Dopo l’approdo su Disney+, Red arriva al cinema dal 7 marzo.
Il film, diretto da Domee Shi, racconta di Mei Mei, una ragazzina di origine cinese in Canada che, mentre comincia ad affrontare i primi traumi dell’adolescenza, si trasforma in un grosso panda rosso che le rende difficile la vita. Cosa significa per lei e la sua famiglia e come poterlo contenere?
A ogni Pixar la sua formula
Già regista di Bao, corto premio Oscar nel ’18 che anticipava la vena autobiografica del lungometraggio, Shi scrive con Julia Cho un film intimo e personale, un racconto di formazione indirizzato soprattutto alle ragazze che vuole riflettere su cosa significhi crescere in un corpo femminile, dentro le logiche biologiche e culturali della femminilità, tra cui anche il “tabù” delle mestruazioni che Disney infranse già nel 1946 col corto didattico La storia delle mestruazioni.
Il vero punto di arrivo del film però è nello sguardo all’istituzione familiare da un’ottica matriarcale, sulla scia di uno schema che ormai sembra una formula dopo averlo visto in Coco ed Encanto, che torna allo stesso tema – lo smarcarsi dal peso delle pretese familiari – come a una griglia su cui applicare prodotti e contesti diversi, con le stesse morali (condivisibili, quantomeno) e le medesime problematicità, come per esempio il ruolo del denaro e della mercificazione del sé accettato acriticamente.
Chiusi in sé stessi
Il vero grande limite di Red però è nella sua forma, nel modo semplicistico di costruire e sviluppare il racconto, nella miscela molto “americana” di influssi orientali disparati, nella costante sensazione di riciclo che, a dire il vero, permea parecchi film recenti della Pixar. Anche perché poi, adottare il tema e il target come unici metri di realizzazione e ideazione di un film, impedisce all’opera di spiccare il volo, soprattutto di espandersi.
A differenza dei film migliori usciti dalla controllata Disney, quello diretto da Shi è un film che resta chiuso, che comunica efficacemente a livello primario, ma resta lì, a dire quella sola cosa a quelle uniche persone per cui il discorso è pensato, dimenticandosi la profondità e l’universalità potenziali di un film del genere. Allora forse, la decisione Disney acquista un senso diverso, una scelta economica ed editoriale, per quanto discutibile.
Scrivere in una rivista di cinema. Il tuo momento é adesso!
Candidati per provare a entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi drivers