Quante sono le prospettive da cui possiamo osservare qualcosa? Quante quelle attraverso cui possiamo guardare il presente, lo scorrere del tempo? Nel maggio del 1991, il cosmonauta Sergei Krikalev partì per la stazione spaziale Mir come cittadino dell’Unione Sovietica. Tornò, dieci mesi dopo, nel marzo 1992, in un paese trasformato, “nuovo”: la Russia. Proprio mentre fluttuava nello spazio, il mondo sotto di lui cambiava radicalmente. E l’Unione Sovietica crollava.
«Ero profondamente affascinato da questa costellazione storica e filosofica», racconta Andrei Ujica, regista del film Out Of The Present (1995), in occasione della proiezione del film alla terza edizione dell’UNARCHIVE Found Footage Fest. «Per la prima volta nella storia dell’umanità, un essere umano – uno di noi – ha avuto il privilegio di osservare la fine di un’epoca storica da una prospettiva olimpica, cosa che nei poemi omerici era un privilegio riservato solo agli dèi».
Un film realmente girato nello spazio
Out of the Present si colloca all’interno del filone dei grandi film che raccontano l’avventura umana nello spazio – da 2001: Odissea nello spazio di Kubrik a Solaris di Tarkovskij – ma lo fa con un approccio radicalmente diverso, sia per le soluzioni tecniche adottate che per la visione narrativa, artistica e filosofica.
Il prologo e l’epilogo del film vantano un primato: mostrano le prime immagini in pellicola 35 mm mai girate nello spazio, riprese direttamente a bordo della stazione Mir. Le sequenze centrali sono invece un montaggio eterogeneo di materiale video girato dagli stessi astronauti durante la loro permanenza nello spazio e di immagini d’archivio delle rivolte che accompagnarono il fallito colpo di stato sovietico dell’agosto 1991.
Già a partire dalla sua dimensione formale, il film assume una valenza simbolica: Out of the Present dura esattamente 92 minuti, il tempo di un’orbita completa della stazione Mir attorno alla Terra. Questo dettaglio non è casuale, ma diventa parte integrante del messaggio del film: un ciclo che si ripete, in cui l’alba e il tramonto si susseguono ogni 45 minuti, senza tregua, senza deviazioni. Un movimento continuo, inevitabile
Il presente come destino comune
Nel cuore del film, vediamo la vita quotidiana dell’equipaggio della Mir: esperimenti, esercizi fisici, pasti, momenti di convivialità. Queste sequenze si alternano a immagini della Terra vista dallo spazio e, in netto contrasto, alle rivolte che agitano le strade di Mosca. Ma da lassù tutto appare distante, quasi insignificante. La fine di un impero si consuma nel silenzio e nell’assenza di un tempo che scorre.
Così, Quando a Krikalev venne chiesto come si sentisse a essere partito come cittadino sovietico e a tornare poi in una Russia completamente nuova, la sua risposta fu semplice, quasi neutra: riconosceva il cambiamento senza drammi, quasi come se stesse solo osservando un fatto, senza coinvolgimento emotivo o giudizi.
Da Kubrick a Ujica: lo spazio senza teleologia
Se 2001: Odissea nello spazio ruota attorno al percorso trascendente dell’umanità, Out of the Present sposta l’asse del racconto verso un’altra dimensione. Là dove Kubrick costruiva una parabola esistenziale e cosmica culminante nello Star Child, simbolo di rinascita e di evoluzione, Ujica ci propone l’opposto: una routine, una sospensione, una calma inquietante.
Il confronto con Kubrick, del resto, è inevitabile ma Ujica sembra richiamarne l’immaginario proprio per marcare una distanza. Out Of the Present non è un viaggio verso il futuro, non è una ricerca del significato ultimo dell’esistenza. È un film che si ferma, che osserva e che ci invita a fare lo stesso. Non c’è tensione verso l’ignoto, ma una presenza silenziosa nel tempo che scorre.
L’evidenza dell’eterno ritorno
Questa è la forza poetica di Out of the Present: la prospettiva cosmica non restituisce pathos, ma equilibrio. La Terra continua a girare, il sole tramonta e risorge, le stagioni passano, i conflitti iniziano e finiscono. Le apocalissi si susseguono, ma il ciclo resta intatto: il mondo continua a esistere, al di là delle sue crisi.
Se Kubrick ci proiettava verso un ignoto misterioso, Ujica ci invita a contemplare l’inevitabile. Eppure, non c’è disillusione. Non c’è nichilismo. Al contrario: c’è meraviglia. Una meraviglia quotidiana, silenziosa, ostinata. L’invito non è alla rassegnazione, ma a un nuovo tipo di presenza, più umile, più consapevole.
Il presente che ci riguarda tutti
Out of the Present è un’opera unica, che supera i confini del documentario tradizionale e si avvicina alla filosofia visiva. Non si tratta solo di raccontare una storia straordinaria – quella di un uomo che parte da un mondo e torna in un altro – ma di proporre una visione alternativa del tempo, della storia, e del nostro ruolo nell’universo.
La sua forza risiede proprio in questo: un presente che non si lascia sopraffare dal peso degli eventi, ma li osserva da lontano con uno sguardo calmo e lucido. Come se quella distanza diventasse una lente capace di interpretare la realtà con chiarezza, ricordandoci, senza clamore, che domani il sole continuerà a sorgere.