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Korea Film Festival

‘House of the seasons’, arriva in Italia il miglior indie coreano del 2023

Un’opera prima, di un fascino accattivante, elegia catartica della famiglia coreana

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House of the seasons di Oh Jung-min è un’opera prima, presentata al Florence Korea Film Fest nella sezione K-cinema Today, e interpretata, tra gli altri, da Woo Sang-jeon (Mr. Sunshine), Son Sook (The Glory), Oh Man-seok (Birth, Hunt), Seo Hyun-chul e Kang Seung-ho.

Una storia di svelamento, affiliazione e affetto, dove la vita e la natura si intrecciano in un’alchimia regolata dalla danza delle stagioni. Una squisita metafora che affianca la vita, nella sua imprevedibilità, all’arte antica della produzione del tofu.

House of the seasons di Oh Jung-min, la trama

È il momento per Seong-jin (Kang Seung-ho) di tornare da Seoul al suo paese d’origine, dove lo attende la numerosa famiglia, dai nonni agli zii. Nipote prediletto del nonno Seung-pil (Woo Sang-jeon), egli è l’erede ideale dell’aziendina di tofu di famiglia, un’attività che si fonda ancora sulla competenza degli anziani tramandata di generazione in generazione.

L’occasione per riunire tutti attorno a un tavolo e condividere le luci e le ombre della quotidianità è un memoriale jesa, dedicato agli antenati. A Seong-jin spetta il compito importante di presenziare e portare avanti l’omaggio, essendo ormai il più giovane adulto tra i Kim.

In questo contesto, alcuni dissapori e divergenze si accentuano, costringendo la famiglia, nell’arco di un anno, a ricucire numerosi strappi, il tutto sullo sfondo di un paesaggio bucolico e colorato, che racconta una Corea poco conosciuta e scandita da ritmi ben lontani dal fragore cittadino.

House of the seasons di Oh Jung-min

‘House of the seasons’ di Oh Jung-min – una scena del film

Il tempo di Oh Jung-min

House of the seasons è un film che inizia d’estate, presenta il colpo di scena in autunno e si risolve in inverno, con una lunga passeggiata che non si sa quando e dove terminerà. Una passeggiata che costringe il pubblico a stare, a rimanere, a essere presenti.

Questo pare un po’ il leitmotiv del film: la presenza nel momento. Poiché il tempo, così come ce lo descrive questo talentuoso esordiente, è effimero e non dà garanzie, tradisce le aspettative, e corre più veloce delle nostre teste.

La storia della famiglia Kim, dove l’ultima parola spetta sempre al patriarca e le madri si muovono dietro le quinte, poggia su di una struttura umana chiaramente confuciana e velatamente scettica della sua consistenza, di questi tempi. Si avverte la frustrazione delle donne e delle nuove generazioni, che senza alcuna voce in capitolo hanno l’obbligo di occuparsi degli affari di famiglia senza poter veramente incidere. Si percepisce la consapevolezza del giovane nipote e del privilegio che gode a scapito di altri, e come fatichi a gestire questa bivalenza.

Così, il film si costruisce nel districarsi quotidiano da queste maglie strette, da parte di tre generazioni che la pensano e la vivono diversamente, ma che ugualmente non vogliono mancare di rispetto o tradire chi li ama.

Il passo imponente del film

Scritto con straordinaria misura ed equilibrio, il film inizia con toni ilari per poi addentrarsi nei drammi familiari, invitandoci a riflessioni nuove. Il ragazzo, protagonista suo malgrado, si mostra piuttosto taciturno e lo sguardo fa la maggior parte del lavoro, rivelando il talento di Kang Seung-ho quasi del tutto se stesso. Nell’hanok della famiglia Kim non ci sono eroi e le dinamiche famigliari sono del tutto verosimili, nel bene e nel male. Nelle gioie e nelle sofferenze.

La manovra narrativa ricorda un cinema dai tempi reali che è quasi non fiction, che profuma della docilità di certo cinema taiwanese e giapponese, da Edward Yang a Hirokazu Koreeda.

L’ambiente è fondamentale, così come i colori, la presenza dell’albero, dei frutti, e di questo tofu che riesce più o meno bene a seconda della stagione. La cui esistenza e buona riuscita è vincolata all’approvazione del capo-famiglia, saggio e competente, e della ricetta tradizionale che vorrebbe tramandata di generazione in generazione, ma senza un successo pieno. Un’attività, questa, chiaramente nata dallo sforzo e dal genio di alcuni, trattata come fosse un figlio, gelosamente custodita e curata fino alle fine delle proprie energie. Il regista qui, ci mette un po’ del suo passato e lascia il pubblico entrare in una dimensione poetica e bucolica, folkloristica e squisitamente genuina della Corea fuori dalle grandi città.

‘House of the seasons’ – l’hanok della famiglia Kim

Lo spleen filosofico

Il lavoro di Oh Jung-min su House of the seasons sarebbe stato notevole così com’è, se non già il migliore film indipendente coreano del 2023. Ma il giovane regista ha aggiunto un dialogo delicato sullo scorrere della vita e sul rispetto dei tempi naturali, siano essi la vita e la morte, oppure la crescita di un giovane uomo, o l’arrivo del cocomero in estate.

Altrettanto efficace è l’insight nella fabbrica di tofu: questa materia soffice non è mai perfetta e sembra non poterlo essere, dal momento che la competenza e sapienza necessaria a crearla, pare sfuggevole e complessa da ereditare. Malgrado la buona volontà dei familiari. Ironicamente il tofu – alter ego della materia umana, dei figli, il cui sapore si vorrebbe sempre perfetto – viene alterato dalle stagioni della vita, evolvendosi fino a raggiungere una propria identità.

E in chiusura, un finale che è un sunset boulevard potentissimo, raccontato da una lentissima e cinematografica panoramica laterale, piano sequenza sbilanciato che si attarda su di un elemento scuro delineato nell’infinito di una distesa totalmente bianca. La musica incalza ma senza mai essere aggressiva, su di un lungo racconto di un’alba seguito da un lungo racconto di un tramonto. Se questa non è poesia…

House of the seasons

  • Anno: 2023
  • Durata: 121 minuti
  • Distribuzione: Indiestory
  • Genere: Famigliare
  • Nazionalita: Corea del Sud
  • Regia: Oh Jung-min
  • Data di uscita: 22-March-2025