Si stima che ogni giorno, sui social network, vengano caricate circa 5,3 miliardi di immagini, una media di 61.400 al secondo, cifre incalcolabili e inimmaginabili, numeri così grandi che non danno adito all’immaginazione. In un contesto di questo tipo, quanto valore può avere una sola fotografia?
Valore, è ciò che prova a dare la regista britannica Miranda Pennell ad una singola immagine in Man Number 4, cortometraggio in concorso alla terza edizione di Unarchive – found footage fest, la rassegna romana dedicata ai migliori prodotti audiovisivi creati tramite il riuso creativo di materiale d’archivio che ha luogo dal 27 maggio al 1 giugno 2025 nella capitale. Man Number 4 si colloca perfettamente nel contesto, fermando una fotografia nel tempo e dandogli quella dignità e risonanza che certe immagini devono, necessariamente, avere.
Si tratta di una foto scattata a Gaza nel dicembre 2023, la quale innesca un’analisi attenta, messa in scena da una voce narrante, che rivela personaggi, luoghi e una scatola misteriosa, sollevando interrogativi sulla rappresentazione e la violenza che vanno oltre l’inquadratura e tradiscono lo spettatore, inerme e colpevole.

Man Number 4 (Miranda Pennell, 2024)
Dettagli scomodi
L’immagine ha un particolare protagonista, Il ‘quarto uomo’ da destra, è un dottore, Khalid Hamoda, la sua famiglia è rimasta vittima dei bombardamenti a tappeto messi in atto dal regime israeliano mentre lui, deportato, torturato e spogliato di ogni briciolo della propria identità, è stato rilasciato a diverse settimane di distanza da questo scatto e di lui, ora, non si sa più nulla. Stessa sorte capitata a migliaia e migliaia di civili come lui nella cornice dell’interminabile genocidio del popolo palestinese a Gaza e in Cisgiordania.
Ad accompagnare il tragico racconto, l’analisi, della fotografia in Man Number 4, c’è la melodia senza tempo del Requiem in D minore di Wolfgang Amadeus Mozart, ‘Requiem’ come il ricordo di un defunto o di centinaia di migliaia in questo caso.
Milioni di immagini
In quanto spettatori siamo passivi, in quanto passivi siamo colpevoli. Costantemente e consapevolmente assorti in un turbinio digitale di informazioni che un algoritmo sceglie precisamente per noi e che può causare problemi ben più grandi del semplice abbassamento della soglia dell’attenzione o lo spreco costante di ore davanti al cellulare. L’idea di star vedendo “tutto” ci chiude infatti in una scatola con il cielo dipinto sulle pareti in cui la sensazione è quella di essere spettatori della verità nonostante si tratti di una mera, artefatta, superficie.
La forza bruta di un singolo scatto, rompe questo alienante equilibrio, riporta con i piedi per terra e mette in moto la mente, conoscere l’identità delle persone in foto la rende viva, notevole, importante. Accende un campanello d’allarme e diventa documentaristica.
Un’immagine
Zoom out, la foto è completa. Quell’ammasso indefinito di pixel prende forma in un’unica disturbante immagine, maestosa nella sua atroce disumanità, il dipinto rinascimentale di un crimine perpetuo commesso sotto la luce del sole, o quella di un cielo terso ma malato, colorato di un arancione pallido, artefatto dai fumi dei bombardamenti e dalla polvere sollevata dagli edifici distrutti.
La visione è scandita da una narrazione oculata, pochi suoni ben precisi a restituire ciò che l’immagine ha immortalato, poi una scena che parla da sola, la brutalità della guerra che ci ricorda quanto poco sia cambiato il mondo dal 1945 ad oggi, quella scatola misteriosa in basso a sinistra che potrebbe contenere gli effetti personali dei deportati palestinesi come qualsiasi altra, orribile, cosa e che ci ricorda quanto poco sappiamo di quello che stiamo, nitidamente, osservando. Cosa c’è oltre? Cosa si nasconde dietro quei palazzi, dentro quella scatola o nelle menti dei soggetti in primo piano?
Man Number 4 ha la forza impattante di un racconto dell’orrore, nei tempi, nelle parole e nelle porzioni di scatto selezionate riesce a raccontare una storia di incalcolabili proporzioni, sintetizzata in dieci, sofferti, minuti.

Man Number 4 (Miranda Pennell, 2024)
Un corrispondente della nota testata israeliana Channel 12 ha scattato questa fotografia a Beit Lahia, città all’estremo nord della Striscia di Gaza, e l’ha pubblicata su Facebook alle 21:33 del 12 dicembre 2023. L’immagine è stata inizialmente condivisa nella chat giornalistica interna al sito di Channel 12, che ne costituisce la fonte originale.
Consumatori passivi di orrore
Un contesto di cui lo spettatore è vittima inerme e allo stesso tempo colpevole consumatore, che inevitabilmente mi porta alla memoria una frase di ‘Floppino’, brano del 2017 del cantautore italiano Frah Quintale:
“Metto un telegiornale che c’è quella giornalista così bella
Parla del campionato e della guerra come se non ci fosse differenza”
Segreto di pulcinella, verità assoluta e risaputa della realtà di oggi.
Una realtà in cui il potere è negli occhi di chi, fortunato, quelle scene le vede solo tramite pixel, imagini che possono restituire, sì, un sentimento di tristezza, rabbia, sgomento, ingiustizia, ma giusto per qualche secondo, prima di tornare a guardare gli highlights dell’ultima partita di campionato o la foto in costume di una modella; passare dalla spensieratezza, all’interesse morboso, per poi tornare alla tristezza quando l’algoritmo deciderà di mostrarci nuovamente gli orrori della guerra in un altro scatto. Star male di nuovo, giusto per qualche secondo.