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Mentelocale. Visioni sul territorio

‘Rigo’ di Juan Hendel: il cortometraggio che scolpisce il confine tra arte e brutalità

Il racconto della doppia vita di un uomo diviso tra la creazione e la distruzione, trasformando il gesto quotidiano in poesia visiva.

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Rigo è un cortometraggio documentario diretto da Juan Hendel, prodotto da Playlab Films e presentato alla 12ª edizione di Mente Locale – Visioni sul territorio. In appena quattordici minuti Hendel riesce a racchiudere una riflessione intensa sul dualismo umano attraverso la figura di Rigoberto, un uomo messicano che alterna la scultura del legno alla macellazione dei maiali. Il cortometraggio costruisce un racconto visivo e poetico sul rapporto tra arte e violenza, vita e morte, creazione e distruzione.

Con una fotografia attenta e un ritmo meditativo, il film ci invita a contemplare la complessità dell’esistenza quotidiana, dove il gesto artistico e quello brutale convivono nello stesso corpo e nello stesso spazio.

Un ritratto umano sospeso tra due mondi

Rigoberto è al centro di questo breve ma profondo viaggio cinematografico. Da un lato, scolpisce animali di legno con cura, dando forma alla materia con gesti pazienti e rispettosi. Dall’altro, lavora nella macellazione, un’attività in cui la stessa materia — la carne — viene distrutta, tagliata, svuotata.

In lui convivono due energie opposte: la forza vitale dell’artista e la brutalità del lavoratore. Questa tensione non è risolta, ma vissuta, accettata come parte della condizione umana. Hendel osserva il suo protagonista senza giudizio, restituendo con sguardo empatico la complessità di chi vive in equilibrio tra due estremi.

Creazione e distruzione: il ciclo inevitabile

Il cortometraggio si fonda su un contrasto che è anche complementarità: la creazione non esiste senza la distruzione, e viceversa. Ogni gesto di Rigoberto — che incide, scava, taglia — può appartenere tanto all’arte quanto al lavoro manuale.

Hendel sembra suggerire che nella vita non esiste una netta separazione tra l’atto creativo e quello distruttivo: entrambi fanno parte del medesimo ciclo naturale. L’artista e il macellaio, dunque, non sono figure opposte, ma facce di una stessa medaglia. Questa ambivalenza rimanda al concetto di trasformazione: il legno e la carne cambiano forma, e in questo mutamento si manifesta l’essenza della vita stessa.

Il corpo, sia umano che animale, è un elemento centrale del film, un luogo di conflitto. È attraverso il corpo che si manifesta la violenza, ma anche la bellezza. Le mani di Rigoberto sono il simbolo di questo doppio potere: possono distruggere, ma anche creare.
Nel gesto ripetuto dell’artigiano, il regista trova una forma di spiritualità laica. Hendel trasforma la fatica del lavoro in una coreografia lenta, quasi rituale, che richiama la sacralità dei gesti antichi.

L’arte nel quotidiano

Un altro tema chiave è la presenza dell’arte nella vita comune. Rigoberto non è un artista nel senso tradizionale del termine: non espone le sue opere, non cerca fama o riconoscimento. Tuttavia, nel suo modo di lavorare c’è una profonda consapevolezza estetica.

Hendel ci mostra che l’arte può nascere ovunque, anche nei luoghi più umili, e che la bellezza non appartiene solo alle gallerie o ai musei, ma può vivere nella bottega di un villaggio, tra la polvere e il sudore.

Uno sguardo documentario intimo e contemplativo

Juan Hendel adotta uno stile sobrio, essenziale, in cui la macchina da presa osserva più che intervenire. L’approccio è tipico del documentario d’autore contemporaneo, che cerca la verità nei piccoli dettagli, nei silenzi, nelle attese.

Non ci sono interviste né commenti esterni: lo spettatore è immerso nella quotidianità di Rigoberto, invitato a cogliere da sé i significati. Questo silenzio narrativo diventa un linguaggio: un modo per rispettare il soggetto e lasciare spazio alla riflessione personale.
La fotografia gioca un ruolo fondamentale. Hendel lavora con la luce naturale, sfruttando ombre e contrasti per enfatizzare la materia — il legno, la pelle, il sangue. Ogni immagine è curata come un quadro, ma non perde mai la spontaneità del reale.

Il ritmo di Rigo è lento, meditativo. Non c’è fretta nel raccontare, perché l’essenza del film sta nel tempo stesso che scorre, nel modo in cui il gesto si ripete fino a diventare rituale.

Questa lentezza non è una mancanza di azione, ma una scelta poetica. Hendel chiede allo spettatore di rallentare, di osservare con attenzione, di entrare in sintonia con la vita del protagonista. È un invito a guardare davvero, senza distrazioni.

La dimensione poetica del reale

Ciò che colpisce in Rigo è la capacità del regista di trovare poesia nel quotidiano. Le immagini non cercano la spettacolarità, ma la verità dei piccoli momenti. Un’inquadratura di mani che levigano il legno, un riflesso di luce sulla pelle dell’animale, un respiro affaticato: tutto diventa significativo.

L’estetica del film si costruisce sull’essenzialità. Non c’è nulla di superfluo: ogni suono, ogni movimento, ogni pausa è parte di un equilibrio sottile. Questa sobrietà conferisce al film una forza rara, che nasce dalla semplicità.

Il silenzio come linguaggio

In Rigo, il silenzio è tanto importante quanto le immagini. Non è un vuoto, ma una forma di comunicazione. Hendel utilizza il suono in modo minimale, lasciando che i rumori ambientali — il raschiare del legno, il fruscio delle lame, il respiro del protagonista — diventino una colonna sonora naturale.

Questo uso del suono crea un’atmosfera intima e immersiva, che avvicina lo spettatore all’esperienza sensoriale di Rigoberto. Non c’è bisogno di parole: tutto ciò che serve è già lì, nel ritmo del lavoro e nella materia che prende vita.

Un film sull’identità e sulla sopravvivenza

Oltre ai temi universali della vita e della morte, Rigo può essere letto anche come un film sull’identità e sulla dignità del lavoro. Rigoberto non è un eroe, ma un uomo comune che vive di ciò che sa fare. La sua arte e il suo mestiere sono due modi diversi di sopravvivere, ma entrambi rivelano una stessa verità: l’essere umano è definito dai gesti che ripete ogni giorno.

In questo senso, Rigo è anche un ritratto sociale. Hendel mostra un Messico lontano dagli stereotipi, fatto di persone che lavorano in silenzio, che creano e distruggono per necessità, non per scelta.

L’arte come resistenza

Nel film, l’arte diventa una forma di resistenza alla brutalità del mondo. Anche se Rigoberto non parla mai di sé come artista, le sue sculture rappresentano una ricerca di bellezza, un modo per dare un senso al proprio vissuto.

Hendel sembra suggerire che creare — anche nelle condizioni più dure — è un modo per sopravvivere spiritualmente. L’arte, in questo contesto, non è un privilegio, ma un istinto primario, una necessità vitale.

Un linguaggio cinematografico coerente e personale

Dal punto di vista formale, Rigo si distingue per la sua coerenza visiva. Hendel evita ogni tipo di artificio: non ci sono movimenti di macchina eccessivi né montaggi frenetici. Tutto è calibrato con precisione, come se il regista volesse eliminare qualsiasi elemento che possa distrarre dal soggetto.

Questa scelta conferisce al film una grande intensità emotiva. Ogni dettaglio risuona, ogni immagine diventa portatrice di senso. L’assenza di parole amplifica il potere visivo, trasformando il corto in un’esperienza quasi tattile.

Rigo si colloca a metà strada tra il documentario e il film d’arte. Pur raccontando una realtà concreta, Hendel ne estrae un valore simbolico, trasformando la quotidianità in un’esperienza estetica.

In questo modo, il film supera i confini del reportage e si avvicina alla videoarte o al cinema poetico. La realtà non è solo osservata, ma reinterpretata attraverso uno sguardo profondamente personale.

La forza del silenzio e della materia

Rigo di Juan Hendel è un piccolo ma prezioso esempio di cinema contemplativo. In pochi minuti riesce a condensare un universo di contrasti e armonie, invitandoci a riflettere sulla natura stessa dell’essere umano.

Con il suo linguaggio visivo puro e la sua narrazione silenziosa, Hendel costruisce un ponte tra l’arte e la vita, tra il gesto e il pensiero. Rigoberto, con le sue mani callose e il suo sguardo silenzioso, diventa simbolo di un’umanità autentica, capace di creare e distruggere, di soffrire e di amare.

In un’epoca dominata dall’immagine veloce e dal consumo superficiale, Rigo ci ricorda l’importanza di fermarsi, osservare, ascoltare. Ci insegna che la bellezza può nascere anche nei luoghi più impensati, e che ogni gesto umano, se compiuto con consapevolezza, può trasformarsi in arte.

Rigo

  • Anno: 2025
  • Durata: 14'
  • Distribuzione:
  • Nazionalita: Spagna
  • Regia: Juan Hendel