Come raccontare il silenzio? Forse contrapponendolo al rumore. O, più precisamente, lasciando che il rumore del mondo, la sua incessante marea di suoni, si ritiri fino a svelare l’eco più segreta delle cose. È in questo spazio sospeso che si muove De Donde Vienes, Silencio di Niccolò Donatini, presentato in prima mondiale e in concorso nella sezione Onde Corte – Panorama Italia alla 23ª edizione di Alice nella Città.
Greta, giovane donna dello Yucatán, trascorre metà delle sue giornate nel negozio di piñatas dove lavora, e l’altra metà vagando tra le strade della città e il villaggio di Kantunil, evitando la feria del pueblo e la folla che la abita come un’invasione.
Un dialogo tra due sguardi
Il cortometraggio di Niccolò Donatini, nato sotto la supervisione artistica di Pedro Costa (Nella stanza di Vanda, Vitalina Varela) durante il Pedro Costa Lab 2024 organizzato da PlayLab Films, è figlio di un dialogo complesso tra due sensibilità: quella del giovane sguardo che cerca una voce e quella del maestro portoghese che da anni interroga i fantasmi del reale.
Non è un caso che il laboratorio, che nel tempo ha accolto figure come Abbas Kiarostami, Werner Herzog, Apichatpong Weerasethakul, si sia svolto nello Yucatán, terra di stratificazioni coloniali e ancestrali, segnata dalle rovine di un passato che ancora pulsano sotto la superficie.
I fantasmi di Greta
Ma chi sono, per Greta, i fantasmi?
Forse il padre, scomparso cinque anni prima, lasciando dietro di sé soltanto un vuoto e nessuna spiegazione. Il suo silenzio, la sua sparizione, sono diventati per la ragazza un enigma che la accompagna come un respiro sospeso. E nemmeno il suo improvviso ritorno, annunciato nel giorno del compleanno della figlia, riesce a scioglierlo: l’uomo riappare con l’intento di “rompere il silenzio con il botto”, stringendo fra le mani una piñata dalle sembianze di Sailor Moon. Ma dietro quel gesto, che pare una promessa di festa, si nasconde la malinconia di un’apparizione, la fragile ironia di un fantasma che tenta, invano, di farsi carne ancora una volta.

Ambiguità e forma
In questo oceano di ossimori, Donatini restituisce senza filtri un paese intriso di vita propria. La videocamera sembra perdersi come un bambino tra le luci e i rumori della vida cittadina, dimenticandosi quasi di Greta, seguendo figure che, a differenza di lei, abitano il presente senza restare imprigionate nell’attesa. È un cinema che non cerca un centro, ma si lascia trascinare ai margini, là dove l’immagine smette di essere strumento di controllo e torna a essere esperienza sensoriale, vagabonda.
In questa mancanza di fuoco, di asse, lo spettatore può sentirsi smarrito: ma è proprio questo il rischio e la forza di un’opera che lavora sull’assenza e sull’attesa, che nega a chi guarda la consolazione della compiutezza. Non sappiamo dove sia stato il padre in tutti quegli anni, né perché sua fuga sia parsa, a lui, necessaria. E questo non detto continua a pesare, come un’ombra sottile che accompagna tanto Greta quanto chi la osserva.
Dal punto di osservazione
Eppure, non sempre il film riesce a trasformare tale sospensione in forma. E scelte di inquadratura, spesso erratiche, variando altezza, posizione e lente, finiscono talvolta per disperdere lo sguardo più che accentrarlo, apparendo disorientanti o perfino disordinati.
Non è chiaro chi stia osservando: è Greta, che guarda un mondo che conosce da sempre e che prova a decifrare, filtrato dal silenzio della propria attesa? Oppure è Donatini, estraneo a quel paesaggio oltreoceano, che cerca di catturarne l’energia, curioso e ammirato, ma inevitabilmente distante?
Questa ambiguità rimane irrisolta, e a tratti si traduce in incertezza formale. Il rischio è che il dispositivo della “perdita di orientamento” smetta di essere un linguaggio e diventi pura esitazione.

Con un approccio che richiama Pedro Costa, attento al reale e sospeso tra empatia e distanza, De Donde Vienes, Silencio esplora assenza, silenzio e memoria senza offrire consolazioni. Un cinema che lascia spazio all’osservazione, all’incertezza e all’esitazione, trasformando il vuoto in materia narrativa.