Sirat di Oliver Laxe, è tra i titoli presenti nella short list degli Oscar 2026 per rappresentare la Spagna nella categoria miglior film straniero; in attesa delle nomination finali che saranno annunciate il 22 gennaio, il film arriva in sala l’8 gennaio distribuito da Mubi. Il regista Oliver Laxe e l’attore protagonista Sergi Lopez hanno raccontato il film in conferenza stampa al cinema Quattro Fontane di Roma. Per entrambi è stata un’esperienza cinematografica eroica e memorabile. Il regista, anche sceneggiatore del film, l’ha ideato nell’arco di quindici anni partendo dalla prima immagine familiare di un’oasi di Tangeri, dove ha passato parte della sua vita. Ha definito il suo film la storia di un’avventura fisica e metafisica.
‘Sirat’ è un termine della cultura islamica, che sta ad indicare il ponte che collega l’inferno al paradiso, più stretto di una ciocca di capelli e più affilato di una spada. Simbolicamente è il luogo in cui si colloca il film, il deserto del Marocco, polveroso e dal suolo vibrante al ritmo di musica elettronica che il protagonista Louis (Sergi Lopez) deve attraversare per cercare sua figlia Mar scomparsa da cinque mesi. Insieme a lui c’è il figlio minore Esteban (Bruno Nunez), la sua cagnolina Pipa e un gruppo di ravers con cui dovrà cercare la salvezza alla fine del ponte, tra fiamme e distruzione infernali.
Cinema e rave, due rituali collettivi
Ad eccezione di Sergi Lopez e Bruno Nunez, il resto del cast è composto da attori non professionisti, Oliver Laxe ha definito il lavoro di casting “selvaggio”. Il gruppo che accompagnerà Louis nel suo viaggio disperato, composto da Stefania Gadda, Joshua Liam Henderson (Josh), Richard Bellamy (Bigui), Tonin Janvier, e Jade Oukid, è stato trovato in giro per i rave di Italia, Spagna, Portogallo, Francia. Due di loro sono menomati fisicamente, la grazia è nei disgraziati, sottolinea Oliver Laxe rispetto a questo particolare, citando San Francesco. Il personaggio di Bigui indossa anche la maglia del film Freaks del 1932 di Tod Browning. Tutti noi siamo menomati e feriti. La ferita aggiunge il regista, è tra i temi principali del film.
Nel corso del processo creativo che mi ha portato a scrivere e dirigere Sirat ,durato circa quindici anni, io ho ballato sulle mie ferite, ci ho pianto, le ho celebrate.
Per il regista un ruolo decisivo nel film lo svolge lo spettatore, che deve un po’ morire anche lui. Ho pensato allo spettatore che muore guardando il film. Per chi guarda l’esperienza è simile a un elettroshock, da cui si esce tramortiti e costernati. Ho grande fiducia nel potere delle immagini e nella sensibilità dello spettatore. Chi vede il film non dovrebbe soffermarsi sulla morte che vede accadere sullo schermo, ma su come avviene. È necessario accettare la vita anche quando si manifesta in forma di tragedia.
Il cinema come un rave diventa un rituale collettivo, un mezzo di catarsi per combattere le nostre paure più profonde.
Immagine e suono
Essenza di Sirat è il legame tra immagine e suono, che sono un tutt’uno. Il regista ha scritto la sceneggiatura del film ballando e ascoltando la musica che troviamo anche nel film. Nel corso del film avviene una sorta di assottigliamento del suono, c’è alla base l’idea di una musica che si smaterializza a poco a poco, si passa dalla tecno a una musica esoterica. La musica delinea le atmosfere del mio film.
L’attore Sergi Lopez ha condiviso le sue emozioni nel vedere il film sul grande schermo : Nonostante conoscessi la storia, vedere il film per la prima volta a Cannes è stato una rivelazione, qualcosa di mistico e miracoloso, ho vissuto sulla pelle la condizione di trance, è stato soprattutto un lavoro che ha coinvolto il corpo. Il film è abitato da una ferita profonda che viene esorcizzata dal rituale collettivo del rave. Il mio corpo conserva la memoria di Sirat.
In chiusura della conferenza Oliver Laxe ha commentato in questo modo il grande successo che il suo film sta riscontrando dal premio della giura a Cannes fino a una possibile nomination agli Oscar: Il modo in cui le persone stanno parlando del film, nel bene e nel male, è per me una conferma che abbiamo fatto bene il nostro lavoro.