Il cinema ha da sempre avuto un doppio volto: da un lato, il sogno hollywoodiano, capace di costruire miti globali. Dall’altro, quello più nudo, crudo, urgente: quello del cinema come strumento di denuncia, come mezzo per raccontare l’indicibile, per documentare ciò che altri vorrebbero nascondere. È in questa seconda direzione che si colloca No Other Land, documentario vincitore dell’Oscar 2025 nella categoria Miglior Documentario, firmato da Yuvak Abrahma, Basel Adra, Hamdan Ballal e Rachel Szor. Un film che continua a far parlare di sé, anche grazie alla recente presenza in Italia di Basel Adra, ospite del festival La Repubblica delle idee 2025 a Bologna, e protagonista di un incontro con gli studenti dell’ Università di Roma La Sapienza.
Eppure, nonostante la risonanza internazionale del premio, il tono con cui i registi hanno accolto il riconoscimento è stato tutt’altro che trionfale. Nessuna celebrazione, solo parole pesanti, lucide, necessarie. Basel Adra, intervenuto a un incontro con gli studenti della Sapienza – organizzato dal sindacato studentesco UDU Sapienza, con la partecipazione di Luisa Morgantini di Assopace Palestina – ha sottolineato come, nonostante tutto, la situazione nei territori palestinesi non faccia che peggiorare. Le sue parole, prive di enfasi, sono l’espressione disillusa di chi sa che un premio, per quanto prestigioso, non ferma le ruspe né le bombe.
La videocamera come resistenza
Basel documenta da anni ciò che accade a Masafer Yatta, un villaggio palestinese sottoposto a un lento, sistematico tentativo di cancellazione da parte dell’esercito e dei coloni israeliani. La sua arma è la videocamera. Un gesto apparentemente semplice, ma che in quei territori significa esporsi, rischiare, resistere. Non per il mito della rivelazione – non c’è più l’illusione di poter mostrare qualcosa che il mondo non sappia già – ma per il dovere di esserci, di continuare a testimoniare anche quando il mondo ha smesso di ascoltare.
La storia recente lo dimostra: dopo la notte degli Oscar, tornati in Palestina, i membri della troupe sono stati aggrediti, minacciati, arrestati. La visibilità ottenuta grazie al premio è durata poco, poi tutto è tornato nel silenzio di sempre. «Ora è il momento in cui agire è indispensabile», ha detto Basel davanti agli studenti. Ma chi lo sta facendo davvero?
Hollywood e la distanza tra immagine e realtà
Hollywood negli ultimi anni ha provato a rispecchiare le trasformazioni del mondo. Ha introdotto criteri di inclusività, richiesto attenzione per le tematiche sociali, cercato di aprirsi a voci nuove, marginali. Ma No Other Land mette a nudo la distanza tra simbolo e realtà. Se l’attenzione resta legata all’evento, se manca un progetto concreto di azione e pressione politica, allora questi premi rischiano di essere solo specchi luccicanti, incapaci di riflettere davvero la brutale realtà
Il cinema non può limitarsi a “parlare di impegno”. Un film come No Other Land non vuole l’onorificenza fine a sé stessa: chiede mobilitazione, chiede che il cinema si faccia megafono di una realtà ignorata, chiede che gli occhi aperti di una platea diventino braccia e coscienze attive. L’appello non è solo per la Palestina, ma per tutti noi. Per i governi che tacciono. Per le istituzioni che normalizzano. Per un mondo che – pur sapendo – resta indifferente.
Raccontare è resistere. Ma agire è urgente
«È difficile oggi anche solo parlare di speranza» conclude Basel. Ma il cinema può – e deve – essere ancora uno strumento di resistenza. Il percorso di No Other Land non finisce con la vittoria dell’Oscar. Inizia lì. E a noi resta il compito di non girare lo sguardo. Perché raccontare è già resistere, ma ascoltare – e agire – è l’unica strada per provare a cambiare davvero le cose.