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In Sala

Passengers

Alla base del black out di Passengers ci sono prima di tutto il continuo rimescolamento degli ingredienti che il progetto ha subito in lunghi anni di letargo, ma soprattutto il conflitto interno che si è venuto a creare tra gli elementi drammaturgici chiamati in causa. Il risultato è un vero e proprio compromesso produttivo e autoriale tra ciò che sarebbe potuto essere e quello che invece è stato

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Sinossi: L’astronave Starship Avalon sta effettuando un viaggio interstellare di 120 anni diretta alla colonia Homestead II con a bordo 5.259 persone sottoposte a sonno criogenico. A causa di un malfunzionamento, due passeggeri si svegliano dalla loro ibernazione 90 anni prima dell’arrivo, restando bloccati sulla nave spaziale.

Recensione: Quando ci si trova al cospetto di un film che presenta non poche falle nel sistema, prima di bersagliarlo con l’inesorabile fuoco incrociato di un’analisi critica più o meno impietosa, forse bisognerebbe andare a scavare sino alle sue radici per capire la o le cause che ne hanno provocato l’irrimediabile black out. Nel caso specifico di Passengers, lo Sci-Fi diretto da Morten Tyldum e interpretato dalla coppia formata daJennifer Lawrence e Chris Pratt, non bisogna scavare poi tanto in profondità per individuare le principali problematiche, che poi sono in gran parte le stesse venute a galla sin dalla fruizione. Già al momento dei titoli di coda, infatti, un forte odore di bruciato si era insinuato con prepotenza nelle narice dello spettatore. Quell’intenso odore di bruciato nient’altro era che quello provocato dal cortocircuito drammaturgico e narrativo verificatosi all’interno dello script e di conseguenza nella sua trasposizione sul grande schermo. Ma prima di proseguire, bisogna fare un ulteriore passo indietro per capirne la genesi e la provenienza. Questo ci aiuterà a spiegare meglio a cosa e a chi attribuire le responsabilità.

Prima di arrivare nelle mani del regista norvegese, salito alla ribalta e all’attenzione degli addetti ai lavori grazie al successo di The Imitation Game nel 2014, la sceneggiatura firmata da Jon Spaihts è finita per una decina di anni in quel limbo chiamato “Black List”, per poi uscirne profondamente segnata e cambiata molte stagioni dopo. Persino il nostro Gabriele Muccino, seguito a ruota da Brian Kirk, era arrivato a un passo dal prenderlo in consegna, prima che il progetto si arenasse per l’ennesima volta, almeno sino a quanto la Sony Pictures Entertainment ne ha acquisito i diritti, affidando la regia a Tyldum. Quest’ultimo ha accettato, dichiarando di aver sempre voluto dirigere un film di fantascienza, ma di essere stato frenato dalla loro freddezza ed asetticità e che perciò il suo approccio sarebbe stato maggiormente incentrato sui rapporti tra i personaggi che sugli elementi futuristici. E proprio questa impostazione e l’approccio alla materia voluti dal cineasta scandinavo, che avrebbero potuto aumentare lo spessore del racconto e dare un maggiore peso specifico alle dinamiche umane e alle one line dei singoli personaggi, hanno finito invece con l’indebolire e saturare la sceneggiatura. Davvero un gran peccato, perché il potenziale registico e tecnico [a cominciare dalla fotografia di Rodrigo Prieto] a disposizione, insieme ad alcuni elementi presenti nel racconto originale, avrebbero potuto portare ben altri risultati.

Dunque, alla base del black out di Passengers ci sono prima di tutto il continuo rimescolamento degli ingredienti che il progetto ha subito in questi lunghi anni di letargo, ma soprattutto il conflitto interno che si è venuto a creare tra gli elementi drammaturgici chiamati in causa. Il risultato è un vero e proprio compromesso produttivo e autoriale tra ciò che sarebbe potuto essere e quello che invece è stato. Ciò ha dato origine a un pastiche di generi, collocabile per forza di cose nella famiglia allargata della fantascienza a buon mercato, dove l’avventura e l’odissea spaziale fanno da cornice e contorno spettacolare allo stucchevole e a volte ridondante gioco d’amore e melodramma che ha come protagonista la coppia di divi di turno. L’ultima fatica dietro la macchina da presa di Tyldum si limita ad assecondare il suddetto compromesso, cadendo in quella trappola dalla quale fortunatamente era abilmente scampato il collega messicano Alfonso Cuarón nel suo Gravity. Il cineasta norvegese prova a suo modo, seguendo traiettorie decisamente più superficiali, a replicarne le implicazioni emotive e alcune tematiche di fondo, ma anche la componente più squisitamente tecnica [vedi le passeggiate nello spazio dei protagonisti e le soggettive nella tuta spaziale], senza però raggiungere mai gli stessi risultati. Senza dimenticare i tentativi, fin troppo dichiarati e furbi, di rievocare immaginari letterari e cinematografici (da 2001: Odissea nello spazio a Le Avventure di Robinson Crusoe), gettati lì nella speranza di alzare l’asticella. Ma i passaggi a vuoto e i buchi di scrittura presenti nella sceneggiatura, provocano un continuo e progressivo dissanguamento, al quale nemmeno qualche sussulto di natura ritmica e intuizione registica nel finale riescono ad arginare. Fatto sta che è davvero troppo tardi per riattivare un tracciato oramai irrimediabilmente piatto.

Francesco Del Grosso

  • Anno: 2016
  • Durata: 111'
  • Distribuzione: Warner Bros Italia
  • Genere: Sci-Fi, Avventura, Romantico
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Morten Tyldum
  • Data di uscita: 30-December-2016