Proiettato all’interno del 28º Festival Cinema Ambiente di Torino, Mut è il cortometraggio diretto dall’artista e regista Giulio Squillacciotti e prodotto da GameC, già presentato in anteprima nel 2024, alla seconda edizione di MADE Film Festival.
Il corto è una sequenza di istantanee documentaristiche che ritraggono la quotidianità del bambino Dario e di suo fratello Omar, nella cornice alpina tra le vette lombarde.
Mut è Pensare come una montagna
Mut nasce in risposta al progetto “Pensare come una montagna” del programma diffuso sul territorio della Provincia di Bergamo, con l’obiettivo di coinvolgere le comunità locali attorno a temi quali la sostenibilità e la collettività. L’iniziativa strizza l’occhio all’etologo Aldo Leopold che, con A Sand County Almanac, raccoglie una serie di riflessioni sulla natura e sull’osservazione di essa.
Squillacciotti parte proprio da questo punto di vista: osserva il paesaggio naturale come qualcosa di profondamente intrecciato con la comunità che lo abita. Pur rimanendo sullo sfondo delle inquadrature, la montagna è una presenza costante e centrale nei 18 minuti del cortometraggio. Nel dialetto bergamasco, mut significa monte, un’indicazione chiara dell’intento del regista: mettere in luce le attività quotidiane che definiscono la vita d’alpeggio di una piccola famiglia, in un rapporto diretto e continuo con la natura. Dalla cura degli animali alla produzione di latte e formaggio, il film restituisce con delicatezza e vivace curiosità l’essenza concreta e rituale della vita montanara.
Un ritratto sonoro
Dopo un overture elettronica, forse tecnologica, Mut presenta i rumori della natura e degli animali, uccelli, campanacci di mandrie al pascolo e un probabile ruscello che scorre nelle vicinanze. Poi il calpestio sull’erba da parte di Dario nella sera crepuscolare. Una pecora bela, guardando dalla fessura sgangherata di una porta in legno la vita umana giallo-illuminata, come a dire “fatemi entrare”. Poi lo scoppiettio del fuoco e i colpi che tagliano la legna da ardere, mentre scene di vita quotidiana, intorno a un tavolo o sul letto, avanzano in video. Si ode, tra i campanacci e il belare, qualche voce di sottofondo conversare in dialetto. Il ritmo cadenzato dei passi di Dario ci conduce verso un sentiero, forse lo stesso che percorrono gli escursionisti, armati di bastoni, erranti lungo le pendici della del mut.
Le distanze della valle di Mut
I fratelli si parlano a una distanza – che sembra – incredibile: è il potere dell’immensità della valle, connessa, nei propri spazi, da un fil bleu. Dario e Omar sono un tuttuno con gli animali, anche nei silenzi che danno voce al respiro di un cane in un momento di pausa dalla rituale vita di montagna. Questa è fatta spesso di fatiche fisiche, come quelle di un pastore che richiama all’ordine una mandria di bovini, in un linguaggio nuovo e allo stesso tempo primigenio.
È nelle grandi distanze da coprire – fisiche e sociali – e nei momenti di contatto che si concentrano alcuni interessi di Squillacciotti: al quadro di una riconnessione ancestrale con la natura, si sovrappone l’esigenza di farne parte con i nuovi mezzi e strumenti di sopravvivenza: smartphone nelle minuscole mani di bambini, una mungitrice meccanica, un trasportatore elettrico, una motocicletta e un pickup. È quindi nella miscela tra formaggi, ambiente e riprese sonore naturalistiche, con elementi di necessaria sopravvivenza tecnologica, che si attraversa la montagna, che si pensa come una montagna.

La fotografia di Giulio Squillacciotti
Studioso di arte tra Roma e Barcellona e specializzatosi in arti visive allo IUAV di Venezia, Squillacciotti sa come usare l’obiettivo. La fotografia è eccellente, focalizzata e centrata sugli aspetti che meglio raccontano la ciclicità rituale della vita montanara. Le immagini sono nitide, colorate di un contrasto vivido, pulite come l’aria di montagna. Le inquadrature concentrano l’idea in piccoli dettagli. Le mani di Dario reggono uno smartphone e la mammella di una vacca che sta per essere munta. Omar che nutre di latte la pecora con un biberon e una schiera di forme di formaggio. Infine il simbolo di Batman sulla maglietta del piccolo pastore.
Questa scelta visiva non restringe il campo di narrazione, piuttosto immerge lo spettatore in un ambiente intimo, che rinuncia ai panorami per raccontare un legame profondo con il territorio montano, amplificandone gli aspetti identitari. Il film porta alla luce le contraddizioni di una convivenza che è, allo stesso tempo, basata sul rispetto e sull’utilità. La coabitazione con la natura e le necessità di una vita umana si fondono nei piccoli dettagli, dove la cura e l’empatia per l’animale diventa anche allevamento di bestiame. La montagna emerge come un ecosistema complesso, in cui coesistono e si confrontano visioni e interessi differenti.
La conservazione del genius loci in Mut
Squillacciotti compie un’operazione diretta e precisa, volta alla tutela del territorio, conservando quello che i romani chiamavano genius loci, lo spirito del luogo. È nella scelta del titolo, nelle conversazioni in dialetto bergamasco, nei gesti e nelle attività quotidiane che si riflette l’anima della montagna. Al tempo stesso questa scandisce la ciclicità dei suoi abitanti e si manifesta nei ritmi di lavorazione, nei corpi che la esplorano, nei silenzi che la attraversano, nel legame tra uomo e animale, tra animale e natura.