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Marco Giallini, fenomenologia dell’attore antidivo

Alla 23a edizione dell’Ischia Film Festival abbiamo incontrato uno degli attori più originali della scena cinematografica italiana

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Marco Giallini

Marco Giallini è uno degli interpreti più amati del cinema e della televisione italiana. Con i suoi personaggi, ruvidi e sempre profondamente umani, ha lasciato un’impronta attoriale inconfondibile in tutti i film in cui è stato protagonista. Una lunghissima carriera cominciata a teatro che lo ha portato fino al premio conferitogli dall’Ischia Film Festival, per la migliore interpretazione maschile dell’anno in La città proibita di Gabriele Mainetti. Film che ha presentato nella meravigliosa cornice del Castello Aragonese. Marco Giallini ha divertito e affascinato tutti con la sua inconfondibile autenticità, così lontana da ogni conformismo. Un timbro vocale e umano che rende unica ogni sua intervista.

Come descriveresti l’esperienza in un film così originale e anomalo nel panorama del cinema italiano degli ultimi anni come La città proibita?

È stata un’esperienza fantastica, che ha avuto un po’ il sapore del cinema americano, di un certo tipo di quel cinema o, almeno, dell’idea che ci facciamo di quel cinema, visto che io non ci ho mai lavorato. Artisticamente e lavorativamente parlando, La città proibita è stata una delle migliori esperienze della mia vita da attore, con delle scene d’azione che non hanno niente da invidiare al cinema d’oltreoceano e a quello che viene dall’Estremo Oriente. È stata una grande esperienza, con un grande regista, per un grande film.

La città proibita

La città proibita

Che regista è Gabriele Mainetti sul set?

Coraggioso, visionario, speciale, estremamente stimolante per un attore. A partire dal lavoro di scrittura che fa sul film. Ha un approccio tutto suo, l’originalità del risultato credo sia sotto gli occhi di tutti. È diverso dagli altri. Fare film di quel genere non è per niente facile. È di un’altra categoria, per me. Lavorarci insieme è gratificante, anche se lui è sempre parco di complimenti. Sul set è uno tosto, ma quando vuoi raggiungere certi obiettivi nel mondo del cinema non puoi essere tanto tenero. Hai tutte quelle persone intorno che devi dirigere. Al di là del set, ho ammirato molto anche il lavoro di montaggio della Città proibita.

Com’è stato lo scambio attoriale con l’attrice cinese coprotagonista del film?

Parlava solo cinese, neanche inglese, non che in quest’ultima lingua l’avrei capita. Aveva sempre un interprete e credo fosse della scuola di Takeshi Kitano, cioè parlava pochissimo. Io poi nel film faccio un personaggio non proprio amabilissimo, molto razzista e molto stronzo.

Ci sono alcuni film all’interno della tua carriera che consideri un po’ delle svolte?

Beh, sì. Posti in piedi in paradiso di Carlo Verdone, Acab di Stefano Sollima, Rocco Schiavone, L’ultimo capodanno di Marco Risi, Romanzo criminale – La serie e poi i film di Paolo Genovese, Tutta colpa di Freud e Perfetti conosciuti su tutti.

Acab - La serie

Acab – La serie

Ti sei mai spiegato come mai nella tua carriera sei stato scelto per così tanti ruoli da poliziotto?

I film con i poliziotti sono la via italiana all’action movie. È vero, ne ho fatti tanti, ma sempre, credo, in una maniera non convenzionale rispetto all’idea standard del poliziotto. Li ho fatti un po’ sghembi, scorticati, lavorando d’istinto. Il poliziesco è anche un modo per raccontare le nostre città. Spesso poi nel poliziotto puoi rappresentare, contemporaneamente, il bene e il male. E questo mi piace.

Tu hai cominciato con la serialità televisiva più di vent’anni anni fa e quest’anno sei reduce dal grande successo di Acab – La serie. Com’è cambiata, se è cambiata, la via al cinema del piccolo schermo?

È un mondo che ha preso molto più piede rispetto al passato. Si fanno anche prodotti di qualità, ma ci sono pure troppe persone in giro piene di nulla, che pensano di poter fare qualunque cosa, senza averne i mezzi tecnici, visivi, culturali.

Tra i tanti registi con cui hai lavorato con chi ti piacerebbe condividere di nuovo il set?

Paolo Sorrentino, con cui ho fatto L’amico di famiglia, a Napoli, città che amo particolarmente. È veramente un grandissimo regista e ho un bellissimo ricordo di quel set. Fa un cinema d’autore, ma non di quella tipologia che poi non vede nessuno, come capita a tanti pretenziosi registi italiani, di quella serietà fine a se stessa, un’autoreferenzialità che proprio non sopporto.

Rocco Schiavone

Rocco Schiavone

Molti tuoi amici attori sono diventati registi. Tu ci stai pensando?

No, non m’interessa mettermi a dirigere un film per far vedere alla gente quello che penso. Da attore è diverso, sei un personaggio di qualcun altro. Non voglio fare l’autore.

C’è, invece, un ruolo che non è ancora arrivato e ti piacerebbe interpretare?

Sì, l’Uomo Ragno, perché ha una bella tuta e, quando si mette la maschera, potrebbe anche recitare una mia controfigura, così da potermi riposare sul set. Scherzi a parte, mi piacerebbe recitare una personaggio della musica rock, genere che adoro e che suono. Mi piace anche il punk, che poi per me è il rock’n’roll suonato male. So persino un po’ cantare. Una volta, addirittura, mi ha preso per un duetto Francesco De Gregori.

Tornerai nei panni del commissario Rocco Schiavone?

Sì, le riprese dovrebbero iniziare a fine febbraio/inizio marzo. Io senza Schiavone sono morto, è un personaggio che amo. A me che sono romano, ad Aosta mi hanno dato persino le chiavi della città. Una cosa che mi ha fatto enormemente piacere. Questo lo devo a Rosario Rinaldo, produttore Rai, e, soprattutto, ad Antonio Manzini, che ha scritto e continua a scrivere il personaggio.

Michelangelo Messina (direttore artistico Ischia Film Festival), Marco Giallini e Gianni Canova

Michelangelo Messina (direttore artistico Ischia Film Festival), Marco Giallini e Gianni Canova