Giulio Base torna al cinema con Albatross, nelle sale dal 3 luglio distribuito da Eagle Pictures. Il film è prodotto da Gennaro Coppola per One MorePictures, in collaborazione con RAI Cinema. Noi di Taxidrivers abbiamo avuto il piacere di incontrare il regista Giulio Base.
Albatross – La trama
La vera storia del triestino Almerigo Grilz, “inviato di guerra indipendente” (così amava definirsi), a cui il mondo stava stretto. Dopo gli anni giovanili di militanza politica, con i suoi amici Gian Micalessin e Fausto Biloslavo decide negli anni ’80 di fondare l’agenzia stampa Albatross. Armato della sua grande passione di conoscere il mondo e raccontarlo, convinto della necessità di documentare i conflitti ignorati, Grilz è sempre in giro con la sua telecamera, in Medio Oriente, Asia e Africa, dove nell’87– in Mozambico – trova la morte a 34 anni. [sinossi ufficiale]
Il tempo che Grilz non ha avuto
Come nasce l’idea di realizzare un film con protagonista un giovane di destra? Non conoscevo la storia di Almerigo Grilz e, quando nel 2019 la casa di produzione One More Pictures, con la quale stavo lavorando a Bar Giuseppe, mi ha indicato questa storia, ho iniziato a documentarmi e in me è nata una sorta di opposizione, anzi ero proprio riluttante, perché avevo capito che poteva diventare una patata bollente e mi chiedevo: questa gatta da pelare proprio a me?
Poi, sempre con il sostegno della One More Pictures, ho capito che stavo per addentrarmi in una materia complessa e stratificata, ed è stata proprio la complessità ad attrarmi. Ho iniziato a raccogliere immagini, filmati, scritti, testimonianze. Ho lasciato che fossero i materiali stessi a guidarmi. Soltanto molto dopo sono arrivate le parole della sceneggiatura e, quattro anni più tardi, ero sul set. Fin da subito sapevo che non volevo fare un semplice biopic, ma provare a restituire un po’ dell’aura di qualcosa di più essenziale: il tempo. Quel tempo che consente di sbagliare, ma anche di cambiare. Quel tempo che Grilz non ha avuto.
Il coraggio di cambiare punto di vista
Lo stesso periodo storico è stato mostrato tantissime volte dal cinema italiano, ma probabilmente tu sei il primo che, con coraggio, cambia il punto di vista: non più da sinistra ma da destra. Daniele Luchetti, con Mio fratello è figlio unico, ispirato al romanzo di Antonio PennacchiIl fasciocomunista, già nel 2007 prova a percorrere una strada diversa dalla consuetudine. I due protagonisti, interpretati da Elio Germano e Riccardo Scamarcio, sono due fratelli e, attraverso la fratellanza e lo scontro delle diversità, si cerca una soluzione diversa.
Poi Pennacchi ha contestato il film perché – secondo lui – resta imbrigliato nell’ideologia che esplode e l’innovazione è compiuta solo in parte. Per me, invece, Mio fratello è figlio unico resta un ottimo lavoro che, con coraggio, prova a cambiare punto di vista.
Per incasellare il tuo Abatross si fa ricorso al genere del biopic. Secondo me, questa definizione è giusta solo in parte, perché non ti limiti a raccontare la vita di un personaggio, ma focalizzi l’attenzione sullo spirito dell’epoca, dove si sentiva l’esigenza della militanza politica. Oggi si ha la presunzione che quella militanza fosse esclusivamente di sinistra e marxista, ma la realtà era molto diversa. C’erano, infatti, molti giovani non di sinistra con la stessa voglia di politica: attraverso la vicenda di Almerigo Grilz, provi a restituire dignità a questi giovani?
Un film sul tempo
Sono assolutamente d’accordo. Quando si prova a definire il genere di un film si è obbligati a scegliere. Certo, il biopic è il genere che più si avvicina ad Abatross, ma non è solo quello. È un film sul tempo, sul giornalismo e su tre ragazzi che fondano un’agenzia di stampa, con una volontà che definirei imprenditoriale.
Il film, poi, è stato criticato per il modo in cui mostro lo scontro tra giovani di sinistra e giovani di destra, come se avessi costruito delle scaramucce tra ragazzi. È vero: erano gli anni di piombo, c’erano le Brigate Rosse, c’erano i terroristi di estrema destra, c’era, insomma, tanta violenza da entrambi gli schieramenti. Questo emerge dai racconti di quegli anni, ma rappresenta solo una piccola minoranza, forse neanche l’1%, di un mondo giovanile e politico molto frastagliato. C’erano, infatti, tantissimi ragazzi schierati ideologicamente, ma che mai avrebbero imbracciato le armi. E questi non sono mai stati raccontati, con le loro innumerevoli sfumature.
Per questo Abatross non è solo un biopic, ma soprattutto un film sul tempo che diventa un viaggio tra presente e passato, collegati da un simbolico ponte, proiettato anche verso il futuro.
Una critica che ha ricevuto il film riguarda la sequenza in cui il protagonista, un giovane di destra, si mette in viaggio per il mondo come un vero hippe, ma ciò corrisponde alla vera biografia di Almerigo Grilz, giusto?
Esatto, tra l’altro ci sono tante testimonianze fotografiche di quel viaggio che Grilz ha fatto proprio come un vero hippie, vendendo collanine, disegni e facendo l’autostop, proprio come avrebbe fatto un suo coetaneo di sinistra. Sono stato accusato come se avessi inventato tutto, ma è la realtà dell’epoca: la voglia di rivoluzione, di vivere fuori dagli schemi, era viva a sinistra quanto a destra.
Il fascismo degli antifascisti
Purtroppo, almeno qui da noi, quella stagione politica viene raccontata sempre attraverso schemi precostituiti e se qualcuno prova a sovvertirli viene fatto fuori? Speriamo che non mi facciano fuori (sorride)… Sono d’accordo… Tutto deve stare dentro una casella e se qualcuno, attraverso una narrazione, esce da quella casella viene immediatamente tacciato, accusato, linciato e vituperato.
Per le accuse che ha ricevuto il tuo film è giusto tirare in ballo Pier Paolo Pasolini, quando parlava del pericolo del fascismo degli antifascisti? Diciamo che non è ingiusto. Poi, Pasolini per me è sempre stato un riferimento fondamentale e il suo pensiero mi appare sempre più rivoluzionario. Mi abbevero continuamente del suo empirismo eretico, dei suoi Scritti corsari, del suo essere sempre fuori, appunto, il non essere incasellabile. Ovviamente non mi paragono nemmeno lontanamente a lui, però diciamo che per me è un faro ispiratore, uno che non è mai stato inquadrabile da nessuna parte.
Giulio Base regista e attore
Abatross è anche un film metacinematografico? Certamente, e probabilmente il momento più cinematografico è quando, da regista, mi ritaglio un ruolo piuttosto rilevante nella storia, con l’intenzione di creare una specie di cortocircuito. Il film si avvia verso la sua conclusione e decido di agire davanti alla cinepresa con questo personaggio, che nei titoli di coda viene indicato come “giornalista militante”, attraverso il quale evito di realizzare una sorta di santino di Grilz, anzi vado decisamente in una direzione opposta, generando un piccolo scossone.
Allo stesso tempo, però, ho scritto questo personaggio cercando di serbare la coerenza del film. Il giornalista militante fa il suo esordio durante l’assemblea del suo ordine, riunita per decidere se procedere o meno con un riconoscimento a Grilz e alla sua attività da reporter in zona di guerra. Le sue parole sono sentore di una personalità che non ama la diplomazia, contrapposta alle posizioni più morbide: in poche parole, un rivoluzionario duro e puro. Poi, è ovvio, il fatto che abbia deciso di interpretare questo personaggio significa che volevo lasciare un segno marcante, ma la sua principale funzione nasce da esigenze di scrittura, rivolte alla costruzione della verità. Non nascondo, però, che mi diverto sempre nell’interpretare personaggi controversi.
Andando oltre all’elemento meta – cinematografico, c’è anche la volontà di omaggiare i giornalisti che svolgono il proprio lavoro al di fuori di quei schemi ideologici di cui parlavamo prima?
Sì, però, in quanto cineasta, non mi permetto di dare lezioni etiche, morali e tantomeno professionali ai giornalisti, che rispetto. Certamente, come Almerigo Grilz, ci sono tanti altri giornalisti che rischiano più di altri, che non aspettano la notizia, ma che la vanno a cercare direttamente sul campo, raccontando la verità dei fatti.
Francesco Centorame e Giancarlo Giannini in Abatross
Per quanto riguarda il cast, cosa ci puoi dire?
Sono molto felice di aver incontrato Francesco Centorame, che avrà una carriera formidabile. Nonostante la sua giovane età, ha dimostrato di essere molto maturo e di possedere una grande professionalità, che gli ha consentito di penetrare in profondità nella vicenda e di impadronirsi di un personaggio non certo facile da interpretare. È stato un attore fenomenale, compagno di lavoro sul set e anche dopo, una volta finite le riprese.
Su Giancarlo Giannini, che dire? È un mito del nostro cinema, forse l’attore italiano più conosciuto al mondo. Non sono certo io ad aver scoperto per primo il suo straordinario talento. Mi ha fatto davvero tanto piacere il suo innamorarsi della sceneggiatura. Poi è riuscito – non avevo dubbi – nell’interpretare il suo personaggio evitando toni enfatici e qualsiasi sottolineatura, così come avevo pensato il ruolo in fase di scrittura. D’altronde, per un attore del suo calibro, è stata sufficiente la sua bellissima voce per rendere potente quel personaggio.
Poi, non posso che ritenermi soddisfattissimo per il lavoro fatto da tutti i giovani attori che hanno partecipato al film, che ho scoperto, scovato. Sono stati capaci di trasmettere la verità della vicenda che volevo mostrare.
Un invito al dialogo
Giancarlo Giannini in Abatross è Vito, un giornalista di successo. È un personaggio di fantasia?
Sì, è un personaggio di fantasia che ho costruito basandomi su un mix di fonti reali. È il tipico giornalista arrabbiato che, per certi versi, si sente anche superiore ai suoi colleghi, con un trascorso simile a molti giornalisti attivi oggi. Vito è stato un giovane di sinistra che si è scontrato e incontrato con Almerigo Grilz. Ma poi, come tutti, si cambia, si evolve, ritrovandosi in una posizione di potere. Questa, però, non è un’accusa: è la vita che va così.
Il personaggio interpretato da Giancarlo Giannini ha l’intelligenza di riconoscere il valore di un suo coetaneo che non ha avuto la fortuna di crescere e raggiungere il vero successo come lui. Probabilmente, se non fosse caduto sul campo, anche il pensiero di Almerigo Grilz si sarebbe modificato, evoluto. Non lo sapremo mai, ma tanto basta per conquistare la stima di un suo collega, seppur ideologicamente molto distante. Perché la vera volontà del mio film corrisponde a un invito al dialogo, al rispetto e all’ascolto di chi la pensa diversamente: non la penso come te, ma lotterò finché tu possa manifestare le tue idee.