Wherever street piece, corto di Panu Johansson, in programma alla terza edizione dell’Unarchive Found Footage Fest.
Una musica, tra lo spettrale e l’onirico, fa da sfondo a delle immagini sfuocate, in bianco e nero, che rimandano a una vecchia pellicola sgranata.
Tra una coltre di macchie in movimento, si fa strada il muro di un palazzo, poi, una scritta bianca su sfondo nero: “Love”, con una freccia bianca che indica la direzione a sinistra.
Il flusso di macchie bianche e nere fa da cornice alle immagini, poste, a volte, ai lati o al centro dello schermo. È la volta di un uomo, poi di una donna con dei giganteschi occhiali neri e di una giovane bionda, piena di vita, che balla, sorridente. Intorno a lei, una folla, l’osserva attenta e silenziosa.
La mdp ci conduce, poi, in una strada dove troneggiano delle statue in marmo di santi. Dei manifestanti protestano e sfilano in strada, con dei cartelli. A centro strada, un plotone di poliziotti avanza minaccioso e sembra pronto a scagliarsi contro i dimostranti.
Qualche cineoperatore filma quanto accade, e c’è un cambio scena: un gruppo di donne, sedute all’aperto, sono impegnate nel gioco della tombola. Il corto si chiude con l’immagine della scritta “Love”.
Wherever street piece: un corto che rimanda alla verginità dello sguardo
Un corto sperimentale del regista finlandese, che ha il pregio di condurre per mano lo spettatore in un flusso di immagini in bianco e nero, supportate dalle splendide musiche di Amulets: Patterns.
Un’operazione che sembra rimandare ai primordi della nascita della fotografia e a quello delle prime macchine da prese, a quei cineoperatori che, con taglio documentaristico, mostravano quanto accadeva nella vita reale.
Lumiere piuttosto che Melies, e una citazione (forse) all’indimenticabile Lisbon Story di Wim Wenders e alla vana (?) ricerca della verginità dello sguardo.