In programma nella sezione “Onde corte – Proiezione speciale” di Alice nella città 2025, Randaghi di Enrico Motti ed Emanuele Motti, già in concorso alla precedente edizione del Festival di Locarno nella rassegna “Pardi di domani”, seconda co-regia dei due fratelli artisti dopo Boyhood, inquadra il delicato e impervio passaggio verso l’età adulta in un’estetica scabra e incisiva, dove anche la parola (in dialetto napoletano), pur nell’asciuttezza dei dialoghi, scuote la purezza d’animo di due solitudini errabonde, protese verso un al di là tutto terreno, oltre i confini sperduti e anonimi dell’emarginazione, in una catarsi che si annerisce nel dramma finale, in un afflitto ma non disperato pessimismo. Un corto per scrutare, con uno sguardo residuale e liricheggiante, i sogni dei diversi, dei reietti, dei dimenticati.
Geografia della frontiera interiore
La propria percezione suggerisce a Nico di seguire Livio dopo che i due adolescenti si imbattono l’uno nell’altro. Anche se il percorso da seguire sembra chiaro, la consapevolezza dei loro spiriti liberi li farà crescere, facendogli abbandonare l’ultimo legame con il mondo artificiale a cui non più appartengono.
Stelle nel firmamento e filo spinato: è l’apertura del cortometraggio, coeso nella sua rifinita ricerca di un’immagine grezza, dove l’animazione con tratti essenziali e onirici traccia uno spazio sospeso e universale di abbandono e desolazione, quello di lande periferiche che si affacciano sul mare di Napoli, di discariche di uomini rigettati e belve fameliche: quasi un notturno della civiltà che non preclude però una scintilla di empatica complicità, di salto nel vuoto e nell’emancipazione, all’unisono di primi piani frontali. Resistono nel loro anelito a un’alterità possibile Nico e Livio, balordi taciturni, giovani di memoria pasoliniana e di fattezze sagomate, tra pompe di benzina e canne al vento, sigarette e carcasse, portavoce non di qualsivoglia disagio generazionale, ma schegge di disadattamento sociale in cui si riflettono eterne frizioni del vivere insieme.

La ruvida bellezza degli ultimi
L’estro figurativo di Randaghi, esito anche del percorso professionale di Emanuele Motti come illustratore, si staglia per tenui riverberi e livide pennellate, in una coincidentia oppositorum in cui il cielo diafano e gli accesi cromatismi di violenza concentrano la poetica di un microcosmo nelle viscere di una modernità ormai estinta, nell’oblio di una terra circoscritta come un’isola, sublimata nella sua consistenza tattile da un disegno inventivo, ancestrale nel suo manto ma realisticamente graffiante nella presa narrativa. Sulla lezione della migliore tradizione di contemporanei classici d’animazione a istanza sociale o politica, l’immagine intensamente minimalista preserva con precisione emotiva la rispettosa dignità della tragedia del reale, come mai il live action potrebbe restituirci.