Dai personaggi pubblici, spesso, si pretende disponibilità e prossimità. Davanti ad alcune personalità, però, è difficile avanzare troppe pretese. È il caso di Leos Carax, le cui apparizioni pubbliche non sono certo all’ordine del giorno ma che, in occasione della partecipazione del suo ultimo cortometraggio It’s not me (C’est pas moi, 2023) alla terza edizione dell’UnArchive Found Footage Fest, ha risposto alle numerose domande di un pubblico ammirato e intimorito allo stesso tempo.
Da dove cominciare?
Al Centre Pompidou avrebbe dovuto tenersi una mostra dedicata al regista francese che ha risposto per immagini al quesito “Leos Carax, dove sei?”. È da questa semplice ma significativa domanda che il percorso di It’s Not Me ha inizio. Durante la proiezione ad UnArchive, le reazioni della sala gremita hanno dimostrato un vivo e costante coinvolgimento. Una consapevolezza, però, ha reso elettrico il tempo di visione: Leos Carax sarebbe infatti arrivato in sala per un Q&A con il pubblico. Alla fine del cortometraggio, munito dei suoi iconici cappello e occhiali da sole, il regista ha fatto il suo ingresso.
Per rompere il ghiaccio
È toccato al direttore artistico di UnArchive Marco Bertozzi introdurre il dialogo con il cineasta francese. Con poche ma mirate domande, infatti, lo storico ha consentito al pubblico di stabilire qualche coordinata rispetto alla densa opera appena “esperita”. Come anticipato, si tratta di una risposta alla domanda posta dal Centre Pompidou. Nonostante la mostra dedicata all’artista non si sia mai tenuta, Carax ha affermato che il processo di montaggio – che si sarebbe dovuto concretizzare in un corto di pochi minuti – ha poi preso una piega più articolata, arrivando a comporre la sua ultima fatica ora distribuita in Italia da IWonderfull.
Bertozzi ha proseguito con una domanda relativa al riferimento che in It’s not me è esplicito ma sotteso allo stesso tempo, quello a Jean-Luc Godard. Carax, il cui tono sembra non poter fare a meno di una sottile ironia, ha confermato che l’influenza godardiana è stata inevitabile. Il regista è stato un confronto costante per la realizzazione di It’s not me finché, però, non è morto prima di poterne osservare il risultato. Se Godard è un immancabile interlocutore – concreto e ideale – per qualsiasi regista, le sue Histoire(s) du cinema costituiscono un esempio per ogni prodotto di montaggio dagli intenti saggistici.
Al di qua dello schermo
Terminate le prime domande da parte di Marco Bertozzi, la palla è passata al pubblico a partire da alcune timide osservazioni. Non si sono visti troppi schermi puntati verso il regista, infatti, gli spettatori sembravano così coinvolti e attenti da rendere qualsiasi mediazione digitale superflua. Quando il Q&A è diventato un vero e proprio dialogo, le questioni hanno iniziato ad abbracciare campi più ampi del film appena proiettato. È stato subito chiaro che, per Carax, ogni domanda sarebbe diventava uno spunto per riflettere su elementi più strutturali. In un certo senso, il regista non ha risposto a nessuna delle domande ma, allo stesso tempo, è stato in grado di dire molto più di ciò che gli è stato chiesto.
Testimonianze più che consigli
All’incontro con Leos Carax ha partecipato un pubblico piuttosto giovane e appassionato. Molte domande, infatti, sono arrivate da giovani studiosi e addetti ai lavori curiosi di conoscere il punto di vista di chi lavora nel cinema da ormai più di quattro decenni. Con lucidità – e anche una certa umiltà – Carax ha risposto ai loro quesiti attraverso racconti dai quali, però, è emerso un importante fattore. Non è possibile derivare dalle esperienze di vita personali una formula per il successo. Piuttosto, la testimonianza del proprio percorso consente di notare come, in fin dei conti, trovare personalità e professionalità affini sia il complemento più prezioso per la passione individuale.
It’s not me tra regia e montaggio
Che insegnamenti può trarre chi lavora come montatore da It’s not me? Questa è una delle domande che rivela quanto i giovani addetti ai lavori trovino in Carax un punto di vista prezioso. Non solo, infatti, It’s not me è la summa dei film da lui diretti ma, prima di tutto, è un’imponente e caotica operazione di montaggio. Rispondendo a questa domanda, Carax ha sottolineato come nel cinema saper fare tutto non sia necessario. Se il suo mestiere è specificatamente quello di dirigere, allo stesso tempo si è sempre “sentito a casa nel montaggio”. Questo perché, ha rivelato il cineasta francese, il suo primo amore è stata la musica: montare delle immagini è come comporre una partitura musicale per Carax. Ha infatti dichiarato di non aver mai rivisto i suoi film proprio perché il lavoro di messa in immagine e di costruzione è per lui la componente essenziale del fare cinema. A tal proposito e sempre in relazione alla fortuna di incontrare le persone giuste, Carax ha fatto il nome di colei che da sempre presiede al montaggio dei suoi film: Nelly Quettier.
Come scegliere un attore che deve rappresentare una parte del sé del regista?
I film non si fanno da soli: è questo uno dei leitmotiv presenti nelle risposte del regista di Suresnes. In ogni aspetto della produzione di un film, infatti, bisogna essere molto fortunati nell’incontro con le persone giuste. Carax ha significativamente dichiarato che nessuno di questi film sarebbe stato possibile senza il team che ci ha lavorato e, soprattutto, con persone diverse avrebbe fatto film completamente differenti. Inevitabile è stato il riferimento a Denis Lavant, attore che lo accompagna sin dalla sua prima pellicola e che, sotto diversi punti di vista, ne costituisce quasi un doppio. A proposito di cast, però, il regista ha espresso un’opinione inusuale e inaspettata, ammettendo di aver spesso evitato di fare casting. Questi momenti, infatti, vedono spesso le persone definite “troppo o troppo poco” per il loro aspetto, cosa che è permessa solo nel mondo del cinema. Per questo motivo, non ha mai scelto gia attori, piuttosto ha immaginato i film sulla base delle persone che erano già nella sua vita.
Cambia tutto, anche se non cambia niente
L’ultima domanda dell’intervento ha sottolineato la dimensione di ritorno alle origini di It’s not me ponendola però su una traiettoria che guarda al futuro. Che cosa ci sarà dopo il cinema attuale? La risposta di Leos Carax è riuscita a coniugare speranza e disillusione. Il regista ha dichiarato che un tempo era più speranzoso perché credeva che ogni generazione avrebbe trovato il modo di reinventare il cinema. Tuttavia, oggi sente che questa possibilità è a rischio. I giovani combattono per diverse cause, ma ce n’è una estremamente valida che ancora non viene difesa a dovere. Si tratta dell’ecologia delle immagini e dei suoni. È necessario che questi tornino a “respirare”, parafrasando il suo monologo nel cortometraggio, per fare in modo che abbiano ancora significato.
A tal proposito, è significativo pensare al film che, a pochi giorni dall’ospitata ad UnArchive, Carax ha scelto di presentare al Cinema Troisi. Si tratta di Una camera in città (Une Chambre en Ville, 1982), musical diretto da Jacques Demy e scelto da Carax proprio perché un flop. In questo senso, si può dire che il regista abbia perseguito quell’ecologia dell’immagine da lui indicata, il tutto grazie alla proiezione, davanti a una sala piena, di un film sottovalutato e che, come tanti altri, aspetta solo di essere (ri)visto.