“La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia.”
Diceva Franco Basaglia, il “dottore dei matti”. Psichiatra e neurologo a cui si deve appunto la famosa legge Basaglia, per cui nel 1978 vennero definitivamente chiusi i manicomi. Ed è proprio nel 1978 che si ambiente La Fuga dei Folli.
Un gruppo di quattro internati fugge dal manicomio per cremare un amico, il Calabrese, apparentemente morto a seguito di un elettro-shock.
Il Generale, versione alternativa del classico Napoleone, Nina, un omosessuale, Irascibile, un nano dalle frequenti crisi nervose e Sordomù, un sordo-muto, appunto.
Dopo aver recuperato una jeep, intraprendono un viaggio alla ricerca del casolare dove il Calabrese avrebbe voluto essere seppellito, ma non riescono a coordinarsi. Finché incontrano una ragazza…
Il regista assieme all’attrice Demetria Bellini
La fuga dei folli è un racconto dolce-amaro sulla condizione dei cosiddetti matti, la cui percezione generale – anche oggi che vengono chiamati rispettosamente malati mentali, nonostante ci sia maggiore sensibilizzazione e maggiore (apparente) inclusività – resta ancorata a stereotipi e classificazioni sommarie. Categorie mentali che non trovano alcun riscontro nella realtà effettiva.
Fino alla chiusura dei manicomi, molte condizioni che non presentavano in realtà alcun carattere patologico, venivano comunque considerate problematiche, quindi oggetto di segregazione. Tra le tante, basti pensare all’omosessualità o diverse forme di disabilità.
Il regista Emilio Fallarino gioca con questi preconcetti, rendendo la follia in tutta la sua umanità: la convivenza necessaria di queste due condizioni, che generano l’energia pura e sincera della vita nella sua forma autentica, nel desiderio di libertà.