Michalkov, il regista russo ha spaziato, durante la sua lunga carriera, in tanti generi, senza mai ghettizzarsi, pur fornendo ogni volta la possibilità allo spettatore di fruire di un cinema consistente, sostenuto dall’esigenza della ricerca e dell’approfondimento (segnaliamo, in tal senso, anche la prestigiosa collaborazione con Andrej Tarkovskij per L’infanzia di Ivan).

Testimoniare, come avviene esemplarmente e in maniera assai originale in Paradise, è un compito che il cinema non può disattendere perché “non possiamo dimenticare la verità, per quanto “sconfortante” o orrenda sia, per non tornare a compiere gli errori del passato”. Končalovskij ha l’ulteriore merito di non essersi limitato a una narrazione ‘convenzionale’, laddove, con un abile lavoro di sceneggiatura (realizzata insieme a Elena Kiseleva), è riuscito a intrecciare le sorti di tre esseri umani diversissimi, messi alla prova dagli effetti di una guerra che ha indotto ciascuno a reagire agli eventi secondo la propria idea di giustizia e di etica, quantunque le circostanze estreme abbiano reso le scelte complicate, se non talora impossibili.

I tre redivivi, Olga (Yuliya Vysotskaya), Helmut (Christian Clauss) e Jules (Philippe Duquesne), scandiscono con i loro rispettivi comportamenti altrettante differenti percezioni dell’idea di Bene, anche se, a parte il caso di Jules che cercò, come fecero in tanti, di barcamenarsi (pagandone alle fine il prezzo), i primi due incarnano emblematicamente la fedeltà a uno scopo che in un caso si risolve in un sacrificio, in un martirio, e nell’altro in un inquietante delirio prodotto da quel drammatico equivoco descritto impeccabilmente da Alain Badiou nella sua Etica. Come emerge chiaramente dal film, il paradiso di cui si parla era il folle sogno-progetto dei tedeschi di esercitare il proprio dominio sul mondo, inaugurando una nuova era in cui porsi nel ruolo di guida di un’umanità nuova, pura, rigenerata: la grande salute del popolo tedesco necessitava dell’estirpazione del batterio ebraico, il quale impediva il perseguimento di questa insana ambizione. Il che comportò, come ha descritto egregiamente Roberto Esposito in Comunità, immunità e biopolitica, quell’eccesso d’immunizzazione comunitaria i cui terrificanti effetti collaterali sono tristemente noti. Non a caso, molti commentatori non hanno esitato a definire l’esperienza del nazismo come il primo grande evento biopolitico della storia, (per esempio, nei campi di concentramento le più alte autorità erano proprio i medici, i quali decidevano della vita dei prigionieri, trattandoli come miserabili cavie da laboratorio – e su questo argomento si potrebbero aprire parentesi agghiaccianti).

Končalovskij, però, non racconta la solita storia ed evita, soprattutto, di cadere nella trappola dell’estetizzazione dell’orrore, non si lascia cioè risucchiare, come tanti altri autori hanno fatto in passato, dalla tentazione di prodursi nella rappresentazione della sofferenza disumana patita da tante, troppe vittime innocenti. In tal modo viene scampata l’involontaria collusione con una sempre più diffusa bulimia dello sguardo prodotta da quella logica della proliferazione delle immagini che risponde al desiderio ossessivo di esibire a tutti i costi. Il regista, invece, sa abbassare lo sguardo, e lasciare saggiamente fuori campo ciò che merita di essere solo segnalato e non mostrato.

L’espediente del resoconto post mortem dei protagonisti dona al film un’atmosfera ancora più coinvolgente: ascoltare la loro versione dei fatti, e soprattutto l’elaborazione di quanto accaduto, non può lasciare indifferente lo spettatore, il quale s’immedesima, cercando con onestà di capire cosa avrebbe fatto al loro posto.

Paradise è girato in un bianco e nero argenteo e in formato 4:3, per fornire la sensazione di una ricostruzione quasi documentaristica degli avvenimenti. Un Leone d’Argento meritatissimo che grazie a Viggo arriverà nelle sale italiane dal 25 Gennaio.

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  • Anno: 2016
  • Durata: 130'
  • Distribuzione: Viggo
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Russia, Germania
  • Regia: Andrej Končalovskij
  • Data di uscita: 25-January-2018