Dopo Elemental, la Pixar torna al cinema con Elio, in uscita nelle sale italiane dal 18 giugno, diretto da Domee Shi (Red) e Madeline Sharafian (Bao). Un film d’animazione che parla di spazio, ma contemporaneamente di noi. Di connessione, solitudine, forza e vulnerabilità. E lo fa in un momento storico che ci ha lasciato (e ci sta ancora lasciando) più isolati che mai. Non a caso, la lavorazione di Elio inizia proprio cinque anni fa, nel pieno periodo covid, avvicinando ulteriormente umano e tecnologia. Per tale ragione il “Riconnettersi nuovamente” era ed è tutt’oggi l’obiettivo delle registe. Ma con chi, ed a quale prezzo?
“Abbiamo iniziato a costruire il film partendo dal personaggio, non dal tema. Volevamo raccontare la storia di un bambino che si sente solo e che trova il suo primo vero amico nello spazio”
Racconta la regista Madeline Sharafian.
Il viaggio dell’eroe, ma riscritto da dentro
Elio non ha una spada. Non è neanche particolarmente coraggioso. Ha paura, come tutti. E proprio per questo è credibile. Pixar riscrive il “viaggio dell’eroe” coniato da Vogler togliendo tutto ciò che è epico, e lasciando solo l’essenziale: una trasformazione interiore.
La sua è una chiamata all’azione accidentale, come nei migliori racconti d’avventura, ma qui il focus è sulla crescita interiore, sul riconoscere la propria unicità anche nella vulnerabilità. Il suo nome, Elio Solis, dice già molto: è un bambino che si sente solo come il sole, al centro eppure distante. Il film lavora sui livelli della narrazione simbolica, fondendo il mito dell’eroe con una sensibilità profondamente contemporanea.
Il vero conflitto non avviene con gli alieni, bensì con la solitudine. Quello che cerca è un amico, un contatto, un luogo nel quale possa sentirsi accettato. E lo trova nello spazio, dove la distanza diventa vicinanza e dove il diverso diventa similitudine.

“Sei unico, non sei solo. Sei speciale.”
È questa la frase che resta.
Elio contro Lord Grigon: comunicare invece di combattere
Il cuore etico e narrativo del film si trova nel confronto tra Elio e Lord Grigon. In una qualunque altra storia, soprattutto fantascientifico, il climax coinciderebbe con una battaglia epica. Qui invece il conflitto si scioglie nel tentativo di trattativa, di parola, di empatia. Elio non cerca di abbattere il nemico. Cerca di capirlo. Chiedendoli come si possa firmare un trattato di pace.
È un momento che ribalta la grammatica classica della narrazione eroica. Elio affronta l’ostilità non con la forza, bensì con il sapere. Si fa consigliare da un’entità, da una coscienza collettiva, su come negoziare. E lo fa scrivendo sulla sua pelle i concetti da esporre, come un ragazzo che impara a parlare il linguaggio della pace in un mondo che preferisce la violenza alle parole.
Questo passaggio è fondamentale: non si tratta di evitare il conflitto, bensì di ridefinirlo. Elio diventa mediatore, simbolo di un’umanità che non vuole imporsi, ma condividere. La pace non è un’assenza di guerra, ma una ricerca continua di comunicazione. Pixar, ancora una volta, mostra che anche un bambino può insegnare agli adulti un nuovo modo di vivere.

Dopo il confronto iniziale con Lord Grigon, Elio viene rinchiuso: qualcosa nelle sue parole ha toccato un nervo scoperto. Quando riesce a fuggire, capisce che l’unico modo per ottenere la pace è coinvolgere Glordon, il figlio del Lord. È lui la chiave. Glordon vuole un’amicizia vera, e sarà proprio quell’amicizia a diventare la leva per disinnescare il conflitto.
Il cuore tenero sotto l’armatura
Glordon, il figlio del grande villain Lord Grigon, è l’altro volto della storia. Ha paura della sua futura muta, l’armatura che lo renderebbe minaccioso. Senza, si sente fragile, ma libero. Pixar ci dice con delicatezza che quella fragilità non è un limite, ma una verità. La corazza è una metafora: di come cresciamo, di quello che ci viene chiesto per essere accettati.
“Non voglio diventare una macchina da guerra.”
Ammette Glordon. La muta di Lord Grigon diventa allora il simbolo delle aspettative sociali legate alla mascolinità. Elio e Glordon decostruiscono questo stereotipo con dolcezza, mostrando che la vera forza è saper chiedere aiuto, saper dire “ho paura”, saper restare, anche quando è difficile.

Donne in guerra, donne al comando
Olga, la zia di Elio, e la madre di Glordon sono entrambe guerriere. Non sono ancelle, non sono madri dolci: sono leader. Sono in guerra. E sono credibili.
Il film rifiuta la dicotomia tra forza maschile e cura femminile, mostrando come anche le donne possano essere al centro del conflitto, della leadership, del comando. Senza rinunciare alla propria complessità.
In questo, Elio prosegue un percorso già avviato da film come Red (sempre diretto da Domee Shi) o Frozen 2: costruire protagoniste femminili educative e al passo con i tempi odierni.
L’educazione sentimentale comincia dal cinema
Elio non è solo una storia per bambini: è un manifesto per l’educazione emotiva. Come dice Alessandra Mastronardi, doppiatrice italiana del film, è fondamentale,
“Bisogna partire dall’educazione dei più piccoli”
E la Pixar, con Elio, lancia un messaggio chiaro: non esiste un solo modo di essere forti.