Arriva al cinema Sulla terra leggeri, diretto da Sara Fgaier e prodotto da Limen e Avventurosa con Rai Cinema, presentato nella sezione del concorso ufficiale al trentesimo MedFilm Festival di Roma, dopo il suo esordio alla precedente edizione del Locarno Film Festival, dove era in lizza per il Pardo d’oro.
La regista (classe 1982), al suo primo lungometraggio, pennella un viaggio mentale nel passato del protagonista, un docente di mezza età, dove un incontro d’amore di gioventù diventa un’ancora, una rivelazione, un’epifania contro un accecante oblio. Un’opera in bilico tra lirismo e squarci di sperimentazione, che comprende nel suo cast Andrea Renzi, Sara Serraiocco, Emilio Francis Scarpa, Lise Lomi. Il film sarà nelle sale dal 28 novembre 2024, distribuito da Cinecittà Luce.
Un diario di luce nelle tenebre
Nell’appartamento di un palazzo antico di una città di mare, Gian, un professore di etnomusicologia, lotta contro l’oscurità di un’improvvisa amnesia. Miriam, la figlia che non riesce più a riconoscere, gli consegna un diario, scritto a vent’anni, che ruota tutto intorno a Leila, la ragazza con cui ha scoperto l’amore nell’arco di una notte. L’intensità di questo sentimento spinge Gian a ritrovare se stesso e a vivere una rivelazione. Cosa accade se non ricordiamo più l’amore della nostra vita?
Sulla terra leggeri deve il suo titolo a una frase pronunciata nel film, mentre avvampa un candido amore passato che prende per mano il protagonista, Gian, e traccia nella sua identità un segno incisivo, ora sepolto dall’amnesia, ma non del tutto evanescente. Sul crinale della leggerezza che diventa leggiadria, la regista cesella il rimo del racconto, intessuto di luce e buio, di scoperta e di dolore, soprattutto per chi vive intorno a Gian. Con un gusto per la messinscena poetica delle immagini, Sulla terra leggeri persegue gli slanci vitalistici della libertà nelle cadenze del sentimento, nell’oscurità della perdita che svuota l’esistenza, infine nel ritrovamento che scorre in un percorso di conoscenza e di riconquista. Perché il passato “non è una terra straniera”.
Citando le parole di Sara Fgaier, il film conduce con impalpabile forza drammaturgica a una verità impegnativa:
“Cercare di salvare dall’oblio chi siamo e chi siamo stati. Non si tratta di ricostruire il passato ma di scoprirlo, sforzandosi di essere all’altezza della prova più difficile: perdere qualcuno ed imparare a ritrovarlo”.
Influenze e personalità d’autrice
Si avverte la lezione dei maestri di Sara Fgaier in Sulla terra leggeri, in quella rarefazione estetica che non disdegna affatto l’accuratezza dell’inquadratura, sulla scia del cinema di Pietro Marcello con cui vanta una lunga collaborazione, poi nel sapiente montaggio, labirintico, spiazzante, ma anche dolcemente levigato, frutto di anni di apprendistato e professionalità a fianco di Walter Murch e Gianfranco Rosi.
Infine, si impone con grazia defilata tutto il sentore figurativo del mare, come di rado si è percepito negli ultimi anni sul grande schermo, nonostante l’affinità elettiva che il nostro cinema ha coltivato nella sua storia con questo locus: qui arricchisce la sinfonia diaristica del film grazie ai natali liguri e alle origini tunisine della regista stessa, che sa coglierne il suo segreto senso di voracità di vita e di sentimento.
Sulla terra leggeri vanta anche un’insolita ricercatezza formale con un repertorio di immagini del reale, tratte da cineteche e archivi museali, scatti di vita famigliare privata che tentano di ampliare i punti di vista di una narrazione fin troppo interiorizzata e complessificano la fatica di conoscenza del lavoro mnesico, senza però intaccare la fluidità del viaggio percettivo del protagonista.
Non solo, anche frammenti eterogenei e vignette vengono incastonati rilanciando una prova di stile, ambita e riuscita, che però non sottrae il lungometraggio da alcuni vuoti: un respiro più universale che interpelli intimamente lo spettatore, una presa più definita sul personaggio su cui aleggia un eccesso di astrazione, una più articolata spazialità di sguardi e di storie. Smagliature che non inclinano troppo la premessa di una futura filmografia registica innovativa, dove la sperimentazione si coniuga con una sensibilità che è leggera e profonda insieme.
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