Un luogo interiore da scoprire o riscoprire
Anche in questo suo secondo film Giorgia Cecere ha dimostrato quanto siano importanti per lei i percorsi interiori di un personaggio femminile, osservato, con inquadrature sapientemente nitide, molto da vicino; se pure, questa volta, nelle nebbie piemontesi, e non nella luminosità della Puglia che aveva caratterizzato Il primo incarico, nel 2011.
Anche qui ha voluto che a rendercelo fosse Isabella Ragonese, della quale aveva aspettato i tempi, allora, nel film precedente, perché solo a lei si sentiva di affidare il ruolo di Nena, la giovane maestra degli anni Cinquanta, che lascia tutte le sue sicurezze, amore compreso, nel Salento, per lavorare lontano, in un posto desolato, completamente fuori dal mondo.
E la Ragonese ha riconfermato l’espressività della sua recitazione (ne abbiamo già parlato a proposito di Una storia sbagliata di Gianluca Maria Tavarelli). La bellezza così modesta, la credibilità della voce in dialoghi ridotti all’essenziale, i silenzi, il sorriso spesso trattenuto, riescono a coinvolgere lo spettatore in una storia che non è fatta di grandi eventi; piuttosto di sfumature dell’anima, quelle che sfoceranno nel cambiamento finale, imprevedibile, e prevedibilissimo perché siamo stati condotti fin lì per mano. In scelte che apparirebbero affrettate, se non fossero precedute dall’opportunità di vivere con lei le impercettibili trasformazioni psicologiche.
Lucia è ripresa all’inizio in famiglia: un marito, Andrea ( Alessio Boni), freddino e protettivo a suo modo, fragile come chi vive la vita solo in superficie, ma che forse ha rappresentato finora una funzionale, apparente, solidità, e il figlio Tommaso (Michele Griffo), simpaticissimo preadolescente, ancora disponibile alle coccole, ma con i primi segni d’indipendenza. Poi insieme ai genitori, tra i quali si avvertono dissapori e disamore. E infine al lavoro, nel suo negozio di fiori, insieme alla socia, Carla (Tatiana Lepore), che fin dal suo apparire è diversissima da lei: tanto Lucia è insicura e taciturna, tanto l’altra risulta inopportuna, nel suo desiderio inappagato di confidenza, ogni volta che Lucia si ritrae.
E compaiono presto le ombre spesse del passato, che si sono depositate e pesano nel presente. Ottima la scelta di non volercele svelare fino in fondo, come a dirci che non sono gli accadimenti di ieri nella loro oggettività a paralizzarci, ma come gli stessi eventi rimossi agiscono indisturbati nella profondità del Sé e la fanno da padroni. “E’ passato tanto tempo da allora”, dice Lucia ad Andrea, sottintendendo che è il momento di fare i conti con gli antichi dolori.
Il posto bellissimo del titolo, infatti, non è un luogo fisico, bensì quello dell’intimità, che diventa bellissimo solo quando si affrontano le parti oscure e le si porta alla luce. Ma è necessario che Lucia si affranchi da una relazione matrimoniale che, se pure con buone intenzioni, ha sclerotizzato i ruoli e impedito l’indipendenza, anche quella emotiva. Ed è bene aprirsi a relazioni altre, con lo straniero Feysal (Faysal Abbaoui), il venditore ambulante che lei cerca di aiutare, risolta la diffidenza dei primi incontri, ma anche con la giovanissima compagna di scuola guida, e con il “professore” (Paolo Sassanelli) , uno svagato personaggio che le dà fiducia.
Si muove, Lucia, in ambienti usuali di provincia: la cucina di casa (bruttarella con un rivestimento triste e datato), le stesse strade, spesso sotto la pioggia, lo stesso angolo di strada, con gli stessi abiti così poco appariscenti. Non più i rossi accesi, i verdi, gli azzurri di Nena, per cui Giorgia Cecere aveva dichiarato che i colori sono la cosa che costa meno, ma bianchi, neri, blu e beige. Sembrerebbe che nulla possa modificare la sua spenta esistenza, ma sono i suoi occhi a cambiare, il suo posare lo sguardo verso di sé e verso il mondo. Una sensibilità affinata che la rende più attenta ai suoi bisogni, ma contemporaneamente a quelli altrui. Finalmente, riesce a stabilire una comunicazione autentica con Adriana (Piera degli Esposti), che all’inizio del film cerca di evitare, perché l’anziana signora, comprensiva e bendisposta, ha il torto di essere lì, a testimoniare con la sua presenza i traumi del passato. E finalmente Lucia intuisce che non basta prendersi cura dei fiori, ma che anche le persone intorno meritano il suo tempo e la sua disponibilità. Tra loro, Feysal è la presenza più significativa, proprio perché la più diversa, sicuramente ignorata se Lucia non avesse avviato un contatto più autentico con se stessa e con il mondo.
Piccoli incontri, che diventano così altamente significativi perché si riflettono nel processo interiore; piccoli grandi cambiamenti resi percettibili dall’insistenza con cui la regista riprende il viso, il corpo, l’andatura di Isabella Ragonese, in scena dall’inizio alla fine, come lo era stata nel personaggio di Nena, mentre affrontava con coraggio il primo difficile incarico della sua vita.
Un film semplice, ma chi diceva che la semplicità è una complessità risolta? Sa dirigere per sottrazione, Giorgia Cecere, che non è una dote da poco; forse per questo non ha potuto fare a meno della Ragonese che per sottrazione sa recitare. Ha lavorato con D’Amelio e Winspeare. E’ stata allieva di Olmi, come Giorgio Diritti, come lui maestra di sobrietà, e se il titolo dell’ultimo film di Diritti è “Un giorno devi andare”, “In un posto bellissimo” sembra voler dare la direzione di quel vagare alla ricerca di se stessi, stabilirne il traguardo. Della psiche, della mente, dell’anima, perché non c’è bisogno di attraversare l’oceano, quando si decide di vivere davvero la propria vita, anziché tenerla semplicemente a bada. E Giorgia Cecere, con i personaggi di Lucia e di Nena, sembra volerci dire che le donne sanno quando e come iniziare il viaggio.
Margherita Fratantonio