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FESTIVAL DI CINEMA

Intervista al Nucleo Kubla Khan in occasione della seconda edizione di Blaterale

Ad sensum – “In queste ombre, spettatore, mi confesso” titolo dell'istallazione artistica curata dal collettivo Nucleo Kubla Khan

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La nona edizione del Laterale Film Festival è accompagnata da un’installazione immersiva realizzata in collaborazione con il Nucleo Kubla Khan, intitolata Ad sensum – “In queste ombre, spettatore, mi confesso”. Si tratta di un percorso in cui il cinema si espande e si dissolve nello spazio, avvolgendo lo spettatore e trascinandolo all’interno della scena.

Per comprendere più a fondo il significato dell’opera e ripercorrere la genesi del Nucleo Kubla Kahan, sono state rivolte loro alcune domande.

Ad sensum, in grammatica viene definita la concordanza a senso, un fenomeno in cui la concordanza tra gli elementi di una frase non segue le regole grammaticali formali, ma piuttosto il significato logico o concettuale delle parole. Come avete applicato questo meccanismo alle vostre produzioni?

Le nostre produzioni sono orientate alla constructio di nuove significazioni in rapporto critico con la visione dei cortometraggi. Abbiamo inventato (etimologicamente fedeli all’invenire latino nell’accezione di “trovare”) concordanze alternative e contestualizzazioni col-laterali che possano far concepire a chi farà esperienza dell’installazione altre interpretazioni da accompagnare a quella da noi
proposta, nella creazione condivisa di una stratificazione eterogenea eppure figlia della medesima sostanza.

Le ombre in cui vi confessate di cosa sono composte?

Sono composte di luce che ha perso memoria di sé, forse. Di fotogrammi che hanno dimenticato il film, eppure bruciano ancora nella retina di chi li ha visti o solo immaginati. Sono fatte di ciò che resta quando la forma si dissolve: respiri, balbettii, larve di voci che rotolano dal ciglio di un fragile scarlatto. Non sono ombre che oscurano, ma che accecano per sottrazione. Ogni confessione, nell’ombra, è
un’illuminazione mancata: una frase che si interrompe prima ancora di essere pronunciata. Materia? Polvere di schermi spenti? Il residuo sinestetico di tutte le immagini mai proiettate? Il pulviscolo che resta quando il cinema implode e diventa
carne, orecchio, pelle? Il luogo stesso, forse, in cui l’allegoria si degusta, si annusa, si ascolta.

Voi come identificate i due lati dell’immagine, cosa ritenete ci debba essere sulla superficie, che sia cinematografica, pittorica oppure letteraria, e cosa credete ci sia oltre?

Lo spettatore verrà pungolato attraverso una stratificazione di stimoli e immagini che nascono in primis dal testo delle confessioni, cariche di visioni poetiche legate ai cortometraggi — immagini mentali, temporanee come bagliori, fuochi fatui, talvolta narrative — e le immagini materiali, tangibili, di frames significativi tratti dai corti. Si tratta di immagini legate a momenti sintomatici delle confessioni. Nell’installazione questi due piani si fronteggiano: le stampe rendono la superficie percettibile, le voci in cuffia spalancano l’oltre in una dimensione aumentata.

Come si traduce l’invisibile tramite la parola? Come credete differisca dalla resa attraverso le immagini?

Questa domanda è molto interessante, ma richiederebbe uno spazio più ampio per ricevere una valida risposta. Possiamo soltanto dire che per noi, in Ad sensum, l’invisibile resta tale. Lo spettatore potrà tentare di intra-vederlo, anche solo per un istante, attraverso una sintesi tra la concretezza razional-sensoriale e l’immaginazione, tra la parola e l’immagine, o percorrendo vie differenti in virtù della libertà propria di una constructio ad sensum.

In che modo vi siete fatti ispirare dai film che vedevate? Come si è svolto il processo creativo?

La stimolazione visiva serba in sé il germe della poesia. La caratura estetica della proposta Laterale, poi, particolarmente orientata a denudare l’immagine cinematografica da tutte le sovrastrutture codificate, di linguaggio, emotive, narrative, ha reso agile il processo creativo. Un qualsiasi frammento filmico, qualunque fermoimmagine dei corti in rassegna, che abbiamo avuto la fortuna di visionare in anteprima, era già il suggerimento esplicito della mappatura dei diamanti. A noi, il “semplice” compito di disincagliarli dalla roccia.

La mostra ripropone le sembianze di un rito, cosa si intendeva esorcizzare?

Pensiamo al rito (visione del corto, ascolto delle confessioni, percezione tattile delle immagini) come a un dispositivo che esorcizza certe modalità consolidate di ricezione delle immagini, non come gesto magico, ma come operazione culturale che libera lo spettatore da abitudini che appiattiscono l’esperienza. Il cortometraggio entra nella testa dello spettatore tramite immagine e suono, le confessioni rimodellano quell’immagine interna in pura voce, le stampe offrono la percezione tattile e visiva allo stesso tempo, ma statica, un tempo fermo, congelato, e lo spazio preparato restituisce una sensazione 3D di immersione. Così la visione diventa esperienza partecipativa, memorabile e trasformativa.

Il festival Laterale intende ri-portare nel cinema quella primordiale evocazione dell’assente, cosa credete sia cambiato all’interno della cinematografia che rende quasi necessario un ritorno alle origini?

La stagione è quella che è. Il cinema mainstream, tra supereroi, commediole e saghe familiari ostentatamente uggiose, è ri-assorbito dalla liturgia celebrativa del pieno, della presenza, spesso ingombrante, sia delle drammaturgie, cronometriche e industriali, sia dalle impalcature emozionali lasciate impunemente a vista – elementi tanto più esposti, quanto più messi in ridicolo. L’assenza invece, promossa magistralmente dalla selezione Laterale, ribalta la prospettiva catapultandola nel vizio dell’assenza, nella mancanza di appigli cognitivo-interpretativi, nello stupore dell’impressione pura. Un non-detto gravido di illuminazioni preventive, felicemente orfane di conferme e scevre da qualunque logica consolatoria o, peggio, autoassolutoria.

Questo sperimentalismo ha come effetto principe la chiamata in causa dello spettatore, al quale non resta nessuna possibilità di diserzione: deve reagire. Nel fortunato incontro, NKK e Laterale Film Festival si trovano affratellati in un percorso estetico comune, dove il letterario e il visivo sono l’uno la traslitterazione dell’altro. Quanto agli altri, ciascuno sceglie la religione che crede di meritare. Bisogna però ricordare che nella certezza interpretativa di un’immagine o di una parola non esiste nient’altro che asservimento al senso comune, alla maggioranza silenziosa dei significati che si accodano pedissequamente ai significanti, neanche fossero i loro carcerieri. Non c’è altro che conformismo. Del resto, il vaso pieno odia la goccia che lo farà traboccare.

Fotografia in copertina di Debora De Bartolo.