My Armeniam Phantoms, diretto da Tamara Stepanyan e scritto insieme a Jean-Christophe Ferrari, è in concorso nella sezione Internazionale della terza edizione di Unarchive – Found Footage Fest. Il film è prodotto da Céline Loiseau, Alice Baldo e Tamara Stepanyan.
Un’autobiografia visiva che si intreccia con la Storia di un popolo e il suo Cinema.
My Armeniam Phantoms: un dialogo tra figlia e padre
La regista Tamara Stepanyan intraprende un viaggio suggestivo nel mondo dimenticato del cinema armeno. Nato da un dialogo con suo padre, il famoso attore armeno Vigen Stepanyan, questo avvincente documentario porta alla luce una storia vibrante e spesso trascurata che si intreccia con la perdita personale. Attingendo a un ricco arazzo di filmati d’archivio e ai suoi stessi ricordi, My Armenian Phantoms rivela a un nuovo pubblico una profonda eredità culturale e artistica.[sinossi ufficiale]
Un film personale che si fa simbolo di un popolo
Tamara Stepanyan, regista armena, nata negli anni Novanta, ci porta nel suo mondo, per raccontarci e raccontarsi, creando un tenero e suggestivo dialogo con suo padre morto, la sua passione per il cinema e il suo essere donna in un Paese radicalmente patriarcale. Il tutto inizia mostrandosi da piccola, insieme al suo fratellino, recuperando sgranati filmati di famiglia e inserendoli in un tessuto filmico tutto personale che riesce, però, a farsi simbolo di un intero popolo e delle sue difficoltà nel costruirsi un’identità nazionale.
Il genocidio armeno perpetrato dai turchi e poi l’occupazione sovietica, due eventi diversi per la storia dello stesso popolo, vissuti da Tamara Stepanyan attraverso il racconto dei suoi cari e restituiti a noi utilizzando immagini d’archivio, dove la regista di My Armeniam Phantoms riconosce la nonna paterna che accoglie l’Armata Rossa, l’unica donna in mezzo a tanti uomini.
Il genocidio del popolo armeno
L’essere donna tra tanti uomini è un fil rouge che attraversa l’intero lavoro di Tamara Stempanyan. Piccole, ma sostanziali differenze che la regista percepisce già da bambina, come quel grazioso fiocco a ornare la divisa del fratello o del cugino durante i giorni di festa promossi dai sovietici, mentre per lei bambina, nessun ornamento. Tanti ostacoli per diventare una cineasta in un Paese in cui il cinema, d’altronde come tutto il resto, è una questione esclusivamente da maschi.
Dopo i ricordi personali, quelli più intimi riconducibili all’infanzia, Tamara Stempanyan estende il discorso al cinema armeno, riproponendo, con la sua voce narrante, estratti di film girati da coraggiosi cineasti del passato che hanno raccontato storie di donne. Figlie sottomesse alla volontà paterne e mogli vittime di violenze da parte dei mariti. Opere cinematografiche realizzate per rivelare una drammatica esistenza femminile che incontra il dramma del genocidio, censurato dai sovietici per decenni, ma comunque presente, seppur sottotraccia, in molti lavori di registi armeni, per poi esplodere in una rappresentazione filmica imponente, che trova una sintetica, ma esaustiva immagine universale di un uomo del popolo, umile, ma allo stesso tempo fiero della sua identità armena.
My Armeniam Phantoms: una nuova diaspora armena
Attraverso la storia del suo Paese, Tamara Stempanyan prosegue a mostrarci la propria originale e suggestiva autobiografia, affrontando il tema della caduta dell’Unione Sovietica. Un evento inizialmente visto come una gioiosa nascita di un’epoca di speranza, libertà e prosperità, per poi divenire un’ennesima tragedia per il popolo armeno. Una nuova diaspora che costringe tanta gente, come la famiglia della regista di My Armeniam Phantoms a lasciare la sua terra e trasferirsi in Libano, per iniziare una nuova vita.
È qui che Tamara Stempanyan riesce a realizzare il suo sogno di diventare regista. Gioia, ma anche rammarico per essere riuscita in ciò che desiderava, lontana dalla sua terra. È in questo momento che il viaggio interiore ed esteriore di My Armreniam Phantoms assume sempre più la forma dialogica. Una figlia che si rivolge affettuosamente al padre che non c’è più, che però, continua a vivere in lei. Utilizzando vecchi filmati familiari e, ancora una volta, estratti di film del passato, lo spettatore conosce e riconosce il padre della regista, Vigen Stepanyan, un famoso attore del cinema armeno.
Un film suggestivo, con un orizzonte di speranza
Con questo utilizzo del found footage, My Amreniam Phantoms rende visibile ciò che fisicamente non c’è più. È così si viene a costruire una singolare e indovinata visualizzazione tra campo e contro – campo. Un viaggio intimo e personale, alla ricerca dei propri fantasmi, prosegue, dando forma e sostanza ai fantasmi di un popolo intero, tra Storia e Cinema.
Quello di Tamara Stempanyam è un discorso che si articola su più direttrici, ognuna sviluppata e diretta verso un’unica meta: l’identità. È quest’ultima dall’intimità della regista acquista la valenza universale del suo popolo. Il personale diventa comunitario, un singolo destino si intreccia con tanti altri, utilizzando la ri – proposta di spezzoni del cinema armeno, come prospetto personale e nazionale.
Il tutto incrementato al ricorso – spesso e volentieri – di inserti visivi personali di grande impatto emotivo e, anche in questo caso, si procede dal privato al pubblico, come quando si accenna allo scioglimento dell’Unione Sovietica: un albero, ineluttabilmente, perde i propri frutti, ancora una volta la minaccia della perdita di un’identità.
E poi, con la fine del viaggio, il ritorno su quella tomba paterna, testimonianza di un’altra perdita, compensata, però, dal ricordo di una figlia, capace di realizzarsi come regista e donna. Il dialogo si intensifica, facendosi cornice, ma allo stesso tempo soggetto di un film suggestivo, velato da una sottile nostalgia, dove si intravede un orizzonte di suadente speranza.
Unarchive – Found Footage Fest su Taxidrivers