Un film, Self/less, non particolarmente riuscito, in quanto compromesso ab origine da una sceneggiatura poco condivisibile negli intenti, e, più in generale, non sempre efficace. Comunque lo si può vedere per i temi trattati, magari per prenderne le dovute distanze.
Arriva nelle sale italiane dal 10 Settembre Self/less, ultimo film del regista indiano Tarsem Singh.
Sinossi: Un uomo anziano e ricchissimo affetto da un cancro terminale si sottopone ad una radicale procedura medica che trasferisce la propria coscienza dal suo corpo a quello di un giovane uomo sano. Le cose sembrano andare per il meglio, finchè l’uomo non comincia a scoprire i segreti dell’origine del corpo che lo ospita.
Recensione: Essere immortali, valicare i confini temporali che ci inchiodano a un corpo che nasce, cresce, invecchia e inesorabilmente perisce: ma noi non abbiamo un corpo, siamo un corpo, per cui pensare di accedere a un’esistenza senza limiti non comporta, ovviamente, solo una mera variazione di tempo, ma una mutazione ontologica radicale, con tutte le cogenti questioni etiche annesse. Il film di Tarsem Singh, dunque, scritto dai fratelli Alex e David Pastor, drammatizza una materia che, già da sola, innescherebbe una riflessione infinita, laddove viene messo in questione un inedito, e davvero difficile da pensare fino in fondo, processo di soggettivazione, che se realizzato comporterebbe una rivoluzione che, al di là di quanto si potrebbe di primo acchito pensare, produrrebbe, forse, degli effetti sorprendentemente positivi, come ci veniva segnalato nell’ottimo film di Steven Soderbergh, Solaris (intelligente remake del film di Andrei Tarkovskij), in cui un commosso George Clooney accedeva, nella riuscitissima sequenza finale, ad una dimensione altra, ove l’amore infinito per la sua donna infrangeva le strette maglie dei limiti temporali. La scelta di variare l’argomento, pensando a un trapianto di coscienza da un corpo moribondo ad uno più giovane e sano, ma reperito illegalmente (nella fattispecie acquistato, e quindi con un proprio passato), tradisce l’intenzione degli autori di Self/Less di mettere in cattiva luce il tentativo tutto umano (troppo umano) di compiere un salto oltre la dimensione del tempo.
È chiaro che modulata con questa variazione tematica la questione dell’immortalità acquisisce necessariamente un tono etico profondamente negativo, laddove potrebbe e, forse dovrebbe, essere un amore infinito la molla propulsiva di ogni tentativo di superare se stessi. In tale ottica si potrebbe anche proporre una lettura comparata con l’ultimo film di Neill Blomkamp, Humandroid, in cui la coscienza veniva trasmessa da un corpo umano ad una macchina, l’androide Chappie, eliminando, in tal modo, tutte le possibili e prevedibili conseguenze negative sul piano morale, e inaugurando una nuova e lungimirante stagione biopolitica promossa da un sano spirito progressista.
Premesso ciò, il film di Singh scorre abbastanza piacevolmente miscelando, in maniera più o meno riuscita, le questioni sollevate con le tipiche sequenze d’azione da fanta-thriller, e riuscendo dunque a mantenere abbastanza desta l’attenzione dello spettatore; non mancano comunque momenti meno felici, soprattutto la seconda parte del film in cui la trama si sfilaccia, e le quasi due ore di visione appesantiscono la fruizione generale dell’opera. Più piacevole invece l’inizio in cui giganteggia l’ottimo Ben Kingsley che se avesse avuto più spazio probabilmente avrebbe donato un valore aggiunto all’insieme, dove invece svetta un protagonista un po’ fiacco interpretato da Ryan Reynolds; per non parlare della moglie di lui, Madeline, interpretata da una davvero poco credibile Natalie Martinez.
Un film, dunque, Self/less, non particolarmente riuscito, in quanto compromesso ab origine da una sceneggiatura poco condivisibile negli intenti, e, più in generale, non sempre efficace. Comunque lo si può vedere per i temi trattati, magari per prenderne le dovute distanze.
Luca Biscontini
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