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Alice nella città

‘I fantasmi’: recensione del cortometraggio e intervista a Federico Papagna

"Rappresentare la violenza a volte ci fa capire la gravità delle cose". Federico Papagna ricostruisce un evento drammatico in tutta la sua crudeltà. Ma con uno sguardo particolare

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I fantasmi

Già presentato al Tirana International Film Festival, il cortometraggio di Federico Papagna, I fantasmi (titolo internazionale, The Ghosts). arriva ora a Roma per Alice nelle città. Il giovane regista ne ha curato anche sceneggiatura e montaggio.

Cast: Marcel Aka, Tommaso Badioli, Samuel Fantini, Simone Flandina, Simone Lemma, Morgan Sebastian Wahr.

I fantasmi: la trama del corto

Nella provincia laziale, due adolescenti,  insieme a degli amici, cercano insistentemente Luca, un loro coetaneo al quale hanno consegnato in anticipo una piccola somma di denaro senza ricevere l’hashish richiesto. Filippo, uno dei ragazzi coinvolti nella truffa, deve cercare di mantenere segreto il piano violento escogitato dai suoi compagni per vendicarsi (Dal sito di Alice nelle città, 2025).

Nella realtà, il fatto di cronaca nera del 2024 raccontato ne I fantasmi è avvenuto in Abruzzo. Ha sconvolto la città, e ha avuto una forte risonanza ovunque per la violenza inaudita e gratuita consumata in un gruppo di diciassettenni, senza la minima consapevolezza della sua gravità.

I fantasmi: Il punto di vista dell’adolescente

Eretico Papagna sceglie il punto di vista di chi invece una coscienza la possiede, testimone e vittima a sua volta, perché dentro il gruppo, ma complice solo in parte e sotto minaccia. Nei quindici minuti del corto, il personaggio di Filippo racchiude in sé tutta l’insostenibilità del suo drammatico momento esistenziale. Una strada apparentemente senza uscita e un dolore indicibile.

Il regista, come ci spiegherà in seguito, ha lavorato con pazienza insieme a Tommaso Badioli  nella costruzione del personaggio, fornendogli parecchi stimoli, fino al risultato che è sotto i nostri occhi: un adolescente introverso, che sembra lì solo per caso, tanto è diverso dai suoi amici. E che vorremmo proteggere evitandogli quella terrificante discesa agli inferi che risparmieremmo anche a noi stessi. Filippo è perfetto nella postura, nei gesti, nello sguardo. Una scena in particolare lo ritrae mentre osserva ciò che avviene davanti a sé, al di là di una rete metallica, a simboleggiare la sua distanza e, nello stesso tempo, la colpa che lo invade prima ancora di agire. Un’altra, mentre sposta il peso del corpo, in un dondolio appena accennato che rende la sua inquietudine, molto più delle parole.

I fantasmi

Il personaggio di Filippo oltre la rete (sito Filmitalia)

Il punto di vista degli adulti

In questa breve e così incisiva narrazione, gli adulti sono presenti solo all’inizio e alla fine, in momenti che amplificano la distanza tra le loro preoccupazioni e l’impenetrabilità dei figli. Chi ha detto che ciò che per i genitori è un problema, per i ragazzi in realtà può essere una soluzione? Si potrebbero spiegare così l’adesione di Filippo a un gruppo che non gli somiglia e la sua remissività nei suoi confronti. Chissà quali fantasmi interiori deve tenere a bada! Chissà da cosa deve fuggire! Filippo rappresenta tutti i ragazzi che, sbagliando la scelta della compagnia, perdono volontà, individualità, e il senso del Sé, pur di non essere esclusi. Gli adulti, invece, il divario tra la loro percezione dei figli e la realtà dello smarrimento adolescenziale.

Luci e ambienti

I fantasmi

Filippo nella sua stanza (Allegorie Production)

È giorno, ma gli interni dell’inizio, nella stanza di Filippo, sono illuminati solo dalla luce del cellulare con i messaggi concitati degli amici. Gli esterni non hanno la brillantezza della giornata estiva nella realtà (era il mese di giugno). I colori tendono a spegnersi e il sole in spiaggia sta calando, in questo pomeriggio invernale o quasi primaverile. Il parco e il mare, luoghi in cui i giovani dovrebbero sostare allegramente, o fare un bagno spensierato, fanno da sfondo all’orrore. La fotografia di Marco Minghi coglie momenti del giorno e della stagione di una luce opaca, verso l’imbrunire, perché non può esserci limpidezza in una storia che limpida non è.

Le musiche

Ringraziamo il regista per il sapiente utilizzo delle musiche (di Michele Benignetti e Gabriele Rubero), mai invasivo, come spesso succede, ahinoi, in molte produzioni filmiche attuali, che sostituiscono le musiche ai dialoghi o finiscono per sovrastarli. Non ci sono note aggiunte nella scena di Filippo oltre la rete, ma solo il rumore del traffico e del vento che muove le foglie. Non ci sono espedienti superflui, tecnici o narrativi, nel quindici minuti de I fantasmi.

Il suo pregio maggiore è proprio quello di aver saputo contenere tanta violenza, fisica e verbale, nella sobrietà che rende la storia ancora più intollerabile, perché autentica.

Intervista a Federico Papagna

I fantasmi

Federico Papagna. Foto concessa dal regista

Cominciamo dal titolo. Chi sono questi fantasmi? I ragazzi del gruppo, che non hanno il senso del confine tra il bene e il male? O anche  i fantasmi interiori di Filippo?

Il titolo è stato strappato dal titolo di un bellissimo film francese, Les Fantômes (diretto da Jonathan Millet). Sì, esatto, in un certo senso rispecchia l’anima dei personaggi, il loro essere al mondo a livello metaforico ed esistenziale. Ma è anche la rappresentazione di uno stato emotivo e sociale non chiaro, trasparente, come la loro percezione di sé stessi e del loro futuro, per esempio. La provincia ti lascia spesso questa sensazione di dispersione e confusione. Mi interessava, quindi, raccontare degli adolescenti come dei fantasmi che vagavano nella città in cerca di qualcosa che li liberasse da un peso. Inoltre, Filippo, il protagonista, dopo l’evento, assapora e vive il vero peso della vita, ed è lì che “diventa umano”, o meglio, adulto.

E come mai hai voluto rappresentare proprio questo evento così violento? Qual è stata la  spinta iniziale. Quale l’obiettivo?

Dopo l’accaduto ho sentito qualcosa di forte, una di quelle sensazioni che ti rimangano attaccate per diverso tempo. Così, dopo due mesi ho deciso di scriverne. La prima stesura è durata più o meno due giorni. Era tutto già scritto. La storia era piena di moventi tanto raccapriccianti quanto affascinanti, bastava soltanto trovare il modo. Normalmente, io sono attratto dall’insicurezza, dalla paura e dalla psicologia umana; quindi era qualcosa che da subito mi ha colpito. Viviamo in un mondo dove la violenza ci viene mostrata ogni giorno; non sono troppo contrario a farlo, perché a volte ci fa capire la gravità delle cose. La parola violenza, soprattutto in questo periodo storico, ci è chiarissima, in tutte le sue forme. Quindi, si può dire che questo cortometraggio è soltanto una conseguenza e rispecchia l’ambivalenza di quello che per me è Cinema e quello che sono costretto a vivere tutti giorni. In aggiunta, io sono nato e cresciuto a Pescara e, dopo aver sentito la storia, ho pensato: “potevo esserci anch’io lì, anch’io potevo essere amico di quei due ragazzi”, perché la violenza sa nascondersi benissimo ed emerge nei momenti peggiori della vita di qualcuno.

Il film è sconvolgente. In un quarto d’ora riesce a impressionare lo spettatore, molto più di un lungometraggio. Come sei riuscito a creare una tensione simile?

Era fondamentale per me avere un ritmo teso, perché volevo trasportare tutto quello che avevo vissuto io sentendo e leggendo di quell’evento. Il mio approccio è stato proprio questo: raccontare i fatti, niente più. Per farlo, però, ho scelto un punto di vista che per me era più adeguato per restituire questa tensione: attraverso gli occhi del ragazzo che nella storia reale ha fatto da palo. In questo modo avevo un punto di vista esterno ma allo stesso tempo molto interno ai fatti e, con una aggiunta di scrittura in più, ho scaricato tutto il peso su di lui, in modo tale che la narrazione fosse costantemente in bilico.

Come hanno risposto i ragazzi a dover interpretare ruoli di tale violenza?

I fantasmi

Una scena del film. Allegorie Distribution

Con loro abbiamo lavorato in maniera molto semplice, eccetto per il protagonista Tommaso Badioli.  Con lui è stato fatto un vero e proprio lavoro di costruzione del personaggio, l’ho riempito di stimoli (film, immagini ecc…). Per ogni attore ho colto un elemento caratteriale per inserirlo nel personaggio. Ma in generale per me era fondamentale l’elemento della naturalezza. Sono un amante del cinema francese e fortemente europeo. Mi sono formato soprattutto con quello stile che è strettamente legato al cinema iraniano e quello italiano degli anni ‘60. Per cui, li ho lasciati liberi a volte di improvvisare e in questo sono stati bravissimi. Devo loro tantissimo.

Infatti, sì, sono stati in grado di dare corpo e voce a personaggi scomodi, oltre che a scene altamente respingenti. Come sono stati scelti?

Il casting è stato effettuato in maniera abbastanza classica: tramite agenzie per attori. Non avendo budget, ho scritto poi io direttamente agli attori principali su Instagram e ci siamo incontrati. Inizialmente cercavo dei volti diversi fra loro, così da avere tridimensionalità visiva e un’immediata individualità caratteriale dei personaggi, che andava in contrasto con l’idea di gruppo che invece vediamo nel film. Inoltre, per tre di loro, che, oltre al protagonista, avevano un ruolo fondamentale, ho provato a fare un casting che riprendesse i lineamenti visivi dei ragazzi coinvolti nella storia reale. Il gruppo, visto poi recitare insieme, funzionava benissimo. C’era armonia. A ognuno di loro avevo dato una linea emotiva e un obiettivo psicologico ben definitivi, così da creare dei conflitti interni in funzione della storia.

Scritta la storia, qual è stato il percorso del film per la sua realizzazione?

Quando ho deciso di scrivere e realizzare questo piccolo film, avevo intuito fin da subito che era un progetto facile da realizzare e con pochi mezzi. Allora, come mio solito, ne ho parlato con il mio direttore della fotografia, Marco Minghi, e lui ha subito accettato. Successivamente, io e il mio amico Francisco Javer Martinez, abbiamo racimolato qualche soldo ed eravamo pronti a partire per effettuare le riprese due mesi dopo aver scritto la sceneggiatura. Non volevo aspettare ancora. Avevo una storia forte da raccontare che mi bolliva tra le mani. Di seguito, altre due produzioni indipendenti, Circuito Totale e One Shot Production, sono entrate nel progetto e mi hanno permesso con pochissimo di chiudere la post produzione e distribuire il film. Tutto è stato fatto con questa idea: “abbiamo poco, otteniamo il massimo!”, dalla troupe al cast. Ne approfitto per ringraziare tutti i miei collaboratori, perché senza di loro non sarei qui a parlarne. In Italia si può fare cinema con poco. Anzi, questa scelta ci riporta alle origini del Cinema, alla sua essenza: poco budget ma tante idee, e parlo anche e soprattutto dei lungometraggi. Del resto, io mi ci sono avvicinato proprio grazie al suo aspetto così artigianale e creativo. Questo cortometraggio è una piccola dimostrazione che con niente si può arrivare a tanto, rimuovendo tutto il superfluo che c’è intorno e che oscura il film stesso.

A quale pubblico hai pensato: agli adulti che non dovrebbero mai abbassare la guardia, o agli adolescenti, che, anche loro, devono vigilare sulle scelte relazionali? O a entrambi?

In realtà non ho pensato al target distributivo del film, ma sicuramente la cosa che avevo in mente è che tutti gli adolescenti sono un po’ adulti e tutti gli adulti sono un po’ adolescenti. Quindi credo sia un film che arrivi a entrambi, in un modo o nell’altro. So quanto è difficile essere genitori ma so anche quanto è difficile essere figli, soprattutto in età adolescenziale. Per cui io credo che non bisogna mai smettere di comunicare le proprie emozioni, sia in età avanzata che in giovinezza, perché in Italia c’è questo tabù di esprimere le proprie debolezze. Ma io non sono uno psicologo. Faccio cinema solo per capirmi un po’ di più.

Kenneth Lonergan presidente di giuria della sezione “Onde Corte” di Alice nella città 2025 – Taxidrivers.it

Alice nella città – 15 al 26 ottobre 2025

I fantasmi

  • Anno: 2024
  • Durata: 15 minuti
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Federico Papagna