Shayda è il pluripremiato esordio alla regia dell’artista australiana-iraniana Noora Niasari. Sarà distribuito in Italia da Wanted Cinema e nelle sale dal 10 di luglio.
Il film, che ha trionfato all’edizione del 2024 del Sundance dove ha conquistato il Premio del Pubblico, è un dramma famigliare raccontato dal punto di vista di due donne in fuga. Protagoniste della pellicola una madre e una bambina di sei anni, la cui libertà rinasce una volta abbandonate le violenze dal marito e padre.
Shayda e la fuga
Shayda (Zar Amir Ebrahimi) è iraniana ed è emigrata con il marito Hossein (Osamah Sami) e la figlia Mona (Selina Zahednia) in Australia, dove entrambi i genitori stanno proseguendo gli studi. La prima volta che la incontriamo non è nella cornice familiare, ma nel momento in cui un’assistente sociale le spiega come educare la figlia a cercare il supporto della polizia nel caso il marito tenti di rapirla.
Infatti, la storia di Shayda non è quella di una famiglia perfetta, piuttosto di una donna vittima di violenze che approfitta della libertà del Paese in cui è ospitata, per sfuggire alla morsa degli abusi. Ospite di un centro antiviolenza, riparte dalla solidarietà di altre donne e amiche per ricostruirsi la vita che è stata rubata a lei e alla figlia.

SHAYDA di Noora Niasari – Zar Amir Ebrahimi e Selina Zahednia in una scena del film – (c) Nicola Bell – materiale stampa fornito da Wanted Cinema
La nostalgia dell’Iran
Emotivamente coinvolgente seppur nella placida narrazione, il film modera e bilancia la quotidiana contesa che vive la protagonista tra una cultura di appartenenza lontana e non più raggiungibile, e la cultura che la ospita, accogliente e finalmente libera. In questo senso la regista Noora Niasari è riuscita a calibrare perfettamente il senso di rispetto e nostalgia con il rifiuto dei dogmi imposti dal regime. Non è necessario dirlo apertamente poiché è già molto evidente nell’appassionata devozione che Shayda dedica alle tradizioni: quelle regole asfissianti, non hanno nulla a che vedere con l’Iran che Shayda conserva nel suo cuore.
La perseveranza con cui la madre trasmette alla figlia i valori e la poesia dell’Iran, si scontra con la rigidità del padre, che dai libri di testo vorrebbe che la figlia imparasse solo la lingua, e in un certo modo anche gli stereotipi di genere. Ecco, Noora Niasari punzecchia continuamente lo spettatore con una serie di riferimenti che spesso riguardano l’universo infantile e che rappresentano una patria che a Shayda non interessa più. E che la stessa non vuole assolutamente che diventi il mondo di sua figlia.
La vita da emigrata è fatta di incredibili rinunce, ma per loro rappresenta la conquista della libertà di scelta anche per piccole (e innocenti) vanità: un taglio di capelli, una coppia di orecchini, un vestito più sgargiante e soprattutto, l’assenza dell’hijab.

‘SHAYDA’ di Noora Niasari – Zar Amir Ebrahimi in una scena del film – (c) Jane Zhang – materiale stampa fornito da Wanted Cinema
Un film che deve molto a Zar Amir Ebrahimi
L’interpretazione di Zar Amir Ebrahimi (Leggere Lolita a Teheran, 2024, Sette inverni a Teheran, 2023, Holy Spider, 2022) già premiata a Cannes e Tokyo, consegna un’altra performance toccante e fondamentale per capire la complessità strutturata delle donne iraniane, equilibriste impegnate a difendere libertà, identità e integrità. Non a caso il film, che è ispirato alla storia personale di Noora Niasari, è dedicato proprio alle donne del suo Paese.
La legge australiana dribbla tra le influenze che la sharia esercita anche a distanza sulle vite del suo popolo. Shayda non rinnega la sua patria, piuttosto ne rinnega la visione miope: la stessa madre della protagonista, parte di un sistema incapace di leggere il dolore della figlia, le chiede di sopportare le violenze in nome del decoro e dell’obbedienza religiosa. Quante altre donne sopportano questa quotidianità, senza aver la possibilità di potervisi sottrarre?
Contemplare il racconto di Shayda ci permette di apprezzare l’appartenenza a un mondo in cui la denuncia e la tutela della donna in questi contesti è ancora possibile. Shayda ribadisce il valore e lo spessore della battaglia quotidiana di queste coraggiose eroine.