Anteprima nazionale a Firenze per Io non sono nessuno di Geraldine Ottier. Il film, in concorso per il Premio Pride alla 22esima edizione del Florence Queer Festival racconta la vita della prima donna a dichiararsi omosessuale in Italia, Mariasilvia Spolato. Il film è presentato, come detto, a Firenze all’interno della kermesse che celebra il meglio della cinematografia LGBTQIA+ dal 27 novembre al 1 dicembre al cinema La Compagnia, sotto la direzione artistica di Barbara Caponi ed Elena Magini.
Un ritratto lucido e doloroso del coraggio di Mariasilvia Spolato, prima donna in Italia a dichiarare apertamente la propria omosessualità. Fondatrice della storica rivista Fuori! e del Fronte di Liberazione Omosessuale, la sua lotta per i diritti della comunità LGBT la porterà a perdere tutto, dalla sua carriera di insegnante di matematica alla sua famiglia. Dando vita al suo ricordo “io non sono nessuno” rappresenta il riscatto che le è stato negato in vita. (Fonte: Florence Queer Festival)
All’interno del festival abbiamo fatto alcune domande alla regista Geraldine Ottier.
Geraldine Ottier e il suo Io non sono nessuno
Com’è nata l’idea di raccontare questa storia e perché hai scelto di ricorrere al film di finzione e non al documentario, per esempio?
L’idea è nata dopo il 31 ottobre 2018, data in cui Mariasilvia Spolato è deceduta. Qualche giorno dopo sono uscite una serie di articoli sul suo conto che mi avevano immediatamente colpita tant’è che poi ho partecipato a un concorso di cortometraggi e, a distanza di 10 giorni dalla sua morte, ho girato un corto con quei pochi elementi che ero riuscita a estrapolare dalle notizie, cioè l’insegnante di matematica, la manifestazione, la fotografia e la vita da senzatetto. Il corto raccontava quello e, una volta realizzato, ho proprio pensato che potesse diventare un film perché questa storia era veramente troppo bella e troppo interessante per non essere diffusa.
Ma a colpirmi particolarmente è stata la dignità di Mariasilvia perché lei ha raccontato qualcosa di sé più o meno verso fine vita, cioè lei è stata nell’oscurità per 40 anni quando avrebbe potuto raccontare la sua storia e anche fare la vittima perché ne aveva anche tutto il diritto.
Anche per questo ho deciso di fare un film e non un documentario. E poi perché a me piace molto più raccontare attraverso la fiction o comunque il romanzato, cercando di dare io un apporto, un contributo al racconto.
Anche perché magari traspare anche la tua visione delle cose attraverso la fiction. Puoi giocare, anche con lo stile, per plasmarlo sulla base di quello che vuoi raccontare. In questo senso, per esempio, i colori sono molto particolari, patinati tanto da sembrare materiale d’archivio.
Sì, e poi ho fatto un lavoro di ricerca per quasi quattro anni perché si trovava veramente pochissimo, quindi anche fare un documentario sarebbe stato molto più difficile. Poi c’era il fatto che c’erano anche dei buchi temporali e quello che ho cercato di fare per sopperire a queste mancanze è stato prendere tutti gli elementi che ho trovato e cercare di dargli una spiegazione. Mi sembra di aver dato, in questo modo, una spiegazione alle sue scelte, anche perché scegliere di diventare una senzatetto per quarant’anni è una scelta sulla quale ci si interroga, così come il vivere sui treni.
Infatti è una figura interessante e poco conosciuta. Per questo ti chiedevo il perché della fiction perché potevi avere ampia scelta non essendoci altre opere a riguardo.
In generale sono stati quattro anni di ricerche. E ti posso dire che l’80% di quello che c’è nel film è reale. Poi ovviamente ci sono anche delle cose romanzate perché, come dicevo prima, per arrivare a determinate spiegazioni, ho raccontato dei contorni che comunque sono realistici (per esempio quello che accade a Filippo è qualcosa di drammaticamente moderno, così come il ragazzo bullizzato a scuola che lei cerca di difendere). Ancora oggi esistono queste cose e, infatti, ci sono una serie di elementi nel film che richiamano purtroppo la modernità che non sono stati messi lì casualmente.
Realtà e finzione
A tal proposito ti volevo chiedere qualcosa in merito al libraio che sembra essere colui in grado di tendere la mano a Mariasilvia, come una sorta di legame tra lei e noi. Si tratta di una figura reale?
La figura del libraio nasce perché in realtà lei era un’appassionata di lettura tanto da dire che i libri sono la cosa più preziosa che noi abbiamo. Chi la ricorda a Bolzano mi ha detto che la trovava per terra sui marciapiedi dove lei non chiedeva mai l’elemosina, ma solo sigarette. E, trovandola sempre con questi libri, mi sono interrogata su dove potesse prenderli e da lì è nata la figura del libraio. E poi mi piaceva dare un pochino questa speranza e non lasciarla completamente sola. Volevo evidenziare una figura con un coraggio incredibile. Lei è partita nel 1974, poi si sono perse le sue tracce e alla fine degli anni ‘80 si è fermata a Bolzano. Poi dagli anni ‘80 al 2000 c’è un altro mondo che si è creato anche con la tecnologia e lei si è vista tutto cambiare.
Io non sono nessuno – Erica Zambelli e Graziano Scarabicchi in una scena (dal sito del Florence Queer Festival)
Visto che hai fatto riferimento a questa ricerca, come sei entrata in contatto con tutte queste testimonianze, questi ricordi?
È stata tutta una lunga ricerca di 4 anni, dal 2018 al 2022 perché poi ho fatto una prima stesura nel 2021 e nel 2022 l’ho cambiata perché avevo trovato altre notizie.
La dolce riflessione di Geraldine Ottier
Prima hai parlato della scena che vede coinvolto Filippo, l’amico di Mariasilvia. Senza spoilerare possiamo dire che è una scena di violenza. Nonostante questo non indugi sul momento, ma piuttosto sulla sofferenza e sulle conseguenze. Allo stesso modo anche le scene positive sono raccontate con dolcezza. Mi viene in mente la scena d’amore che è molto delicata. Sembra quasi che tu voglia addolcire tutto per mettere in evidenza una violenza non tanto fisica quando più sociale.
Sì, mi permetto di dire che forse questo può essere considerato un po’ il mio stile perché è qualcosa che a me piace, anche nella cinematografia che mi appassiona. A me colpiscono molto di più i film che sono violenti psicologicamente, ma non nelle immagini. Per questo in Io non sono nessuno c’è anche il fatto di raccontare non sempre usando le parole perché ci sono tante scene in musica. Così facendo faccio parlare l’emotività dell’attore e la sua espressività. Forse questo deriva dal fatto che ho studiato la lingua di segni e quindi mi si è aperto un mondo perché lì c’è una comunicazione senza la parola.
Poi c’è anche il fatto che lei è praticamente sempre da sola nell’ultima parte del film.
Io non sono nessuno – Erica Zambelli e Piero Grant in una foto di scena (dal sito del Florence Queer Festival)
La scansione temporale
Come hai deciso di lavorare utilizzando gli anni? La storia è scandita temporalmente con gli eventi principali che caratterizzano la vita di Mariasilvia, ma ci sono richiami anche alla realtà del momento.
Principalmente è stato dettato tutto dal fatto di elencare che a me spesso dà fastidio quando vedo una biografia e comincio a non capire più in che momento siamo. Per la maggior parte cerco di raccontare in maniera progressiva come siamo arrivati dalla ragazza che abitava in una piccola città, la Padova degli anni ’60, all’attivista di Roma.
E l’escamotage della foto che racchiude in qualche modo l’intera storia di Mariasilvia?
Quello è assolutamente reale perché anche la foto di lei da anziana che si trova se si fa una ricerca su internet è una foto che è stata scattata poco prima che lei morisse da questo fotografo che era andato in questa casa di cura per scattare le foto ai clienti. Lei si fece fotografare e mi piaceva che da questo flash del fotografo noi raccontassimo la sua vita.
Questo perché la fotografia è un po’ il fil rouge di tutto il film per come la vedo io. Lei era appassionata di fotografia (infatti ha questa fissa delle polaroid che ho inserito nel film e che tornano come ricordi), ma nonostante abbia questa passione è proprio una fotografia che le ha rovinato la vita. Quindi l’idea è che dallo scatto di questa foto finale in cui lei è anziana sia partito tutto.
Il titolo e altri elementi
Io non sono nessuno è il titolo di questo film. Lo hai scelto perché lei non è nessuno nel senso di essere la rappresentante, in qualche modo, di un gruppo, ma senza ergersi a paladina (è solo la più coraggiosa e quella che non ha paura e non si nasconde) e quindi è come tutti? O perché non ci devono essere distinzioni in generale e quindi tutti sono nessuno in qualche modo?
No, non l’avevo vista così. Io l’ho pensato in questo modo collegata al fatto che è stata dimenticata, quindi voi non sapete chi sono, ma sono stata una figura importante. Quindi io non sono nessuno cioè sono stata qualcuno, ho fatto.
Prima di concludere volevo chiederti qualcosa sulla musica e sugli attori.
A livello attoriale credo ci sia stato un lavoro importantissimo. Con la protagonista, Erica Zambelli, abbiamo lavorato tanto. Lei ha cercato di comprendere un po’ la sua psicologia e non è stato facile (per esempio le scene in cui inizia a sentire le voci nella testa). Allo stesso modo sono molto contenta anche del resto del cast che vorrei citare per intero, ma che riassumo con alcuni nomi: Susanna Marcomeni, Martina Carletti, Graziano Scarabicchi.
Poi c’è stato un lavoro enorme anche sul suono (che ha vinto un premio come miglior sonoro in un festival in Brasile) grazie a quanto fatto da Alice Tamburrino, Daniel Casalegno e Andrea Malavasi. E non possono non menzionare le musiche dei Rumore Rosa con una musica che parla da sola.
Ultimo ringraziamento per la produzione a Tyche Productions e Salvatore Scarico per avermi dato questa opportunità e aver creduto nel film.
Geraldine Ottier: anteprima al Florence Queer Festival
Al Florence Queer Festival ci sarà l’anteprima nazionale. Quali sono le aspettative di Geraldine Ottier?
Non lo so, ormai sono quasi sei anni che sono dietro a questo film. Spero che piaccia e che possa far conoscere la persona protagonista che merita di essere nota. Lei non si è mai voluta raccontare e ha sempre mantenuto una dignità. Penso sia la parola chiave per descriverla.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli