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Interviews

Celeste Dalla Porta, ritratto di attrice

Alla 23a edizione dell’Ischia Film Festival abbiamo intervistato la protagonista di "Parthenope", una delle più promettenti giovani attrici italiane

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Celeste Dalla Porta

Celeste Dalla Porta incarna tutte le anime del personaggio di Parthenope che l’ha resa famosa: malinconia, sensualità, bellezza, grazia e determinazione. Un debutto folgorante nell’ultimo film di Paolo Sorrentino, un atto d’amore a Napoli e alla stessa Celeste Dalla Porta come attrice.

Intervistata alla 23a edizione dell’Ischia Film Festival, dove è stata premiata come miglior interprete femminile dell’anno, abbiamo ascoltato la sua idea di cinema e il suo punto di vista su Parthenope.

L’arte visiva è nei geni di famiglia, essendo tu la nipote del grande fotografo Ugo Mulas. C’è qualcosa che riconosci di tuo nel suo sguardo, l’immaginario del guardare, dell’essere guardati?

In realtà, lo sto ancora scoprendo, è un processo artistico tutto in divenire dentro di me. La mia è una famiglia di artisti e, per questo, mi sento molto fortunata, perché cresci con degli esempi molto stimolanti, finendo quasi per dare per scontato certo fervore artistico intorno a te. Sicuramente è molto interessante il fatto che mio nonno fosse un fotografo e mia nonna anche e pure mia madre e mio fratello. La fotografia, quindi il guardare, il raccontare attraverso lo sguardo, è qualcosa d’innato nella mia famiglia, ne è sempre stato un elemento costitutivo importante. La mia scelta, invece, è stata quella di stare davanti a una macchina da presa. Penso ci siano delle correlazioni che mi piacerebbe scoprire.

Celeste Dalla Porta, Michelangelo Messina, Anna Ammirati

Celeste Dalla Porta premiata da Michelangelo Messina (direttore artistico Ischia Film Festival) e dall’attrice Anna Ammirati

Ti ricordi com’è nata la tua passione per la recitazione? Quale cinema, quali attrici ti hanno ispirato in questo percorso?

Non ho ricordi di un singolo colpo di fulmine che mi ha fatto dire da grande voglio fare l’attrice. Era, però, una volontà che avevo sin da bambina, quando si dice voglio fare la cantante o questo o quello. Tra le diverse volontà e possibilità, quella dell’attrice è rimasta la più vivida, in me. Riguardo al cinema che, sin da piccola, mi ha attratto, ricordo un episodio legato a Mary Poppins, film che, come tante bambine, amavo molto. Ero enormemente affascinata dal personaggio che interpreta Julie Andrews, avrò visto il film decine di volte e trovavo che fosse veramente fantastica! Poi, però, a un certo punto, mi è stato fatto vedere Tutti insieme appassionatamente e ne rimasi, in qualche modo, scioccata: quel film è una sfida attoriale veramente incredibile, secondo me, e la cosa che più mi rimase impressa è che io, guardandolo, riconoscevo Mary Poppins, ma vedevo che non era più lei. Ero piccola, mi ha completamente spiazzato; nello stesso tempo, è come se avesse acceso una certa luce dentro di me, perché lì ho pensato: ma che bello questo mestiere, in cui la stessa persona interpreta vite differenti, ruoli meravigliosamente diversi allo stesso tempo. Un’altra mia folgorazione è stata Il mago di Oz, con l’incantevole Judy Garland. Mi sono sempre piaciuti questi film e ruoli un po’ senza tempo, che creano un immaginario che mette insieme tante cose. Sono questi i miei film del cuore, anche se mi capita di variarli nel corso del tempo, cambiando io stessa. Alla fine, però, non c’è un’unica risposta alla mia vocazione di attrice, la cerco anch’io, perché sono tanti gli elementi, i ricordi sedimentati dentro di me, che mi hanno fatto pensare quanto sarebbe stato bello questo mestiere. Sarà forse una banalità, ma credo sia proprio la possibilità di vivere altre vite, d’inventarsi altre identità, qualcosa che mi ha sempre affascinato. Una sola vita non basta mai, probabilmente.

Nel 2020 hai girato il cortometraggio Next One, centrato su una serie di provini ad attrici trattate come pezzi di carne da dare in pasto al pubblico degli spettatori. Ti è mai capitato di trovarti in situazioni del genere?

Sì, certo, che mi è capitato, penso sia una cosa che succeda a tutti, anche alla persona che va a fare un qualsiasi colloquio di lavoro e si sente carne da macello, soltanto un numero. È una sensazione che ognuno di noi ha provato. Probabilmente a cominciare dalla scuola, dove a volte siamo stati classificati per classe, provenienza, messi a un certo banco, considerati l’alunno X con problemi Y, senza mai comprendere la nostra specifica identità. È stata l’iscrizione al Centro Sperimentale di Cinematografia a darmi una spinta diversa, a farmi trovare nuove motivazioni: è una Scuola che dà tanto spazio alla verità di ogni studente, perché si parla di emozioni, di tirarle fuori nella recitazione, con una modalità di ricerca e di espressione del sé molto delicata. È un tipo di percorso che, secondo me, dovrebbe essere fatto anche prima, nelle scuole superiori, essendo una fase molto importante della propria formazione, non solo professionale, ma interiore. Per tornare alla tua domanda iniziale, quindi, sì che mi è capitato di sentirmi carne da macello a un provino, di sentirmi, banalmente, niente.

Red Mirror

Red Mirror

Nel 2022 hai girato Red Mirror, con la regia di Federico Russotto, uno dei registi di cortometraggi più promettenti del cinema italiano. Che tipo di sinergia c’è stata tra quelli che io vedo come giovani di grandissimo avvenire del cinema italiano?

Sono molto d’accordo riguardo quello che dici su Federico Russotto. Per Red Mirror, io mi ero appena diplomata al Centro Sperimentale e, ogni anno, lì fanno una piccola serie di cortometraggi finanziata da Campari. Federico Russotto era del mio stesso anno di corso, ma di regia. Entrambi abbiamo provato questo bando, che abbiamo vinto. Ricordo di aver fatto tanti provini, erano tante le alunne e le ex alunne come me appena uscite dalla Scuola che si erano candidate. Credo di aver convinto i responsabili del casting cantando una canzone. È stata un’esperienza particolarmente gratificante, un modo per chiudere il mio percorso al Centro Sperimentale. Avevo appena finito la Scuola e non sapevo esattamente cosa fare, ero già entrata nel tunnel del «Oddio, adesso c’è il mondo vero: come me la caverò?». Quindi, quella possibilità di girare, per due settimane, è stata subito una nuova sfida, uno stimolo alla ricerca e allo studio, a passare dalla Scuola alla pratica vera.

Paolo Sorrentino ha cominciato a fare il regista quando tu eri ancora una bambina. Che ricordi hai dei suoi film, che cosa ti affascinava di più? Qual è stato quello, se ce n’è uno in particolare, che te lo ha fatto più amare?

Paolo Sorrentino l’ho sempre amato tanto. Ricordo che, appena uscivano i suoi film, correvo al cinema a vederli, insomma non certo i primi, ovviamente, perché ero troppo piccola, anche se poi li ho recuperati, magari in rassegne cinematografiche, per riuscire a vederli su grande schermo. La grande bellezza, Youth, Il divo, Loro, The Young Pope, ho seguito sempre il suo percorso. Mi è sempre piaciuta moltissimo la sua estetica, la sua assenza di giudizio nel raccontare i personaggi. In questo senso, trovo che L’amico di famiglia sia un film clamoroso. È l’opera che forse più mi rimane dentro del suo cinema. Il protagonista è un personaggio che può sembrare sgradevole, laido, e questo mette in crisi lo spettatore, perché non riesce ad amarlo; però, da protagonista, in tutte le sue sfumature di carattere, non si riesce neanche completamente a odiarlo. Questo credo sia un tipico trigger sorrentiniano. Mi piace persino come cammina, tutto il lavoro fisico che regista e attore hanno fatto sul personaggio.

Celeste Dalla Porta Ischia Film Festival

Ricordi qual è stata l’emozione, ma anche la paura, quando hai saputo che saresti stata la protagonista del prossimo film di Paolo Sorrentino, Parthenope?

Ho provato molte e diverse emozioni contrastanti. In realtà, ricordo che, a quella notizia, in primo luogo, ho avuto un sospiro di sollievo, mi sono sentita sollevata rispetto al fatto che lui mi stesse scegliendo, perché mi ha fatto fare tantissimi provini, avevo perso il conto. Passata questa fase, di sollievo prima, di immediata enorme felicità dopo, ti prende, inevitabilmente, la paura di dover reggere un tale carico. Perché Paolo Sorrentino è veramente un artista a tutto tondo e chi ero io per supportare un suo film? È stato un insieme di emozioni indescrivibili.

Fino ad allora, in effetti, avevi avuto pochissime esperienze nel mondo del cinema. Con Parthenope saresti stata la protagonista di un’opera complessa, sempre in scena, in un film che sarebbe stato guardato in tutto il mondo, con sequenze erotiche, scene comiche e drammatiche. Quali ispirazioni, quali risorse, quali modelli mentre preparavi il film e mentre lo giravi?

Paolo Sorrentino mi ha molto guidata nella preparazione e mi ha consigliato, giustissimamente, di vedere Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli, con una Stefania Sandrelli, che io stessa sarei diventata nel film, giovane. La protagonista era un personaggio molto leggero, ma con una grande malinconia, un’indicibile tristezza negli occhi, che era esattamente quello che noi stavamo cercando di restituire in Parthenope. Paolo Sorrentino voleva raccontare la bellezza di una giovinezza in cui, però, scavando, c’è una forma d’invincibile tristezza rispetto alle cose delle vita. Io la conoscevo bene è stata una visione importante per me. E poi c’era un altro film di riferimento: Closer, con Natalie Portman che aveva un certo tipo di sguardo. Ti parlo della sua interpretazione, non del personaggio in sé. In quel film, lei aveva una purezza di sguardo che ti entrava dentro.

Al di là di quanto scritto nella sceneggiatura e delle stesse indicazioni di Paolo Sorrentino, cosa credi di aver dato, da un punto di vista personale, al ruolo di Parthenope?

Paolo Sorrentino, riguardo al motivo per cui mi ha scelta, ha detto che, nei miei occhi, ci ha visto quella tristezza e malinconia che voleva raccontare: che io potessi malinconizzare la bellezza e la giovinezza del personaggio di Parthenope. Devo dire che io quella malinconia la conosco bene, la conosciamo in tanti, in realtà, quella malinconia che parla dello scorrere del tempo. Io la sento così forte, dentro di me, che la possibilità d’interpretarla e di poterla vivere, esprimere, liberamente, è stato un arricchimento non solo a livello professionale, ma anche personale.

Parthenope

Qual è stata e qual è tuttora la sensazione di venire associata a una figura mitologica come una sirena, Parthenope, simbolo di bellezza, ma anche di perdizione femminile nell’immaginario maschile?

Per Parthenope, Paolo Sorrentino mi ha chiesto di non legarmi a quell’idea, di lavorare non verso il mito, ma verso la realtà di quella storia: una ragazza che vive la sua vita. Di non andare, quindi, nella metafora della storia mitologica. Anche se è chiaro che ci sono indizi anche in questo senso. Secondo me, questo film è un viaggio, quello di una donna che incanta, volendo, come una sirena sa fare e poi tende a sfuggire, arrivando involontariamente a fare del male. Da un punto di vista strettamente personale, penso sia un tipo di situazione e concetto molto interessante. Per me, Parthenope è un’indagine molto sottile rispetto al comune immaginario attribuito a una bella donna. Ne racconta anche il dolore e l’intelligente forza di volontà. Adesso forse le cose stanno cambiando, però ci sono qualità che, purtroppo, in quegli anni e non solo, non si legavano alle ragazze, alla loro indipendenza, soprattutto, paradossalmente, se erano molto belle. Parthenope racconta anche il desiderio, per una giovane donna, di studiare, conoscere, cose che non erano accettate. Per questo sono particolarmente contenta di aver interpretato un personaggio femminile con così tante sfumature, coraggioso nei confronti della vita.

Parthenope è una grande metafora di Napoli. Tu vieni da Milano: quanto è stato complicato, anche emotivamente, l’idea d’incarnare Napoli pur provenendo da una città del Nord?

È stato sicuramente complicato: Napoli e Milano sono due città molto diverse. Alla fine, però, quella sceneggiatura mi ha fatto totalmente entrare in un immaginario, dentro quel mare da cui viene Parthenope. Se ci pensi, è la storia di una napoletana che non conosce davvero la sua città, la esplora attraverso questo suo viaggio personale che fa dentro Napoli, come se la visitasse insieme a noi per la prima volta. Una Napoli guardata nei suoi luoghi più diversi, perché Napoli appare sempre così diversa ogni volta… Quest’idea della storia mi ha aiutato molto, perché io, da milanese, arrivavo a Napoli e dovevo scoprirla insieme a Parthenope. È stato, per me, un altro degli elementi di fascino del film.

Celeste Dalla Porta Ischia Film Festival

Tra l’altro, Parthenope è il primo film di Paolo Sorrentino in cui protagonista è una donna. Questo sarà un primato che ti porterai dietro nella sua filmografia. Quanto pensi sarà difficile uscire dal personaggio di Parthenope, dall’immaginario che il pubblico ha proiettato su di te?

Non ne ho idea, è un problema che non mi voglio porre, in realtà. Adesso che mi ci fai pensare, potrebbe non essere semplice, però il mestiere dell’attore è quello di cambiare, di avere la possibilità di cambiare. Se non dovesse andare così, va bene lo stesso. Di sicuro Parthenope rimarrà dentro di me.

Parthenope è stato estremamente divisivo, leggendo non solo le critiche giornalistiche, ma anche quello che si scrive sulle pagine social dedicate al cinema. Perché credi sia stato un film che ha generato odio o amore nei suoi confronti?

Perché è un film che, non giudicando i personaggi e gli avvenimenti, può portare lo spettatore a farlo. Quindi è un grande specchio interpretativo di noi stessi.

Parthenope è stato accusato di essere un film totalmente e limitatamente estetico, tutto centrato sulla bellezza della sua protagonista, continuamente esibita. Come vedi, tu che ne sei stata il centro, l’anima, un punto di vista del genere?

Da parte mia, studiando quel personaggio, non sono d’accordo rispetto a questa visione limitatamente estetica. Naturalmente, l’aspetto fisico di Parthenope è un dato importante nel film, proprio per quel discorso che facevamo prima. Inevitabilmente, la bellezza apre tante porte: questo può dar fastidio o attrarre. Ma, dietro la bellezza di Parthenope e del film, c’è una storia e qui torna il parallelismo con Napoli, che è bellissima, però anche misteriosa.

Parthenope

Parthenope