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‘Avatar 3 – Fuoco e cenere’ – Colonialismo, specie e identità

Pandora come specchio di un'umanità alla deriva. Cosa significa davvero la parola appartenenza?

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A sedici anni dall’uscita del primo Avatar e a tre anni dal suo seguito La via dell’acqua, il terzo attesissimo capitolo Avatar: Fuoco e Cenere arriva finalmente nelle sale il 17 dicembre, portando avanti una saga che nel tempo ha alternato entusiasmo e perplessità. Con una durata di 195 minuti, il film riapre la storia di Pandora e prosegue l’espansione di un universo narrativo ormai consolidato nei colori vibranti e affidato alle ultime generazioni di effetti speciali: motion capture, stereoscopia 3d, fusion camera e CGI.

Alla regia c’è ancora James Cameron, affiancato dalle produzioni Lightstorm Entertainment, 20th Century Studios e TSG Entertainment Finance LLC, con quasi 4mila professionisti tra i titoli di coda e un budget di circa 250 milioni di dollari, sensibilmente inferiore a quello del film precedente nonostante gran parte della produzione sia avvenuta in tandem, per gestire effetti speciali, riprese subacquee e soprattutto la crescita degli attori.

Dove eravamo rimasti?

Per chi non ricordasse esattamente il punto in cui eravamo rimasti, La via dell’acqua (2022) si apriva con il ritorno del Colonnello Quaritch (Stephen Lang) in forma avatar, grazie a un backup mnemonico, deciso più che mai a eliminare Jake Sully (Sam Worthington), ormai guida del clan Omaticaya.

Per proteggere la sua famiglia e il suo popolo — Neytiri e i figli Neteyam, Lo’ak, Tuk, Tiri (figlia della dottoressa Grace Augustine) e Spider, quest’ultimo figlio umano dello stesso Quaritch — Jake abbandona la foresta e trova rifugio presso la tribù oceanica dei Metkayina, guidata dalla tsahìk Ronal (Kate Winslet) e Tonowari (Cliff Curtis). La guerra vede ancora una volta contrapposti Na’vi e RDA, tra caccia ai Tulkun, ambrosia e violenze coloniali, fino alla sconfitta di Quaritch e alla morte del primogenito Neteyam, salutato all’Albero della Vita e ormai in viaggio con gli antenati delle terre acquee. Il gesto di Spider, che infine salva il padre, lascia però aperta la porta a nuove minacce.

Ed è da questo equilibrio precario — una famiglia ferita, un nemico sopravvissuto e Pandora sempre più contesa — che inizia il terzo capitolo, Avatar: Fuoco e Cenere.

Avatar Fire and Ash

Oona Chaplin alias Varang, Avatar: Fire and Ash

Avatar 3 – Prevedibili scenari, possibili spoiler

Il film si apre nei giorni del lutto per Neteyam. I Metkayina hanno accolto i Sully come parte della loro gente, ma l’ombra dell’RDA continua a incombere. Jake, consapevole di una fragile e apparente pace, addestra la famiglia a difendersi; Lo’ak, segnato dalla perdita del fratello, impara a usare le armi per proteggere le sorelle. In questo scenario complesso Spider diventa il perno attorno cui si concatenano gli eventi.

Fuoco e Cenere: nuove tribù negli equilibri di Pandora

È a partire da questi fili tesi che il film sembra porre una domanda cruciale: da cosa nasce davvero l’appartenenza a una famiglia, a un popolo? I fratelli considerano Spider uno dei loro, mentre Jake e Neytiri (Zoe Saldana), divisi tra affetto e paura, decidono di portarlo in un luogo più sicuro. A scortarli c’è una nuova tribù nomade, pacifica e neutrale, i Commercianti del Vento, che solcano le correnti del cielo su grandi vascelli volanti trainati da enormi meduse celesti.

Ma il viaggio è interrotto dall’attacco improvviso del clan del Fuoco, gli Ash, una tribù nomade modellata dalla cenere dei vulcani e votata alla sopravvivenza feroce. La loro tsahìk, Varang (Oona Chaplin) ingaggia immediatamente una lotta aerea con Neytiri, mentre nel caos i figli dei Sully vengono catturati. Contrariamente al motto ricorrente, la famiglia si divide: Neytiri, ferita, torna alla base per curarsi; Jake si addentra nella foresta alla ricerca dei ragazzi, nel frattempo vagabondi per la foresta nel tentativo di sfuggire a Varang.

Kiri, la vera protagonista del terzo capitolo

Parallelamente rientra in scena Quaritch, deciso come sempre a spezzare il legame tra Jake e Pandora. Le linee narrative convergono in un crescendo di inseguimenti, alleanze instabili e tradimenti, mentre Kiri manifesta un legame sempre più profondo con la vita del pianeta e con Spider, il quale viene avvolto dal micelio ed evolve in una forma di adattamento all’atmosfera di Pandora che è come quella dei Na’vi: un umano che può respirare senza maschera è una rivoluzione, ma anche una pericolosa calamità. È in questo contesto che si rivela il segreto d’origine di Kiri, un dono sbocciato nel momento in cui la dottoressa Grace Augustine si è spenta sotto l’Albero delle Anime, una vita che Eywa ha voluto preservare impiantando un seme dalla Terra.

Il potere spirituale di Kiri consente ai Sully di sfuggire temporaneamente agli Ash, ma Varang, attratta dalle armi umane, stringe ben presto un’alleanza con Quaritch, e un nuovo assalto mette i Metkayina in ginocchio.

Avatar fuoco e cenere

Jack Champion alias Spider, Avatar: Fire and Ash

“I Sully restano uniti”

Jake viene catturato dagli umani e mostrato come trofeo, ma Neytiri, mascherata dai colori degli Ash e affilata come un’ombra, lo libera con l’aiuto del biologo marino Ian Marvin (Jemaine Clement) e di Spider, ormai considerato un miracolo vivente. È il segnale: Toruk Makto deve tornare. Quindici clan Na’vi rispondono alla chiamata quando l’RDA prepara un attacco devastante durante la grande riunione dei piccoli Tulkun. Lo’ak, finalmente ascoltato e visto dal padre, avverte la matriarca dei Tulkun e riabilita suo “fratello” Payakan, trasformando il reietto Tulkun in un combattente decisivo.

La battaglia finale è immensa e disperata. La tsahìk Ronal, mortalmente ferita, dà alla luce un nuovo Metkayna: Neytiri lo accoglie tra le braccia mentre il villaggio brucia, in una delle sequenze più emotive del film. Quando lo scontro è sul punto di travolgere il mondo dei Na’vi, accade l’impensabile: Kiri, sostenuta da Spider e Tuk, si abbandona completamente al flusso di vita che la attraversa. È allora che Eywa si manifesta. Non più come una presenza indistinta, ma come un volto fatto di luce, impossibile da toccare, che osserva Kiri e attraverso lei tutto il popolo di Pandora.

La potenza di Eywa basterà a vincere la guerra?

Il risveglio della Grande Madre richiama ogni creatura, ogni radice, ogni onda. Pandora stessa si leva a difesa del proprio equilibrio, ribaltando il destino della guerra. Quaritch cade, l’RDA è respinta, e i Sully, esausti, feriti, ma uniti, vincono la loro battaglia. Eppure, mentre l’alba torna a illuminare il mare dei Metkayina, una consapevolezza attraversa Jake, Neytiri e l’intero popolo: la guerra vera, quella che deciderà il futuro del pianeta e di ogni forma di vita che la abita, non è ancora finita. Ma per la prima volta, con Toruk Makto tornato a guidare i clan e con Eywa che si è mostrata, sembra possibile vincerla.

Spiritualità come architettura del mondo

In Avatar 3 la dimensione spirituale torna a essere il cuore del racconto, recuperando lo stupore del primo film e superando la dispersione esotica del secondo. Cameron ricolloca l’attenzione sul mondo vivente come organismo intelligente, dove la fede dei Na’vi supera la superstizione e assume i contorni di una forma di scienza evoluta. La spiritualità è l’impalcatura stessa di Pandora con una sua biologia ben descritta che travalica la banale ornamentazione folkoristica.

I Monti Alleluia sospesi, le meduse celesti, le farfalle marine che regolano il respiro, i filamenti di micelio che cambiano la fisiologia, la treccia sinaptica che unisce creature e antenati, l’unobtanium del magnetico Vortice del Flusso, che da risorsa per gli umani diventa la loro stessa rovina: tutto ciò non viene evocato come nostalgia visiva, ma come ritorno alla “materia fondante” dell’universo cameroniano, un mondo che esiste sotto i nostri occhi anche nella realtà, ma che l’umanità contemporanea non è più capace di percepire e valorizzare.

Kiri, il ponte tra scienza e divinità

Figura centrale di questo ritorno è Kiri — interpretata sempre da Sigourney Weaver — che incarna la tensione tra razionalità e sacro. La sua epilessia, lontana dall’essere una debolezza, si rivela sintomo di una connessione eccessiva con Eywa, un flusso di informazioni impossibile da contenere in un corpo umanoide. È lei il punto d’incontro tra la ricerca della dottoressa Augustine — che ritorna quindi come fantasma scientifico — e la volontà creativa della Grande Madre. La rivelazione della sua origine, un dono germogliato nel momento della morte di Grace sotto l’Albero delle Anime, fonde in un solo gesto biochimica e divinità.

In questo processo il micelio assume una funzione nuova: una sinapsi planetaria che permette non solo la comunicazione tra le specie, ma veri e propri adattamenti evolutivi, come accade a Spider quando la rete fungina riorganizza la sua fisiologia per renderlo parte del mondo di Pandora. Parallelamente, i Tulkun emergono come intelligenza sorella dei Na’vi, capaci di emozioni, linguaggi e strutture sociali complesse: un’altra civiltà, non umana ma altrettanto degna di essere ascoltata e accolta nella sfida alla preservazione del pianeta.

Fuoco e Cenere

Britain Dalton alias Lo’ak, Sigourney Weaver alias Kiri, Avatar: Fire and Ash

Pandora come specchio della nostra cecità

L’impresa di Cameron, qui più evidente che nel secondo volume, non è costruire un’epica fine a se stessa, come una serie di avventure in cui l’eroe Na’vi si destreggia come un eroe per affermarsi nella sua areté. Cameron piuttosto usa l’epica come lente per raccontare un mondo che assomiglia al nostro e che abbiamo smesso di visualizzare, ancor prima di vedere.

La battaglia tra clan, umani e RDA è solo la superficie: sotto scorre un discorso molto più ampio, che riguarda la pluralità delle intelligenze, la fragilità degli ecosistemi, la sacralità inscritta nella materia vivente. Fuoco e Cenere si fa metafora di un mondo in cui spiritualità, scienza e natura non sono entità separate ma parti di un’unica rete. In questo senso Pandora si allontana dall’essere un luogo da esplorare, e diventa un richiamo alla nostra cecità: uno schiaffo che ci sveglia e ci mostra ciò che ignoriamo, ciò che distruggiamo e ciò che potremmo, invece, ancora comprendere. La vera epopea, ci dice Cameron, non è la guerra che si combatte ad armi impari, ma la riconquista di una sensibilità perduta.

Colonialismo spaziale e il ritratto impietoso dell’umanità

Negli ultimi dieci anni la fantascienza ha moltiplicato le narrazioni sul collasso della Terra e sulla corsa a colonizzare nuovi pianeti: da Interstellar a The Expanse, da Ad Astra a The Wandering Earth, fino a Dune e For All Mankind, il cinema e la serialità hanno spesso interpretato l’ignoto come un rifugio, un piano B per una specie che non ha saputo proteggere la propria casa.

Cameron, invece, ribalta questa prospettiva: non è più solo la fuga dell’umanità, ma la sua minacciosa invasione in terre lontane. E lo fa in modo durissimo. Gli umani di Avatar non sono pionieri né abili visionari. Sono brutali, arroganti, incapaci di leggere l’alterità. Cameron li ritrae come una specie piccola, stolta, fragile, limitata, rumorosa e fortemente militarizzata, che per colmare la sua inferiorità deve circondarsi di macchine, esoscheletri, astronavi e ferraglie. Laddove i Na’vi vivono immersi in un mondo che li supera, gli umani devono indossare armature e respiratori per attraversarlo senza morirne.

«Parliamo di odio, mancanza di empatia, isolamento. Temi che stanno avvelenando il nostro mondo. Metterli su un altro pianeta permette agli spettatori di vederli con più chiarezza.»

È un’immagine, quella di cui parla Cameron, che risuona con gli eventi storici recenti, guerre, crisi climatiche, sfruttamento delle risorse. La saga però non è un’allegoria diretta ma funge da avvertimento in fase di amara rassegnazione. Non ci chiede di cercare parallelismi apparenti, ci mostra ciò che siamo diventati quando già non ci vediamo più nella degenerazione di un progresso tecnologico che invece di salvarci ci porta alla deriva della specie. La scelta più radicale di Cameron è rendere la nostra stessa specie la più difficile da sopportare: nel mondo di Pandora, gli “alieni”, come li definisce Neytiri, siamo proprio noi.

Razzismo, specismo e il problema dell’appartenenza

Parallelamente al discorso coloniale — e quindi territoriale e ambientale  — Fuoco e Cenere non può non indagare la questione dell’identità e dell’appartenenza con una lucidità nuova. Cos’è che definisce una specie? Un corpo? Un’origine biologica? Un comportamento? Spider diventa il punto di frizione: è umano, ma cresce come un Na’vi. È escluso dalla fisiologia di Pandora — deve indossare una maschera per respirare — eppure ne condivide i codici emotivi e morali più di molti Na’vi, sicuramente più degli Ash.

Il film mette a nudo proprio questo: la maschera da supporto tecnico diventa simbolo dell’ostacolo tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere. Indossarla non basta per essere Na’vi. Ma Spider, attraverso la sua sensibilità e il rispetto dei confini del mondo che lo ospita, finisce per essere accolto da Eywa e invitato a beneficiare dell’atmosfera che lo ospita. Cameron sembra suggerire che l’appartenenza non risiede nella matrice genetica ma nel gesto etico: chi sa ascoltare il mondo merita di farne parte.

La stessa Neytiri attraversa un percorso complesso. Dice di lei lo stesso Cameron:

«È spezzata. Vive nell’odio. E questo la rende razzista. Deve imparare a vedere oltre il colore della pelle, o del pigmento, per riscoprire l’umanità negli altri.»

Neytiri rifiuta Spider perché incarna la violenza umana, ma deve riconoscere di essere madre di tre figli “mezzosangue” e compagna di un ex marine avatar. Quando si traveste da membro degli Ash per infiltrarsi tra i nemici — una maschera identitaria più che fisica — comprende che la pelle non determina ciò che siamo. È la sensibilità a farlo. È per questo che gli umani che hanno scelto Pandora (come il dottor Norm Spellman),  vengono trattati come ospiti legittimi: non perché assomigliano ai Na’vi, ma perché li ammirano, li rispettano.

avatar 3 fuoco e cenere

Zoe Saldana alias Neytiri, Avatar: Fire and Ash

Differenze visibili, confini mobili: il mondo secondo Cameron

Cameron sottolinea le differenze, marca i confini, li mette in primo piano, sostanzialmente ce li sbatte in faccia e risveglia le coscienze dall’appiattimento cerebrale.

Già nel secondo film il contrasto tra Omaticaya e Metkayina mostrava quanto fosse erronea l’idea di un popolo Na’vi omogeneo: i primi snelli, agili, arboricoli; i secondi più massicci, con pinne e capacità anfibie, dotati di una lingua dei segni complessa e di un rapporto con il mare radicalmente profondo. Fuoco e Cenere continua questo discorso e lo amplia, introducendo il clan del Fuoco e i Commercianti del Vento come ulteriore variazione culturale e morale all’interno della stessa specie. Due popoli nomadi che agiscono entrambi nei loro interessi, uno fortemente aggressivo e oppressivo, l’altro neutrale e completamente disinteressato alle logiche territoriali.

In questo episodio Cameron fa un passo in più e il messaggio è chiarissimo: differenza non significa gerarchia. Non c’è alcun chiasmo, nessuna equazione, nessun rapporto identitario tra buoni e cattivi, tra Na’vi e umani. Le forme del corpo, i luoghi di appartenenza, le capacità fisiche non definiscono il valore o la rettitudine di una comunità. Al contrario, Cameron mostra come ogni popolo sia attraversato da sfumature, tradizioni e contraddizioni. E come il rifiuto dell’alterità generi solo violenza, sfruttamento e perdita. Avatar 3 parla di confini invalicabili e di un’ospitalità possibile, di come l’identità sia un processo in divenire e non una trincea da difendere, una conquista personale e non territoriale.

Nel rifiuto degli umani colonizzatori e nell’accoglienza selettiva dei Na’vi, James Cameron mette in scena una verità scomoda: non apparteniamo a un luogo perché ci somiglia, ma perché lo riconosciamo prezioso come un utero che ci dona la vita, divenendo noi protettori e custodi delle ricchezze che Madre Natura (o Eywa) ci riserva.

Un’epopea che insegue il suo respiro

Forse è inevitabile che un mondo tanto vasto viva anche delle sue fratture: i lunghi intervalli nella successione dei capitoli e le cuciture, a volte lievi, che collegano epoche diverse della narrazione smussano quella continuità che renderebbe Pandora un flusso unico e non una serie di ripartenze. È un destino curioso, quasi un’epopea alla rovescia, con il risultato che ogni capitolo sembra dover ricominciare da capo in una matriosca degna del peggior incubo di Charlie Brooker.

E mentre Cameron prova con forza a riallineare il nostro sistema percettivo, la struttura dei film resta ancorata a un ritmo che ritorna sempre uguale a se stesso: la fuga, la minaccia, la famiglia, l’assalto, la battaglia, l’antagonismo netto — una partitura che a tratti ricorda l’indovinello del lupo, della capra e del cavolo, con personaggi da traghettare da una sponda all’altra senza che si divorino narrativamente a vicenda, generando un effetto quasi comico nella sua ripetitività.

Dentro questa oscillazione si colloca anche il clan dei Commercianti del Vento, introdotto come nuovo respiro in un mosaico già ricco ma ancora troppo fugace, e che, proprio per questo, lascia sospesa una domanda: se dovremo attendere ancora anni prima di rivedere Pandora, ritroveremo questa gente dell’aria con lo spazio che merita, o resterà un accenno disperso in un mondo che, paradossalmente, si espande mentre sfugge?

Fuoco e Cenere

Ad anni luce

Per ora, stando alle prime anticipazioni, sembrerebbe che James Cameron voglia davvero competere con i suoi stessi record e con Ulisse: se l’eroe omerico ha impiegato dieci anni per ritrovare Itaca, a lui ne serviranno venti per completare quattro passi su Pandora, con Avatar 4 atteso, almeno sulla carta, nel 2029. Nel frattempo i piccoli Sully in versione umana hanno già accumulato almeno cinque anni reali dalla lavorazione di Fuoco e Cenere, mentre i loro alter ego Na’vi ne dimostreranno otto in più quando torneremo a vederli. A noi, invece, non resta che infilarci di nuovo gli occhialetti 3D e sperare che si abbinino bene ai capelli bianchi che abbiamo collezionato nel frattempo.

Avatar - Fuoco e cenere

  • Anno: 2025
  • Durata: 195'
  • Distribuzione: 20th Cerntury Studios
  • Genere: Fantascienza, Azione, Avventura
  • Nazionalita: USA
  • Regia: James Cameron
  • Data di uscita: 17-December-2025