Videoheaven èil più recente progetto di Alex Ross Perry, presentato in selezione all’Archivio Aperto del Festival di Bologna. Dopo titoli come Listen Up Philip (2014) e Her Smell (2018), l’acclamato regista firma la sua opera più ambiziosa e introspettiva. Non è un semplice documentario, ma un vero e proprio film saggio che esplora la cultura del videonoleggio, con materiali e idee che richiamano il libro Videoland: Movie Culture at the American Video Store di Daniel Herbert.
Con la voce narrante di Maya Hawke, conosciuta per il ruolo di Robin Bucley nella serie Netflix diStanger Things(2016), Perry costruisce un miscuglio di immagini e frammenti che celebrano il gesto – oggi “archeologico” – di entrare in videoteca, scegliere il VHS, guardarlo e poi riportarlo indietro.
Un labirinto di immagini e ricordi
La narrazione si sviluppa in modo non lineare che mescola memoria personale, storia culturale e iconografia pop. Il viaggio va dai Blockbuster dei primi anni ‘80, agli scaffali di nicchia, dai commessi ai clienti, fino al declino e alla definitiva scomparsa.
Nel film si respira una nostalgia autentica. Il videonoleggio non è solo un fenomeno culturale ed economico, ma anche un luogo di ritrovo segnato da paradosso tipico degli anni ’90. Qui si trovava un rifugio per cinefili, tappa fissa per momenti romantici o scenari potenzialmente imbarazzanti (il ricordo dello stanzino sul retro “adult only”).
Questa attenzione mostra come questi film erano spesso evitati, rappresentandoli sotto forma di cliché narrativo. Il personaggio provava sensi di colpa o vergogna nel noleggiare nastri illeciti (come si vede con Ben Afleck in Jersey Girl). Quel che emerge è l’intreccio di centinaia di materiali – spot televisivi, sequenze cinematografiche (tra i più iconici Body Double, Fight Club e Clerks e I am Legend) a serie TV – che ricompongono l’immaginario di un’intera epoca. Grazie a Hawke, che guida lo spettatore con grazia e intimità, il racconto resta sospeso, evitando qualsiasi pesantezza e mantenendo quel ritmo caldo e avvolgente che tiene incollati fino alla fine.
Mondovisioni nascoste, eppure irresistibili
Perry si conferma un autore capace di modulare il linguaggio cinematografico in modo sorprendente. Nei suoi lavori precedenti privilegiava lo studio dei personaggi e delle loro emozioni più profonde. Qui, invece, l’attenzione si sposta sull’ottica di chi guarda, invitando a confrontarsi con un bombardamento di stimoli visivi.
Tra le sequenze più potenti spicca l’esplorazione del retrobottega della videoteca. Un vero “luogo sacro” della cinefilia, dove ogni scaffale sembra nascondere un universo completamente sconosciuto.
L’approccio ibridorichiama il found footage di The Ring (l’ossessione per i nastri, senza quella componente horror) e porta con sé echi del film saggio di Chris Marker (San Soleil) o di Guy Maddin. Anche il montaggio gioca un ruolo decisivo che rammenta la struttura cinematografica di Los Angeles Plays Itself di Andersen, dove le immagini preesistenti diventano specchi della memoria collettiva. Ma soprattutto, il film dialoga anche con opere che riflettono sul potere del mezzo audiovisivo, come Videodrome (1983), con cui condivide il fascino verso l’immagine che altera il corpo e la mente, e Lost Highway di David Lynch, per la costruzione di un’atmosfera paranoica e caotica.
Dallo scaffale al feed glaciale
A emergere è l’idea che il videonoleggio abbia cambiato il rapporto tra spettatore e cinema. Permetteva di scoprire film mai visti in sala ed esplorarli secondo i propri gusti, al di fuori delle logiche televisive. Un’esperienza che ha plasmato intere generazioni, portandoci a risolvere il dilemma astratto del “affittare o non affittare”.
Mentre oggi, quel rituale viene sostituito dalle piattaforme digitali, dove tutto è più comodo ma anche più freddo. Perry invita a riflettere su ciò si è perso e su come il cinema non sia più soltanto una forma d’arte, ma un deposito di esperienze personali: se un tempo la videoteca era un “salotto” fisico fatto di scambi, oggi il tutto avviene, tristemente, dietro uno schermo, e la sua rappresentazione nei film contemporanei appare spesso zoppicante e talvolta stereotipata.
L’esperienza della videoteca tramonta nelle librerie domestiche della Gen X e dei primi Millennial, dove i VHS e DVD sono solo ricordi impolverati. Per le nuove generazioni, questo mondo può essere riscoperto solo attraverso film come Be Kind Rewind (2008) con Jack Black,Everything Everywhere All At Once (2022) o serie come Stranger Things(2016), ma solo pochi mostrano un rappresentazione semi veritiera di che cosa fosse un videonoleggio.
Lenta visione, lunga memoria
Non mancano, però, piccoli scivoloni lungo la strada. In certi passaggi il materiale d’archivio si ripete e il ritmo si fa più pigro, rischiando di allontanare lo spettatore poco paziente. Soprattutto nella parte centrale, che sembra parlare più a se stessa che a chi guarda.
Con le sue tre ore di montaggio, il film richiede comunque molta disponibilità. Ma è proprio questa scelta a renderlo anche unico. Videoheaven parla soprattutto ai cinefili, che vi ritroveranno il brivido della memoria condivisa, ma è anche un invito a quella fetta di spettatori che vuole conoscere il lato più sperimentale del cinema, gettando una luce nuova su quello che è l’era dello streaming.
Perry celebra un’epoca e lo fa con eleganza, competenza e, soprattutto, con amore genuino per il cinema. Ne nasce un ricordo vibrante che vede nelle videocassette l’origine di qualcosa che non può, e forse non deve, svanire nella mente della quotidianità digitale. Bisogna tramandarla, anche solo sottilmente e in modo autentico.
Il risultato è un invito a riavvolgere il nastro, prima di premere “play” su un presente ormai smarrito.