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Approfondimenti

‘Ladri di biciclette’ di Vittorio De Sica, dal 1948 all’immortalità

Uno dei film più iconici del Neorealismo italiano e dell’Italia del dopoguerra

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Ladri di Biciclette di Vittorio De Sica è universalmente riconosciuto come uno dei film più importanti della storia del cinema italiano, e quindi non poteva mancare di essere citato in una rubrica che vuole essere dedicata proprio alla Hall of Fame della settima arte.

Una dovuta introduzione

Negli anni in cui il cinema stava anticipando la globalizzazione, e le culture e i paesi venivano conosciuti ed esplorati per la prima volta grazie a queste rappresentazioni, De Sica è stato l’apripista dell’internazionalizzazione cinematografica dell’Italia, e Fellini ha seguito a ruota. Come avrebbe potuto essere altrimenti: quelli erano gli anni del Neorealismo, un movimento che non è stato solo una idea geniale, ma una espressione di cultura all’avanguardia.

Il Neorealismo si è mostrato essere anche puntualmente rappresentativo della società italiana. Perché noi siamo proprio così: realisti, siamo veraci, sanguigni, siamo una nazione capace di passare dalla guerra al Premio Oscar in due anni.

Il primo film neorealista che vinse la statuetta fu Sciuscià, nel 1947, e poi proprio Ladri di Biciclette nel 1949. Quindi 1000 giorni circa dopo la liberazione dell’Italia, dopo i bombardamenti, gli studi di Cinecittà bruciati, le scorte di pellicola vergine marcite, le maestranze decimate, la fame, dopo tutto questo, De Sica ci portò sul red carpet.

Ritratto di Vittoria De Sica – Harry Pot per Anefo, CC0, via Wikimedia Commons

Solo un po’ di storia

Ladri di biciclette è quindi un film Neorealista del 1948 ispirato al romanzo omonimo di Luigi Bartolini. È scritto da ben 7 sceneggiatori (questi: Oreste Biancoli, Suso Cecchi D’Amico, Vittorio De Sica, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi, Gerardo Guerrieri e Cesare Zavattini) ma è fuori discussione come la sinergia tra Zavattini e De Sica sia il motore trainante di tutta l’opera.

Come ricordava Bazin, uno dei più grandi critici di ogni tempo, tutta la vicenda di questo film che ha fatto la storia del cinema mondiale, ruota intorno al furto di una bici. Un avvenimento che, con gli occhi moderni, è del tutto irrilevante, o comunque potrebbe avere una presa limitata quale evento scatenante. E chi ce la racconta è un gruppetto di gente comune convertita alla recitazione sotto la guida di Vittorio De Sica.

Il protagonista è Antonio Ricci, che nella vita è Lamberto Maggiorani e fa il metalmeccanico. De Sica lo incontra al provino del figlio, ma sceglie lui. L’attrice che interpreta Maria, Liliana Carrell, è in realtà una giornalista. E tra i sacerdoti, ci si infila anche Sergio Leone che su quel set è in realtà l’aiuto regista. De Sica fa di necessità virtù e il suo cast non ha eguali.

Sinossi

La vicenda ha luogo a Roma, nel dopoguerra, dove Antonio Ricci trova finalmente un lavoro come attacchino, per il quale ha bisogno di una bicicletta. Il primo giorno, proprio mentre lavora, gli viene rubata. È lì che inizia una disperata caccia all’uomo per le strade della capitale, dove Antonio insieme al figlioletto Bruno, si sposta sulle tracce del mezzo derubato. Purtroppo la ricerca è molto più disperata e frustrante di quanto pensasse, e lo conduce ad un gesto disperato sul finale, sotto gli occhi delusi del figlio.

Lamberto Maggiorani e Liliana Carrell in un a scena di ‘Ladri di biciclette’ di Vittorio De Sica – ECO DEL CINEMA E DELLO SPETTACOLO – anno 1952, Public domain, via Wikimedia Commons

Il tempo e lo spazio di Ladri di Biciclette

È frequente incontrare nelle analisi del film, l’esaltazione della dicotomia con cui Roma, la cara Roma di De Sica, si presenta al pubblico.

Siamo nel 1948, l‘anno dell’attentato a Togliatti. Roma è una città contesa tra l’opulenza e la miseria, le strade vuote e il traffico e folla; il sole estivo e la pioggia scrosciante; i meno abbienti della celebre scena della “messa dei poveri” da una parte, e la partita di calcio della neoborghesia dall’altra. È il luogo d’Italia che in assoluto meglio rappresenta lo sforzo della società di riemergere dalla sconfitta mentre ci si lecca le ferite. La società è spaccata e così lo sono gli edifici, le strutture.

De Sica e Zavattini si mostrano però molto critici con tutte e tre le “fazioni” politiche descritte nel film (i Comunisti, la Democrazia Cristiana e i Cattolici), che promuovono una loro versione della ripresa nazionale. È come se volessero metterci in guardia da questo sviluppo e agio economico: una chimera che i poveracci inseguono, rendendosi peggiori.

Contemporaneamente, su questa geografia spaziale iconica per il periodo storico, si estende una geografia temporale più ridotta che è quella della microstoria. Antonio riceve l’offerta di lavoro il venerdì, inizia l’attività il sabato, e vaga in cerca della bicicletta la domenica. Il giorno della partita. Il giorno della sconfitta.

Sono solo tre giorni, eppure, riconosciamo una diffusa lentezza: da una parte il tempo del film vola, perché accadono molte cose e la durata è di una “sola” ora e mezza. Ma dall’altra, in certi momenti, nulla si sposta e nulla accade. È il tempo della vita, dello stallo.

La narrativa stessa ci spinge a rallentare: dissolvenze a nero, transizioni orizzontali, primi piani frontali.

Il personaggio straordinario di Bruno

De Sica e Zavattini hanno dimostrato negli anni di avere un occhio di riguardo per i bambini. I personaggi che descrivono nei film precedenti a Ladri di Biciclette sono proprio bambini. E nello specifico, bambini che si fanno adulti ante tempo.

Il personaggio di Bruno non esisteva nel libro di Bartolini. De Sica e Zavattini ne fanno non solo un figlio, ma anche il salvatore del padre, e per ben due volte.

L’immagine che ne esce del padre, sin dalle prime scene, è quella di un uomo sconfitto, fallito, inetto, e anche traditore della morale (offre il vino al figlio e lo lascia esposto alle attenzioni di un pedofilo!). Non ha (più) gli strumenti per reagire e combattere. La sua inettitudine e il suo vittimismo probabilmente le chiameremmo depressione ai giorni nostri.

Sta di fatto che si crea con questo bambino che non perde mai il contatto con il padre, una chiara inversione dei ruoli: è Bruno l’adulto.

Bruno è sveglio, pragmatico, capace di rimproverare il padre per la mal gestione della situazione. E ci rimane nel cuore, anche quando a modo suo il genitore cerca il perdono.

Enzo Staiola in una scena di ‘Ladri di Biciclette’ – fonte: Wikimedia Commons

Il calibro del film

L’eredità che De Sica e gli sceneggiatori hanno lasciato con quest’opera ha segnato profondamente tutta l’arte italiana da quel momento in poi. Ha dato forma ad un movimento, il Neorealismo, che ha letteralmente contagiato la produzione artistica degli anni a seguire. Consegnando una eredità stilistica che rivive oggi in artisti contemporanei, tra cui Alice Rohrwacher, Michelangelo Frammartino o Pietro Marcello.

Nell’immortalare sul grande schermo gli sforzi di un popolo (perdente) che si stava rialzando dopo la guerra, De Sica compie una magia: regala al tempo la memoria della resilienza con cui abbiamo gestito la crisi, e non solo per la storia di Antonio Ricci in sé, sebbene si porti dietro numerosi piani di lettura.

Quanto piuttosto per il miracolo artistico che è scaturito dal niente, per mano di un regista e dal suo gruppo di collaboratori, che lavoravano con poco più di un pugno di mosche, ciò che era rimasto all’Italia nel primissimo dopoguerra.

È quel vuoto che si è proficuamente riempito di idee, creando un vero e proprio tsunami creativo, il cui valore rimane indiscutibile e vibrante a distanza di ben più di mezzo secolo.

Ladri di Biciclette

  • Anno: 1948
  • Durata: 89 minuti
  • Distribuzione: ENIC
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Vittorio De Sica