Chess of the Wind (1976) di Mohammad Reza Aslani, oggi su RaiPlay in lingua originale sottotitolata, è un film che incanta tanto per la sua forza estetica quanto per l’incredibile vicenda che ne ha accompagnato la riscoperta. Aslani, figura di spicco del cinema sperimentale iraniano, con questo film firma una delle sue rare prove di finzione, dando vita a una pellicola sorprendentemente moderna e in anticipo sui tempi.
Realizzato nel 1976, il film affrontò un destino iniziale sfortunato: i cinema di Teheran lo proiettarono soltanto un paio di volte e la critica lo accolse duramente a causa delle sue tematiche, considerate particolarmente controverse per l’epoca. Con la Rivoluzione iraniana del 1979, le autorità bandirono l’opera e tutte le copie andarono perdute, negativi compresi, tanto da ritenere il film distrutto o definitivamente scomparso.
La svolta arrivò nel 2014, quando i figli del regista ritrovarono inaspettatamente il negativo originale in vendita in un negozio dell’usato di Teheran. Lo recuperarono, trovandolo in condizioni sorprendentemente buone, trasferirono poi il film all’estero e dove venne restaurato a Parigi grazie alla collaborazione con archivi e istituzioni specializzate.
La versione restaurata debuttò infine al Festival di Cannes del 2020, dove venne sancita la rinascita del film: da opera dimenticata a capolavoro ritrovato del cinema iraniano. Critici e cinefili ne hanno celebrato la sua estetica raffinata, l’atmosfera di decadenza aristocratica e la sofisticazione narrativa e visiva. Oggi Chess of the Wind è riconosciuto come un tassello fondamentale della nuova onda del cinema iraniano d’autore, capace di anticipare, nei tempi, negli sguardi e nelle tensioni, molte tendenze del cinema iraniano contemporaneo.
La casa degli spiriti
La trama e il tono della pellicola mostrano un’ispirazione quasi bergmaniana: una grande casa, una famiglia dinastica in decadenza e un’atmosfera carica di tensione e presagi. Sin dall’inizio, piccoli dettagli, come il sale rovesciato sul tavolo, annunciano una sventura imminente.
Iran, anni Venti. La protagonista, Aghdas, è una donna disabile, profondamente segnata dal lutto per la madre, matriarca della famiglia. Abituata al lusso e al conforto, vive in un’imponente magione circondata da una rete di servitori, insieme a un gruppo di uomini dal carattere cinico e patriarcale. Tra loro spicca Hadji Amoo, patrigno vedovo della madre, e due giovani nipoti, con i quali Aghdas entra in un acceso conflitto per l’eredità. La donna sospetta che il patrigno abbia sposato la madre per interesse e che possa essere stato lui stesso a ucciderla per impossessarsi della proprietà della tenuta, che Aghdas vuole mantenere a tutti i costi.
Ne nasce un lento e violento crescendo di giochi di potere, intervallato da momenti in cui un gruppo di lavandaie pettegole osservano e commentano gli eventi della grande casa, creando un interessante contrasto tra alto e basso, aristocrazia e servitù.

Abitare l’avidità
Il ritmo del film diventa progressivamente serrato, simile a un moderno thriller contemporaneo. La protagonista prende sempre maggiore controllo di sé e della sua condizione, grazie all’aiuto di Kanizak, servitrice apparentemente fidata, con l’obiettivo di consolidare la proprietà e neutralizzare Hadji Amoo.
Il piano riesce: Aghdas sembra rinascere, il lutto si trasforma in vitalità, e anche il suo guardaroba riflette questo cambiamento, passando dal nero del lutto a colori più vivaci. Tuttavia, la casa sembra ormai infestata da oscure presenze. La donna è tormentata da apparizioni soprannaturali, forse fantasmi incarnazione della sua stessa avidità. Come recita il proverbio, “chi semina vento raccoglie tempesta”, accecata dalla cupidigia e avendo lasciato una scia di distruzione, Aghdas diventa vittima della sua stessa casa.
La vicenda si chiude con una resa dei conti sconvolgente, che rivela segreti nascosti e verità scottanti, confermando la pellicola come un avvincente intreccio di decadenza e potere.

Donne e potere in Iran: incroci tra passato e presente
Chess of the Wind è un film dai toni sorprendentemente moderni e, forse proprio per questo, considerato pericoloso. Gli stessi elementi che oggi lo rendono così attuale sono gli stessi che oltre quarant’anni fa ne decretarono la condanna. È un’opera che continua a esercitare un forte fascino proprio perché parla ancora al nostro presente.
Centrale è il ruolo della figura femminile. In una delle battute più incisive del film, un personaggio chiave afferma, riferendosi ai sogni premonitori e al soprannaturale:
«Dicono che i sogni delle donne vadano letti al contrario.»
In un Paese come l’Iran, dove la condizione femminile resta fragile e schiacciata, anche l’arte cinematografica è costantemente controllata e repressa, come dimostra la recente incarcerazione del regista Jafar Panahi.
All’interno di questo contesto, i sogni delle donne devono davvero essere letti “al contrario”: quei sogni capovolti evocano una verità nascosta e suggeriscono che nulla è come appare. Questo vale soprattutto per le donne della casa, intrappolate in un ambiente dominato da figure maschili. Eppure, nel film, esse cercano di resistere, di scontrarsi con quel potere e di non soccombere.
Questa frase racchiude il risultato di un sistema che costringe le donne a celare, invertire o mascherare i propri desideri. In una cultura patriarcale, la loro voce è spesso ignorata o, peggio, deformata, e ciò che resta è un linguaggio fatto di simboli, allusioni e sogni che dicono la verità soltanto rovesciandola.
