Il cortometraggio ecuadoregno The Strange Case of the Human Cannonball racconta con amara dolcezza il dramma della migrazione. Roberto Valencia (Beto Val), qui per la prima volta nella doppia veste di regista e sceneggiatore, consapevole delle fragilità della tematica, le coglie con delicatezza, le rielabora in chiave favolistica e, con la magia dell’animazione, attribuisce loro una dignità profondamente poetica.
Trama
Il corto si apre con una soggettiva in volo. Un uomo sta precipitando nella piazza di un paesino murato. Nessuno lo ha mai visto prima. Nessuno sa chi sia. Non si conosce la sua origine, né tantomeno il motivo della sua comparsa. Il suo arrivo getta scompiglio nella quotidianità dei soli cinque abitanti che, di fronte all’accaduto, non sanno come comportarsi. Mentre l’uomo è ancora immobile e privo di sensi, i compaesani decidono che, se si deve fare qualcosa, va fatta subito, prima che lo sconosciuto si risvegli.
Elementi essenziali al fine di un messaggio
Urge ribadire un concetto che la comune logica, alcune volte, tende a dimenticare: la connessione con l’opera d’arte non dipende dall’età del fruitore, ma dalla capacità di captarne le sensibilità. The Strange Case of the Human Cannonball ha tutte le carte in regola per essere in tal senso un’opera universale, in grado di intercettare le sfere emotive di molte persone. La visione di questo cortometraggio ci insegna a diffidare di chi ancora oggi sottovaluta le potenzialità dell’animazione. Il regista invece le conosce, ne è consapevole e decide di sfruttarle al meglio.
Beto Val costruisce una messa in scena, dando prova di grande intelligenza, dimostrando di avere ben chiaro qual è il limite più grande che il cortometraggio impone: il minutaggio. Riduce perciò tutto all’essenziale: uno spazio ben definito, pochi personaggi, una splendida canzone finale e una sceneggiatura limpida e lineare. Prende in prestito qualche spunto per il design visivo da grandi animatori del passato, come Jirí Trnka, e da alcuni del presente, per esempio Claude Barras, e crea un piccolissimo mondo dalle fisionomie e dai contorni irresistibili. La vicenda che prende vita per pochi minuti risveglia così un vortice di emozioni. The Strange Case of the Human Cannonball fa sorridere, riflettere, arrabbiare, commuovere, ma anche sperare. Sperare nella possibilità che gli occhi interiorizzino, che le menti comprendano e che i cuori accolgano il suo messaggio di tolleranza verso lo straniero.
The Strange Case of the Human Cannonball, l’esperienza ecuadoregna riflette quella del mondo intero
Il nobile intento di Beto Val in un primo momento fa di The Strange Case of the Human Cannonball un’opera portavoce della condizione migratoria in Ecuador. Quito è sempre stato uno dei principali Paesi di passaggio per molti migranti sudamericani. Una volta questi provenivano soprattutto dai confini meridionali, per dirigersi poi verso gli Stati Uniti. Negli ultimi anni, a causa delle condizioni difficili in Venezuela e Colombia, i profughi hanno cominciato a giungere più intensamente dal Nord e dal Nord-Est. Se a questo si aggiunge che la Costituzione ecuadoregna è più tollerante e progressista in materia migratoria di quelle dei Paesi confinanti, non è difficile immaginare come l’Ecuador risulti una meta più appetibile anche per stabilizzarcisi. Tuttavia The Strange Case of the Human Cannonball testimonia l’attuale dilagarsi del malcontento tra gli ecuadoregni, a causa della crisi economica.
Indicare come capro-espiatorio lo straniero, tendenza alimentata anche dal nuovo governo con a capo Daniel Boa, candidato delle destre oligarchiche e finanziarie del Paese, diventa ovviamente la soluzione più facile, l’atto con cui sviare lo sguardo dalle vere cause di una crisi. Ed ecco che questa contestualizzazione politica arricchisce la figura del protagonista di interpretazioni allegoriche e metaforiche. Inerme come il profugo, come l’altro che si ritrova da solo in una realtà che non lo accetta. Una condizione che Beto Val sa essere globale. Per questo motivo sceglie di interrompere un suggestivo volo sopra le nuvole, dove i confini tracciati non esistono e ognuno si ritrova uguale all’altro, inserendo una serie di fotografie che ritraggono migranti di ogni parte del mondo. Niente può essere così frainteso e tutto è adatto alla visione e all’intendimento di un pubblico di qualsiasi generazione.