Il Festival I Corti sul Lettino – Cinema e Psicoanalisi sta per arrivare con la sua XVI edizione, diretto da Ignazio Senatore, psichiatra, psicoterapeuta, giornalista e critico cinematografico. In questa intervista, il direttore ci fa immergere un po’ di più nell’evento, totalmente autofinanziato ed indipendente, e nella sua visione sinergica di questi due campi che lui è riuscito a conciliare brillantemente. Poi ancora, informazioni su quando e dove si svolgerà e alcune importanti tematiche prese in considerazione.
Quando nasce il festival e come hai deciso di unire psicologia e cinema?
Guarda, il festival nasce perché io sono sempre stato un appassionato di cinema. E quindi è nato quasi per gioco. 16 anni fa i corti ed i festival erano pochissimi in tutta Italia. E soprattutto, i corti avevano una durata molto breve: erano quasi tutte commedie ed erano una sorta di spot se vogliamo. Poi con il tempo si sono abilitati. Adesso, per fare un corto ci sono titoli di coda che sono pari a quelli di un film. Inoltre, molti attori importanti, che prima snobbavano la corta lunghezza, adesso partecipano con grande piacere. Anche al Festival I Corti sul Lettino hanno partecipato la Solarino, la Rohrwacher, Sandra Milo, Battiston, Stefano Accorsi. I corti oggi sono quasi dei promo per i giovani registi che poi si cimenteranno nei lungometraggi.
Cosa hanno in comune psicologia e cinema e quali punti di forza acquisiscono insieme?
Allora io sono uno psichiatra, le persone che si rivolgono a me sono persone che mi raccontano le loro storie, no? Per lo più storie di sofferenza e di persone che non riescono a cambiare la propria vita. Sono bloccate dal dolore. O sono coppie in crisi che non riescono a trovare una via per stare bene. Quindi raccontano storie. E chi meglio del cinema racconta storie?
Ho ideato questa sorta di sindrome che ho denominato “sindrome di Sherazade”: Sherazade come l’eroina di Mille e una notte era quella che per non morire raccontava storie. Poi io sono stato un grande divoratore di romanzi, ho una formazione classica, e quindi, come si diceva nel film Viaggio in Inghilterra “si legge per non stare da soli”. E il film è anche questo, cioè si va al cinema per non stare da solo. Un po’ anche come le ninna nanne di quando si è bambini: c’è qualcuno che ti racconta la storia. Il film è sempre stato un po’ regressione, no? Andiamo al cinema per piangere, per ridere, per star bene, per star male, per spaventarci. Il bello del cinema è questo.
Quindi si Assolutamente, la cosa che li accomuna è raccontare storie!
Cosa ti ha colpito di più dei corti ricevuti quest’anno e quali tematiche affrontano?
Prediligo i cortometraggi che raccontano storie di uno scavo psicologico. L’analisi delle relazioni umane, storie di solitudine, di devianza, storie di persone che non stanno bene con sè stesse e non hanno trovato il loro posto nel mondo. Questo è quello che poi raccontano i pazienti, come fanno i cortometraggi. Io poi sono truffautiano: come diceva Truffaut “che tristezza i film sulle guerre, non ci sono le donne”. Nei corti selezionati c’è quasi sempre un protagonista donna.
Per esempio c’è questa storia di tossicodipendenza, che vede una donna-protagonista insieme al suo ragazzo, che tenta di aiutarla e salvarla.
Oppure c’è un altro molto divertente che si chiama Amore e Nostalgia ed è la storia di questi due ragazzi che si incontrano e credono apparentemente di conoscersi e capirsi, ma presto scoprono che la realtà e le relazioni umane sono ben più complesse. Insomma la narrazione di fraintendimenti e proiezioni. Un altro ironizza sull’intelligenza artificiale.
Altri due sono sulla follia, però li ho scelti perché non la ridicolizzano. Ne ho visto tanti su questo tema, ma spesso i folli vengono trattati in modo ridicolo ed estremizzato, comunicando quasi un’impressione di irrispettosità verso la sofferenza.
Insomma ci sono tanti temi; poi la bellezza dei corti, oltre che nella fattura artistica, sta nel concepire e partorire una bella storia che sappia chiudersi in modo comprensibile e credibile.
Chi può partecipare e quali requisiti devono avere i corti?
Tutti possono partecipare. Adesso, le selezioni per quest’anno sono state chiuse il 1° maggio, ma in generale sono ammessi tutti i corti con una durata massima di 19 minuti. Poi una nota devo farla: spesso mi arrivano corti che tentano di rappresentare una seduta psicoanalitica, però come succede quasi sempre il tutto appare molto limitante! I percorsi terapeutici vengono banalizzati e semplificati: è davvero un setting difficile da cogliere.
Quando e dove si tiene il festival e come è strutturato?
8-9 maggio, a Napoli dalle 5 alle 8 di sera ai Magazzini Fotografici, uno spazio di fotografia molto particolare dove non si paga il biglietto, l’ingresso è gratuito e si può fare una donazione libera. Si tratta, quindi, di uno spazio molto indipendente ed il tutto si articola in due giornate: la prima è la giornata dei corti nazionali la seconda è dedicata ai corti campani e stranieri.
Mi piace portare corti di qualità ed ospitare presidenti di giuria come Scola, Faenza, Piccioni, Risi, Haber, D’Alatri, Calopresti, Luchetti poi anche tanti napoletani come Paone, Donadio Quest’anno ho l’onore di avere con me Enzo De Caro, Miriam Candurro e Tony Tammaro.
Quali sono, secondo te, tre film che uniscono perfettamente il tuo concetto di cinema e psicologia?
Ti posso dire forse i tre film che amo adesso. Sicuramente Blade Runner di Ridley Scott, su cui ho anche scritto un libro: è il film della mia vita perché affronta il tema della morte in maniera filosofica, ed è forse il film più filosofico e più psicoanalitico che ci sia. Poi io sono un amante di Bellocchio, quindi Fai bei sogni che mi è davvero entrato nel cuore. E infine Baci rubati: con quello mi sono innamorato del cinema.
Quali sono stati i corti vincitori dell’anno scorso?

Bhe, sicuramente mi ricordo di Benzina di Daniel Daquino: la storia di un loser, un benzinaio che veniva preso in giro da alcuni bulli, fino a quando dopo aver subito e risubito reagisce e architetta una vendetta molto sofisticata. Alla fine, riesce ad incastrarli, in modo molto delicato, assolutamente non violento, ma dando sfogo a tutta la sua rabbia. L’attore è straordinario e la colonna sonora spaziale.
Anche in Lucciole, quest’anno, c’è una storia molto simile e il protagonista sfocia in una sorta di ribellione…io poi sono un ribelle nato, amo le storie di ribellione; anzi, in realtà, dovrebbero esserci più rivoluzioni, perchè la ribellione è più fine a sè stessa. Sebbene, ad esempio, la mia generazione, che voleva cambiare il mondo, ha fallito quindi almeno le ribellioni e la possibilità di indignarsi… concedetecelo!