Safari di Leonardo Balestrieri è tra i titoli selezionati per il concorso dei cortometraggi del Florence Queer Festival 2024. La kermesse fiorentina celebra il meglio della cinematografia LGBTQIA+ dal 27 novembre al 1 dicembre al cinema La Compagnia, sotto la direzione artistica di Barbara Caponi ed Elena Magini. Tra lungometraggi, cortometraggi ed eventi speciali anche il titolo diretto dal regista romano con protagonista Federico Cesari.
Elia interpreta bene il suo ruolo di “esca” per il gruppo di “cacciatori” del quale fa parte, ma questo ruolo ha un prezzo molto alto, il suo annullamento. Elia infatti nega la propria identità per poter sedurre giovani ignari e lasciarli poi attaccare dal resto del suo branco, ma finirà per scoprire presto che questo annichilimento non potrà durare ancora a lungo. (Fonte: Florence Queer Festival)
Nella cornice del festival abbiamo fatto alcune domande al regista Leonardo Balestrieri.
Safari di Leonardo Balestrieri
Com’è nata l’idea di questo cortometraggio? Te lo chiedo perché ho avuto modo di leggere che deriva da fatti di cronaca, quindi volevo sapere se è riferito a un fatto specifico o a situazioni più generali e ricorrenti?
Sicuramente un aspetto è ispirato a più fatti di cronaca, però quello che volevo sottolineare da quando ho avuto l’idea di realizzare Safari era una percezione (che ho – avuto – anche io) dei tempi che stanno cambiando e che si stanno anche incupendo. Con questi tempi che potenzialmente soffocano e sono soffocanti anche i meccanismi di autocensura si induriscono nell’individuo. Volevo raccontare quella che è la difficoltà nel trovare un’uscita senza banalizzare o semplificare perché comunque non si tratta solo di un trovarsi, di un capirsi a livello mentale, ma anche fisico. C’è molta fisicità perché comunque anche il corpo ha bisogno di trovare un suo linguaggio espressivo. Ci sono varie fasi, anche quella che non necessariamente coincide immediatamente con il riuscire ad amarsi, anzi magari c’è quella che accusa anni di soffocamento, come nel caso di Elia, il protagonista del cortometraggio.
Ciò che conosce Elia è violenza e, quindi, purtroppo il suo linguaggio nel momento decisivo è come se fosse un linguaggio zero: è quello della spinta, ma in realtà non è quello che appare. Infatti subito dopo si disgusta di sé e del suo gesto. In questo senso il finale è aperto nel senso che può essere interpretato o come circuito chiuso (lui che rientra) o come apertura (non conosciamo il domani di Elia dove magari c’è una rinascita.
In generale ci tenevo a mostrare la difficoltà, il non sapere immediatamente gestirsi.
Hai parlato di corporeità e, in effetti, è presente questa componente. Mi viene in mente, per esempio, a tal proposito, la scena d’amore nella quale c’è questa attenzione ai dettagli e questa alternanza continua di corpi, come se fosse realtà e finzione, verità e sogno.
È esattamente così infatti.
La paura del silenzio
E poi è una corporeità che contrasta molto con il silenzio. In Safari c’è molto silenzio, i personaggi parlano veramente poco.
Sì, parlano pochissimo e quando parlano quello che dicono non c’entra niente.
È un silenzio che fa quasi più paura delle parole. Forse perché oggi non siamo abituati a tanto silenzio, anzi cerchiamo di parlare sempre, riempiendo ogni vuoto. Il silenzio diventa quasi un disagio ed è assordante.
Esatto. Volevo puntare l’attenzione sul non riuscire a parlare, sull’avere e non avere timore nel comunicare. E questo non è un aspetto solo di Elia, ma anche degli altri personaggi. Non a caso non volevo creare dei personaggi che fossero solo di contorno (anche se è chiaro che poi in un cortometraggio c’è poco tempo).
Mi piace pensare che il fatto di non parlare alimenti questa reazione di Elia. Viene da domandarsi chissà se magari, parlando con qualcuno del gruppo, magari il personaggio femminile possa esserci un’apertura, una comprensione, un cambiamento. Anche da parte di chi magari non in prima persona vive quel tipo di esperienza. Poi questo silenzio si sposa bene anche con il tipo di luogo, che è un po’ un non luogo, uno dei tanti non luoghi della contemporaneità ed è coerente con questa censura dell’identità. Lo vedo come un insieme che vuole rendere un senso di ansia e di soffocamento.
Il gruppo che gioca a lupus
Una scena sulla quale mi vorrei soffermare è quella in cui il gruppo gioca a lupus. Secondo me lì si ha per la prima volta la percezione di quello che vediamo, di chi sono i protagonisti e di cosa fanno e come si comportano. La sensazione iniziale è quella di star vedendo una setta. Soltanto un istante dopo si capisce che stanno in realtà giocando. Trattandosi poi di un gioco di ruoli è ancora più significativo e rappresenta un po’, se vogliamo, la descrizione del gruppo che, però, non è all’inizio del corto, ma solo in un secondo momento.
Sì, è vero. Per parlarti di questa scena, però, devo fare una premessa. Nel mio piccolo cerco di pianificare il più possibile, di prepararmi nel dettaglio perché questo mi permette poi, paradossalmente, di lasciare spazio un po’ anche all’improvvisazione. Ecco, la scena del lupus è una scena creata a due giorni dalle riprese. In realtà in quella scena doveva esserci una festa con tanta gente, che non abbiamo potuto realizzare e, quindi, abbiamo pensato a questo escamotage per rendere anche credibile e significativa la scena.
Leonardo Balestrieri: guardare il mondo da un’altra prospettiva in Safari?
Collegandomi al discorso del significato delle scene volevo chiederti di quello che è un po’ il messaggio di Safari. Se si volesse individuare un messaggio, una sorta di morale è corretto, secondo te, racchiuderlo nella frase provare a guardare il mondo da un’altra prospettiva? Mi viene in mente questa frase perché Elia è, in qualche modo, sia vittima che carnefice allo stesso tempo.
Sicuramente Elia quando decide di fare certe azioni diventa carnefice. In generale, però, mi sento di dirti che secondo me il cambio di prospettiva ce lo introduce forse il personaggio del cassiere, mostrando disponibilità e comprensione. Nonostante tutto viene incontro, all’inizio cerca di capire se va tutto bene. Elia rappresenta questa doppia faccia di buono e cattivo insieme, mentre il cassiere è quello che va incontro a quella complessità che tutti noi ci portiamo dentro.
Federico Cesari è il protagonista del corto di Leonardo Balestrieri
Il protagonista di Safari è un volto noto: Federico Cesari. Perché hai scelto proprio lui? La scelta è stata dettata anche dalle sue interpretazioni? Te lo chiedo perché la maggior parte dei titoli ai quali ha preso parte Federico Cesari lo rappresentano come buono, positivo. Questo fatto ha influito nell’ottica di cui parlavamo di vittima e carnefice?
Anche per questa risposta devo premettere una cosa: Federico ha uno spessore anche fuori dal lavoro che mi ha colpito molto e ha compreso subito il personaggio. Poi penso anche che quando si ha una persona come Federico, un attore professionista che si mette a disposizione è bello e interessante vederlo in altri tipi di ruoli.
Effettivamente la tua domanda mi fa riflettere, è vero che sono più ruoli da personaggi buoni quelli interpretati da Federico, però su questo non ci ho pensato troppo, anzi non mi preoccupava il fatto di vederlo in un altro tipo di personaggio.
Forse indirettamente si può collegare a questo e la si può considerare una scelta legata a questo aspetto.
Poi è stato veramente bravo, anche in certi momenti arrivando a reggere con lo sguardo il peso di tutta una scena.
La scelta del titolo
Il titolo Safari a cosa è dovuto? Richiama il fatto che viviamo costantemente in una giungla e non si sa mai cosa potrebbe succederci? O magari c’è anche un richiamo al non luogo di cui parlavamo?
Forse è più legato al concetto di caccia, di adescamento del gruppo, dell’andare a cercare. Anche nella scena all’inizio volevo dare questa sospensione con le inquadrature e il montaggio che danno il senso un po’ di accerchiamento.
Infatti non si capisce cosa sta succedendo e non ci si aspetta assolutamente quello che poi accade.
Esatto, proprio come la preda che quasi all’ultimo si accorge.
E poi in quella scena ti soffermi su quel verme, anche quello è un po’ un richiamo all’idea di predatore.
Sì, in qualche modo sì e quello l’abbiamo portato appositamente appunto per ribadire che do spazio all’improvvisazione, ma in generale mi piace partire da qualcosa di preparato.
Tra Florence Queer Festival e nuovi progetti
Il corto è stato selezionato dal Florence Queer Festival. Quali sono le tue aspettative?
Naturalmente mi fa veramente tanto piacere perché questo non è il primo festival che lo seleziona, ma è il primo festival queer e quindi sono molto contento anche per poter affrontare la tematica.
Leonardo Balestrieri ha già qualche progetto in cantiere?
Sì, però ancora tutto top secret.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli