Paul Verhoeven è un grande uomo di cinema, i suoi film hanno segnato indelebilmente l’immaginario degli ultimi trent’anni, e non staremo qui a fare l’elenco – si rischierebbe di scivolare nella pedanteria – di quelle fortunate pellicole di cui è stato autore.
Ciò che piace, tra le tante cose, del regista olandese è la sua capacità di cambiare, di riuscire ad adattarsi, come nel caso del suo ultimo, fortunato film, Elle, a sistemi produttivi diversi (il cinema in Europa è cosa ben differente rispetto alla logica degli studios americani), raggiungendo ottimi risultati, laddove il suo sguardo sa rigenerarsi e riposizionarsi, innescando, ancora una volta, quel processo di trasfigurazione della realtà che solo i grandi sono in grado di realizzare.
Dopo la proiezione del film, avvenuta il 10 Marzo presso il cinema Quattro Fontane di Roma, il celebre regista si è concesso senza risparmiarsi alle domande dei giornalisti, accorsi per visionare la sua ultima fatica e per porgli alcune domande circa la natura di un’opera che, come lo stesso Verhoeven ha chiaramente affermato, si sottrae alla catalogazione di genere.
Verhoeven ha raccontato del tortuoso iter di realizzazione del film, che in prima battuta doveva essere girato negli Stati Uniti, ma lo spinoso tema, tratto dal romanzo “Oh…” di Philippe Djian del 2012, fece storcere il naso a molti produttori, e soprattutto creò non poche difficoltà nella ricerca dell’attrice protagonista (il ruolo torbido e disturbante di Michèle fece indietreggiare molte candidate). Per fortuna l’intelligente e sempre opportuna Isabelle Huppert senza esitare un momento ha accettato il ruolo, dopo di che, forse proprio in virtù di questa decisiva scelta, tutta la produzione si è trasferita in Francia.
Elle, ha sottolineato Verhoeven, prima di essere un film su un rapporto sadomasochistico tra uno stupratore e la sua vittima è un’impietosa ricognizione antropologica di un mondo – il nostro, l’occidente avanzato – ormai in fase di decomposizione, in cui tutti i rapporti sono fatalmente inquinati, effimeri, fragili, e Michèle rappresenta esemplarmente questo stato di cose. Dirige un importante casa di produzione di videogames, ha un matrimonio fallito alle spalle, un figlio che porta avanti un rapporto inverosimile con una ragazza che si approfitta di lui, e, non ultimo, intrattiene una relazione sessuale con il marito della sua migliore amica. Insomma, non c’è nulla, oltre all’alienante mondo del lavoro, che possa costituire un sostegno che conferisca senso a un’esistenza sempre più sull’orlo del baratro.
Sbagliano, crediamo, coloro (qualche giornalista in sala) che hanno visto in Elle un film al femminile, in cui si tessono le lodi del gentil sesso. Nel film di Verhoeven non ci sono vincitori, nonostante quell’inquadratura finale che potrebbe aver dato adito a qualche equivoco: il mondo messo in scena è senza speranza, nessuno si salva, l’unico guizzo vitale è rappresentato dal perverso rapporto che la protagonista intrattiene, in maniera a dir poco malsana, col suo persecutore. E l’esito non può che essere funesto. Non vincono le donne, né gli uomini. Tutti rimangono tristemente impastoiati in una rete che non concede via di fuga, e trascina ognuno su un fondo da cui sarà, riteniamo, davvero difficile risalire.
Non pensiate, però, che il film di Verhoeven sia la solita tirata moralistica sul mondo di oggi. No, al contrario, in Elle vengono toccati senza pudore i perversi meccanismi che regolano i rapporti attuali, e lo sguardo non è giudicante, piuttosto cerca di andare fino in fondo, con un gesto radicale che davvero rompe gli usuali schemi con cui normalmente ci si approccia a certe questioni. Michèle non è un mostro, ma una donna di successo, pienamente e felicemente integrata nel tessuto sociale: ha prodotto nel tempo una cesura così netta con la sua vita interiore che l’ha resa – parafrasando Roger Waters – piacevolmente insensibile.
Dove andrà Michele, ripresa di spalle con la sua amica, nell’ultima inquadratura?
Verhoeven ha realizzato l’ennesimo, prezioso film, di cui consigliamo caldamente la visione. Non esitate. Non perdetelo.
Luca Biscontini