Anthony Hopkins in ‘Freud L’ultima analisi’ di Matt Brown
Ambientato il 3 settembre del 1939, nello studio di Freud a Londra, il film contrappone lo psicoanalista viennese a un teologo irlandese. Al cinema dal 28 Novembre
Arriva al cinema Freud L’ultima analisi, diretto da Matt Brown . Il film ha chiuso recentemente la XVII Edizione del Tertio Millennio Film Fest a Roma.
C.S.Lewis (Matthew Goode), romanziere irlandese e docente di Oxford, autore del volume Le due vite del pellegrino, sfidando il pensiero freudiano, afferma che Dio esiste. Incuriosito dal suo scritto, il Padre della psicoanalisi, lo invita nel suo studio per un confronto sulla fede.
I due non si risparmiano stoccate e frecciatine. Freud (Anthony Hopkins) è però divorato da un cancro alla mascella e, per lenire la sua sofferenza, attende con ansia che la figlia Anna (Liv Lisa Fries) gli procuri la morfina.
Nel pomeriggio, Lewis saluterà l’illustre scienziato viennese che, prima di congedarlo, lo irriderà con una deliziosa burla.
Il film è in sala dal 28 Novembre distribuito da Adler Entertainment.
Ambientato nello studio di Freud a Londra
Nel rendere l’ipotetico incontro tra Lewis e Freud, il regista americano ambienta la vicenda a Londra il 3 settembre 1939, due giorni dopo l’invasione tedesca della Polonia, data nella quale Francia e Inghilterra dichiarano guerra alla Germania.
Stilisticamente, Freud L’ultima analisi risente dell’impianto teatrale di Freud’s Last Session di Mark St. Germain, l’opera dal quale il film è tratto.
Brown, infatti, nel rispetto dell’unità di tempo e di luogo, lascia che la vicenda si svolga in un’intera giornata e, prevalentemente, nello studio di Freud a Londra, città nella quale si è rifugiato, dopo essere stato costretto ad abbandonare Vienna per le persecuzioni antisemite.
La confezione è quella classica, e Brown punta tutto sulla contrapposizione tra le posizioni di Freud, scettiche e razionali, e quelle incrollabili di Lewis, fervente cattolico.
Un film pessimista sul destino dell’uomo
Anche se la disputa tra i due contendenti non vede né vincitori, né vinti, le argomentazioni scientifiche e l’arguta vis dialettica di Freud primeggiano su quelle di un compassato e intimidito Lewis.
Dopo aver ricordato di aver perso la figlia ventisettenne e il nipotino di cinque anni per malattie, Freud si rivolge a lui e gli chiede:
C’è tanto dolore in questo mondo. É il piano di Dio?
Nel film, Freud provoca continuamente Lewis e, con un sorriso sornione, afferma inoltre che Gesù non è poi tanto diverso dai tanti matti, conosciuti nel corso della sua lunga carriera, che credevano di essere Dio.
In Freud L’ultima analisi, la religione é un’illusione
Stranamente, per tutta la durata del film, non c’è nessun accenno a L’avvenire di un’illusione, scritto freudiano del 1927, fondamentale per comprendere il suo scetticismo nei riguardi della religione, definita una nevrosi infantile, frutto di un’illusione umana.
Secondo lo psicoanalista viennese, infatti, quando si è bambini si ama e adora il proprio padre, immaginato come forte e invincibile. Dopo aver preso atto delle sue imperfezioni e averlo ucciso nella fantasia, una volta cresciuto, l’uomo vagheggia un Dio onnipotente e perfetto che non lo abbandona e veglia su lui notte e giorno.
Il regista di Portland spezza la narrazione con alcuni flashback di Freud bambino, attratto dall’oscurità delle foreste, e quelli di Lewis, traumatizzato dalla guerra e impegnato in un battaglione di fanteria.
In verità, il titolo del film dell’edizione italiana, diverso dall’originale, è fuorviante e, sin dall’inizio si intuisce che Lewis non è nello studio di Freud in veste di paziente, ma in quelle di studioso di questioni teologiche.
Addirittura, nelle ultime battute, è lo stesso Freud che si stende sul lettino e lascia trapelare il suo dissenso per la passione della figlia Anna per Dorothy Burlingham (Jodi Balfour). La stessa Anna è descritta come una donna fragile, vittima dell’amore edipico, e morbosamente attaccata a un padre soffocante, egoista e ingombrante.
Una confezione pregevole e mai patinata
Il regista prova a ricostruire fedelmente lo studio di Freud, noto collezionista di oggetti e statuine antiche (mancano in verità quelle egizie e romaniche che amava tanto), e non tralascia di mostrare il famoso drappo che ricopriva il lettino sul quale si sdraiavano i pazienti che lo psicoanalista analizzava.
Un film che ripropone nuovamente la figura di Freud sul grande schermo, nonostante il pessimo rapporto che, in vita, lo psicoanalista viennese ebbe con il cinema.
É noto, infatti, come non amasse affatto al Settima Arte. Impegnato a dare credibilità al corpus scientifico delle sue teorie, rifiutò nel 1924, 100.000 dollari, che gli aveva proposto Samuel Goldwin affinché collaborasse alla stesura di copioni incentrati su storie d’amore tra personaggi famosi.
Lo stesso Freud declinò anche l’offerta di supervisionare la sceneggiatura de I misteri di un’anima, diretto da George Wilhelm Pabst e bacchettò Karl Abraham, al tempo presidente della Società Psicoanalitica Internazionale, e Hans Sacks che aderirono all’invito.
Il motivo era evidente. Al tempo, il cinema veniva letto come un fenomeno da baraccone e Freud temeva che mettere la teoria psicoanalitica al servizio di un’arte, non ancora credibile, fornisse il fianco ai suoi detrattori.
Tutti i film con Freud sullo schermo
Anthony Hopkins, un po’ troppo legnoso, si aggiunge alla lista dei grandi attori che hanno vestito i panni dello psicoanalista viennese. Il primo fu Montgomery Clift, in Freud passioni segrete, di John Houston (1962),
Seguirono, poi, Alan Arkin in Sherlock Holmes- Soluzione 7%, di Herbert Ross, (1976); Alec Guinness in Un inguaribile romantico di Marshall Brickman (1983,); Remo Remotti in Sogni d’oro, di Nanni Moretti (1981) e Viggo Mortensen in A dangerous method, di David Cronenberg (2011).
Freud L’ultima analisisarà proiettato, in anteprima, e fuori concorso, il16 novembre alle 21.00 al Cinema delle Provincie di Roma. Nelle sale italiane il prossimo 28 novembre, distribuito da Adler Entertainment.
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