La Dolce Villa è un film del 2025 per la regia di Mark Waters (Se solo fosse vero, 2005; Mean Girls, 2008; I pinguini di Mr. Popper, 2011), prodotto da DAE Light Media con Front Row Films. Su Netflix.
Incorniciata dagli aperti paesaggi della Toscana moderna, la storia di riconciliazione tra un padre e una figlia, distanti per responsabilità e vedute, ha luogo quando lei decide di prendere casa nel piccolo borgo di Montezara, e di trasferirvisi. Questo, però, solo una volta terminata la messa a nuovo della “dolce villa” acquistata in mezzo al nulla e al giallo-verde dei campi. Eric (Scott Foley), quarantenne e padre di una giovane curiosa ma incosciente, affronta così una prima ardua decisione: lasciare il proprio ufficio da imprenditore nell’Ohio, ma mantenendosi come lavoratore “a distanza”, per stare con la figlia Olivia (Maia Reficco) in Italia. Solo un mese, almeno fino a che la Villa del “Burbero Mario” non sarà resa agibile. Ma l’amore, in questa storia, chiama continuamente alla porta e i suoi protagonisti si troveranno coinvolti in intrecci irrisolvibili, se non con qualche sacrificio.
La Dolce Villa e la bellezza dell’ambiente
Il “dolce far niente” di un Bel Paese, che si racconta come un idillio, diventa mantra di un film che si basa sui cliché di personaggi fragilmente costruiti, ma che ben reggono il gioco alla generale acquiescenza di cui il film stesso fa tesoro.
Ed è davvero un “front row film”, un “film da prima fila” quello firmato da Mark Waters, il quale regala con questo suo ultimo lavoro un momento perfetto per godere del romanticismo. Gli scenari toscani, le piazze e i sanpietrini e le immancabili biciclette costruiscono un ambiente che rende e per nulla spoglio di una bellezza tipica. Il ritmo frenetico del racconto, però, stona con l’atmosfera, immobile – quasi assente, passiva – del paesaggio; nondimeno, il movimento irrequieto, ma ordinato e lineare, dei personaggi nello spazio e nella storia racconta quel che deve raccontare, senza strascichi o sfumature.
La Dolce Villa, tra il bianco e il nero nessuna sfumatura
La Dolce Villa sorprende, come già detto, per i suoi scenari. Ritagli di Toscana tra la Val d’Orcia e i Cinecittà studios di Roma – iconica, per quanto ruffiana, la scena con due falsi Marcello Mastroianni e Anita Ekberg esposti come pezzi da museo – entro i quali è stata interamente ricreata la villa che dà il titolo al film. È proprio quest’ultima che tuttavia fatica ad imprimersi negli occhi. Nella sua ruralità rimane una carcassa di nave sul fondale della narrazione, che invece punta a tutt’altra direzione. Fino all’ultimo, la villa resta nei pensieri di Olivia ed Eric, ma mai la vediamo concretizzarsi in un vero e proprio personaggio di primo piano. Più volentieri, sono i protagonisti umani a tessere le fila del discorso, che si arricchisce a poco a poco di elementi romantici.
Ciò che si potrebbe provare guardando il film di Waters, sarebbe una sensazione di familiarità e di “comfort”, per la quale lo spettatore è guidato, dall’inizio alla fine, lungo un’unica linea che fa da traiettoria tra le estremità dello spettro visibile: tra bianco e nero, in un continuum di opposti, e nessuna sfumatura nel mezzo. Tra il dare e l’avere, tra l’amare e l’odiare, tra una villa italiana e un posto di lavoro all’estero. I personaggi vengono vorticosamente sbalzati da un estremo all’altro, prendono decisioni su due piedi e non lasciano spazio a compromessi. Un film che, se premia la natura, non altrettanto fa in verosimiglianza.
Andare dritti al punto è la soluzione
La storia d’amore tra Eric Field e il sindaco, Francesca Pucci (Violante Placido), inizia nei primi minuti ed evita di trasformarsi in qualcosa di più grande fino a metà film, in un momento di climax non necessario ma che completa un cerchio aperto in partenza. Un amore che pecca di una forse fin troppo facile risoluzione, che giunge quasi subito, e che, anche in questo caso, non accetta nuance di grigi. È un sentimento resiliente ed esemplare, che immediatamente identifica da una parte il bene e dall’altra il male. Quest’ultimo incarnato dal personaggio di Bernardo (Tommaso Basili), figura antitetica a Eric, che rispetto a lui si mostra impaziente e geloso, intento a giustificare le proprie azioni per una vendetta cieca.
La nettezza nei colori con cui alcuni temi del film vengono trattati restituisce un’immagine quanto mai cristallina dei protagonisti e dei loro amici di secondo piano – spesso e volentieri abbandonati a loro stessi – opposta a una perversa notorietà dei personaggi negativi. Una visione ingenua che però è compensata da un lato dal chiaro sentimento d’omaggio all’Italia, per la quale tutto il resto fa da semplice sfondo – valorizzata anche dalla mistura di lingue –; dall’altro da una storia che non vorrebbe far di più che raccontare.
Un genere schiettamente romantico
Se il film, in quei suoi novantanove minuti, non pareggia la pochezza di certi cliché e di certe situazioni comicamente non riuscite, mantiene il pregio di andare dritto al sodo. Senza giri di parole e preamboli, La Dolce Villa buca dove deve bucare e tace dove deve tacere, mantenendo così la propria promessa di genere schiettamente romantico. I valori dell’amore, della comprensione reciproca tra due anime che si erano perse e che in ultimo si ritrovano, allestiscono l’impianto ideale a raccontare una vicenda infiocchetta, univoca e scevra di guizzi. Insomma, (quasi) perfetta per essere ammirata come una cartolina ricordo.