‘Bordovasca’: l’attimo fuggevole

“E quando che meno
ti pensi, nel seno
ti vien a finire,
bisogna morire.
Se tu non vi pensi
hai persi li sensi,
sei morto e puoi dire:
bisogna morire.”

La Passacaglia della Vita, testo recentemente reso noto dal suo utilizzo nel film Favolacce dei Fratelli D’Innocenzo, è un testo composto da Stefano Landi, autore barocco vissuto a cavallo del ‘600.

Il testo esplicita nella sua crudele limpidezza la fugacità dell’esistenza, dimostrando quanto la fatalità degli eventi domini la nostra quotidianità.

Nella sua struttura ripetitiva, trasmette il peso inevitabile della condizione umana. La sua dichiarazione di verità, il suo Sein zum Tode, è un richiamo incessante alla finitudine delle possibilità, nel mancato appello alla grazia.

Un inevitabile mantra, una lamentazione omerica, l’eco che attraversa i secoli e le geografie dei popoli.

La ripetizione ciclica delle vicissitudini, nella loro tragica alternanza, inizia e termina con la stessa verità, svelando non solo la delicatezza della vita, prezioso vetro soffiato di leggerezza, ma anche la necessità di abbracciare ogni istante con la pienezza dello spirito. La passacaglia ci ricorda che, sebbene il tempo sia inesorabilmente finito, il  valore pieno di vivere si trova nell’accogliere il momento presente con l’autenticità dello spirito.

Bordovasca, nella sua ineluttabilità, semplice eppure terribile, parla della Passacaglia, nella sua intenzione più crudele. È proprio nel momento dello scherzo che si verifica la fatalità. Nella serenità apparente di un pomeriggio qualsiasi si consuma la tragedia. Eppure un attimo prima, il sorriso, la carezza.

Il Carpe Diem non arriva mai perché sempre in ritardo, le Moire si sono già espresse rispetto al destino che vogliono riservare all’uomo, felicemente ignaro. Bastano pochi passi, un piede poggiato male, una qualsiasi distrazione: bisogna morire, bisogna morire.