Al passo con i tempi ma sempre fedele a se stesso, Sion Sono segna l’ennesima tappa di una carriera quantomai ricca e variegata, firmando questa volta un prodotto televisivo, una serie composta da nove episodi dal titolo Tokyo Vampire Hotel, proiettata in un concentrato della durata di due ore e venti, nella sezione After hours nella giornata di apertura del Torino Film Festival. La serie è stata prodotta da Amazon, destinata soltanto al mercato giapponese, con esordio previsto per metà giugno 2017. Per le prime due puntate, sia nella direzione che nella sceneggiatura, l’autore si è avvalso della collaborazione di Tomohiro Kubo e Daisuke Matsuo, entrambi molto noti in Giappone. Nel cast, la sua musa ispiratrice e compagna di vita, la moglie Megumi Kagurazaka, già presente in numerosi altri suoi lavori.
Presenza costante della manifestazione, il prolifico regista giapponese torna con un lavoro ancora una volta, e se possibile, più cacofonico, sgargiante e canzonatorio rispetto ai suoi film più prorompenti e apparentemente meno seri. Sion Sono utilizza sempre un linguaggio potente, caratterizzato da un impatto visivo molto accurato, una scelta di colori e dei costumi mai casuale, ricercata, e, in questo caso, un uso spropositato sino al ridicolo di sangue e violenza. Elemento prezioso, senza dubbio tra i più pregevoli dell’opera, è l’energica colonna sonora, costituita in gran parte da pezzi di rock duro che la rendono particolarmente incisiva.
Serie tv e vampiri formano un connubio di elementi decisamente in auge negli ultimi anni, nonostante, per dichiarazione stessa dell’autore, le mitiche creature assetate di sangue non sono così popolari in Giappone; ma lui ha voluto intraprendere la sfida, essendo un tema a lui caro fin da bambino. Ha affermato, infatti, di aver sempre voluto girare un film sui vampiri e di aver scelto la forma della serie tv per avere modo di sviluppare maggiormente la trama, inserendo più elementi. Approfittando delle possibilità offerte da Amazon, che ha acconsentito a sostenere i costi di un set non certo spartano, Sion Sono ha scelto di caratterizzare la serie di una certa autenticità, girandone alcune parti in Transilvania, nota patria dei vampiri e sede del castello di Dracula, identificato immediatamente dal regista come luogo fondamentale delle riprese, dichiarando poi che la serie non avrebbe assolutamente avuto la stessa efficacia se fosse stata fillmata altrove.
Basando la sceneggiatura su una storia originale, Sion Sono ha preso spunto dal reale conflitto tra Dracula e un certo Mattia Corivinus, il quale dopo una lotta aveva chiuso il conte sottoterra. A partire da ciò, l’autore costruisce la narrazione di una lotta tra due clan rivali di vampiri, che, mentre la civiltà e il mondo vanno in fumo e si disgregano, cercano di prevaricare l’uno sull’altro, nutrendosi degli ultimi mortali, condannati a costituire il loro cibo. Al centro della disputa una giovane carismatica e attraente fanciulla, Manami, interpretata da Ami Tomite, scelta come salvatrice ma in balia degli eventi, a partire dal senso di esclusione nella famiglia che avrebbe dovuto accoglierla e, invece, la rifiuta e la disconosce, così da farla sentire un mostro, lo stesso mostro disperato che diventa dopo essere stata reclutata dai due clan che se la contendono, senza riuscire comunque mai a trovare un senso di appartenenza.
Certamente sparsi e sconnessi all’interno di un fiume forsennato di eventi e manifestazioni sguaiate, esasperate e spesso senza capo né coda, in un contesto apparentemente privo di alcuna velleità contenutistica, si intravedono comunque abbastanza chiaramente i temi più profondi e propri che il regista mette in scena in modo diverso rispetto agli altri suoi lavori, utilizzando un registro ora sommesso, come in The wispering star, ora spirituale come in Love exppsure, ora simbolico come in tanti suoi film, ma sempre veemente e provocatorio.
L’ essere umano è ancora una volta una figura estremamente negativa, vile, egoista, crudele, traditore, il vampiro non ne è che l’evoluzione esasperata in forma ancora più mostruosa, e, sebbene sia braccato dalla sofferenza di sentirsi rifiutato, reietto, solo, abbandonato, esita in un essere bieco e insensibile che non può che finire nella condanna di se stesso: i mortali divengono cibo per continuare a sostenere la sete di violenza e di potere in un continuum di distruzione e devastazione in cui niente ha valore, non un legame fraterno, non sentimentale, non di amicizia; non vale l’onore, non vale il rispetto, niente viene riconosciuto abbastanza da impedire il giusto sterminio di vite troppo misere e ignobili per potersi salvare.
Alla domanda sul perché proprio i vampiri, Sion Sono ha risposto sorridendo che, a differenza degli altri mostri, i vampiri sono sexy. Così come nelle altre opere, il sesso rappresenta sempre un elemento abbastanza importante nell’immaginario del regista e nelle sue messe in scena. Un tema che egli tratta ogni volta con un piglio sfrontato e ostentato, quasi a volerne esorcizzare l’importanza e forse la soggezione, ma in questo caso gli dà un’accezione particolarmente negativa, esaltandone e ostentandone lo squallore, rendendolo corredo delle altre prerogative di un umano infimo.
Tokyo Vampire Hotel è un’opera poco fruibile, destinata probabilmente ad essere apprezzata, o quantomeno vista con interesse, soltanto dai cultori del cineasta giapponese, ma che, in fin dei conti, possiede tanti elementi di pregio e accattivanti, resi forse meno appetibili dal fatto che appaiono simili anche in altri suoi lavori. Particolarmente efficace, soprattutto dal punto di vista visivo, l’ultima mezz’ora, che, tra altri aspetti, vede per qualche minuto un’alternanza di colore e bianco e nero che mette in sintonia immagini e personaggi rendendoli più potenti e affascinanti, prima tra tutti la protagonista.