Sinossi: Stefano è un “ragazzo di strada”. È un uomo solitario, lavora come buttafuori in una discoteca, non frequenta amici o parenti. Gira spesso Roma in moto e ama il cibo cinese. Proprio questa sua passione per il cibo cinese lo porterà a conoscerà Lee Ang, una ragazza che lavora come cameriera nel ristorante di famiglia. I due iniziano a frequentarsi, nonostante il padre della ragazza non voglia che la figlia esca con ragazzi italiani. L’uomo si innamora sinceramente di Lee Ang e questo lo spinge a pensare alla sua vita, a cambiare il suo futuro. Decide di proporre a Lee Ang di partire insieme, di riportarla in Cina e vivere insieme una nuova esistenza. La ragazza, prigioniera delle regole severe della propria famiglia, è felice della proposta ma anche restìa, perché, nonostante le sofferenze, infondo le dispiacerebbe abbandonare i genitori. Tuttavia, l’amore per Stefano supera questo macigno e la ragazza accetta la proposta dell’uomo. Prima di imbarcarsi, i due scopriranno che il padre di Lee Ang è coinvolto in giri loschi e la ragazza, spaventata, è sempre più convinta di voler sparire dalla sua famiglia di origine.
Recensione: Per la prima volta chi scrive si è imbattuto nel cinema di Stefano Calvagna, e la sensazione che ne ha ricavato è contrastante. Non si può non registrare che c’è del buono nella sua capacità di dirigere, in riferimento soprattutto a un dato decisivo: per portare a termine Si vis pacem para bellum, il regista romano ha potuto contare su risorse ridottissime (appena 17 mila euro), con dei tempi di realizzazione assai brevi (due settimane). Il risultato è un genuino prodotto di genere, che, però, non manca di offrire, per la sua spontanea ingenuità, il fianco a critiche di varia natura, a cominciare dalla valutazione della ‘necessità’ del tipo di offerta cinematografica. Detto in altri termini: ciò che si può contestare del lungometraggio di Calvagna non è, nello specifico, il valore in sé del film (che è un prodotto onesto, che può essere visto senza contrarre crampi allo stomaco), quanto l’idea di cinema che sta alla base dell’operazione nel suo complesso; un cinema che si dica indipendente dovrebbe, a nostro avviso, proporre dei contenuti alternativi, e magari di più spiccate ambizioni estetiche, rispetto a un circuito mainstream che, ossessionato dall’ansia degli incassi e dall’esigenza di rivolgersi a un folto pubblico, ripiega il più delle volte su soluzione stantie, non osando oltrepassare gli standard dei gusti imperanti (un po’ come la logica dei sondaggi nella politica contemporanea: vi offriamo ciò che volete). Ci sarebbe piaciuto, dunque, che un autore libero avesse proposto qualcosa di innovativo, non già visto, rivendicando una reale autonomia nei confronti di un piattume visivo che caratterizza la maggior parte delle produzione attuali. E, invece, Si vis pacem para bellum non si diversifica neanche un po’ dal tono generale dell’offerta corrente dei circuiti convenzionali, anzi è proprio il tentativo di riprodurne gli schemi che, a tratti (si perdoni la punta di cattiveria), lo fa sembrare un tentativo ‘povero’ di emulazione.
Premesso ciò (il nostro è un pensiero che è stato espresso più volte a proposito del cinema indipendente), il film di Calvagna non è meno dignitoso di tanti altri prodotti visti circolare sugli schermi, il ritmo è buono, l’iperrealismo della messa in scena rivela la volontà di entrare all’interno delle situazioni raccontate a gamba tesa, senza edulcorare, restituendo la ferocia di un mondo che non fa sconti, e in cui sui vari personaggi gravita un’atmosfera carica d’angoscia, che presagisce l’ineluttabilità di un destino fatalmente già scritto. Nel cast c’è anche il buon Emanuele Cerman (attore e regista, di cui ricordiamo il recente In nomine Satan, di cui lo stesso Calvagna è stato produttore esecutivo), che offre una prestazione credibile, così come il protagonista, Stefano (Calvagna), che, laconico ma molto pratico, si muove, finché può, con agilità in un microcosmo in cui non c’è spazio per debolezze o tentennamenti. Meno riuscita, a nostro parere, è la prestazione dell’altro personaggio chiave, Lee Ang (interpretata da Francesca Fiume), laddove la forzata monotonia del timbro della dizione, che rimane sempre uguale in ogni situazione, davvero mette a dura prova l’indulgenza dello spettatore. Ottima, invece, la performance di Massimo Bonetti nel ruolo del boss Rico. Da segnalare, infine, le incisive musiche del veterano Claudio Simonetti.
Dunque, fatta salva la premessa esposta all’inizio, Si vis pacem para bellum può considerarsi un’operazione nel complesso sufficientemente riuscita. Ci permettiamo solo di auspicare che il tenace regista romano – che nel tempo è riuscito a crearsi uno zoccolo duro di sostenitori, grazie alla caparbietà del suo impegno – azzardi di più in futuro.
Luca Biscontini