Nel concorso internazionale del Festival dei popoli 2024 c’è anche Angry Spirits di Iris Pakulla.
Ainur è una giovane donna che ha vissuto come nomade della steppa della Mongolia. Oggi abita nella moderna capitale di Ulaanbaatar dove, per mantenere la famiglia, lavora come ballerina in uno strip club. La donna è tormentata dagli incubi, per cui decide di visitare uno sciamano per scacciare gli spiriti maligni che si sono impossessati di lei. Prende il via un viaggio che la riporterà nella terra natale, il deserto dei Gobi, dove Ainur cerca di recuperare la pace interiore. (Fonte: Festival dei Popoli)
Alla regista, scrittrice e antropologa ambientale Iris Pakulla abbiamo fatto alcune domande, nel contesto del Festival dei Popoli.
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Iris Pakulla e il suo Angry Spirits
Ho letto che la tua ricerca per il dottorato si concentra sull’importanza di riconoscere il diritto a un ambiente intatto come diritto umano fondamentale. Ed è quello che fai con questo documentario e che in qualche modo fa Ainur, la protagonista. Come l’hai conosciuta?
Prima di questo faccio una breve descrizione di come le persone in Mongolia recepiscono l’ambiente. Innanzitutto è un paese buddista e per molte persone l’ambiente è la vita ed è relazionato con il karma. Quindi se faccio delle cose buone, le cose buone torneranno a me. E per cose buone si intende, tra le varie cose, non distruggere il paese. Se lo fanno, si ha la sensazione che arriverà qualcosa di male.
L’idea del film è, in un certo senso, trattare la sua esperienza di sfruttamento nel settore sessuale con l’ambiente. L’idea è collegare la sua storia con l’ambiente, nel senso che quello che succede in una scala più grande, ha comunque un impatto sulla vita.
Riguardo alla mia ricerca posso dire che quando parliamo dell’ambiente pensiamo che è solo l’ambiente intorno a noi, ma in realtà è qualcosa di molto più profondo perché ha a che fare con la nostra salute, l’anima, il nostro benessere, e così via. Gli abitanti della Mongolia, in questo senso, hanno una comprensione molto profonda dell’ambiente.
‘Angry Spirits’ di Iris Pakulla – Ainur
E infatti si percepisce la forza e la potenza dell’ambiente nel film. Ci sono molte scene che vanno in questa direzione con grandi spazi senza confini.
Gran parte dell’ambiente è asciutto a causa della miniera. Se pensiamo al cambiamento climatico, per esempio, ti posso dire che io ero molto impressionata quando mi trovavo nell’area di fronte alla Cina con il deserto dei Gobi. Ero molto spaventata e impressionata quando sono andata lì per la prima volta perché tutto il paese era nero, non c’erano animali, non c’erano insetti.
Quindi quando pensiamo al cambiamento climatico pensiamo al calore climatico, ma non lo visualizziamo in questo senso, cioè come una tragedia. In realtà tutto il nord della Cina, il deserto dei Gobi e la Mongolia diventano un deserto nero, senza vita, perché c’è lo sfruttamento del terreno e le condizioni climatiche che si modificano. Ero molto, molto spaventata, perché in Europa lo vediamo come qualcosa di molto lontano.
L’inizio e i contrasti
L’inizio del film è veramente importante e significativo. Quel forte vento iniziale e lei che balla nella nebbia per contrastarlo e combatterlo in un luogo indefinito. Si può considerare un tentativo di lotta contro la natura, ma senza successo perché non si può impedire alla natura di crescere e svilupparsi? Anche perché dopo questa scena c’è il buio improvviso nella foresta e lei che corre e scappa, cercando un rifugio nella modernità. E infatti dopo vediamo la città moderna che contrasta con quella naturale.
In un certo senso sì, sono d’accordo. Volevo che si creasse un contrasto tra i due spazi, visivamente. C’è da una parte questo paese sovietico, e poi dall’altra questo deserto con il vento e nient’altro. E i due appartengono allo stesso spazio. Penso che ciò che mi è interessato maggiormente è che tutto questo diventa il suo intero mondo. Lei è stata imprigionata in un vento, sta cercando di combattere, di capire cosa le sta succedendo. Ed è stata una scena difficile da filmare.
C’è poi un contrasto tra giorno e notte, che lei nasconde in sé grazie/a causa del lavoro che fa (notturno) e che te rendi attraverso le immagini e i colori.
Sì, perché la notte è il momento in cui iniziano i sogni, e poi durante la notte sei più fragile, il tuo corpo non è così consapevole. Poi vai a dormire e sei più vulnerabile a cose che possono accaderti. La notte è un mondo a sé in cui le cose accadono. E per lei è così, perché lei aveva questi sogni solo durante la notte. Quindi si può pensare che c’erano spiriti che cercavano di prenderla, ma anche che forse era solo una sua scusa per ciò che stava facendo. In ogni caso la notte ha un ruolo molto importante.
Sogni e interpretazioni nel film di Iris Pakulla
A proposito dei sogni, a un certo punto lei dice mi sono svegliata. Sembra quasi che l’intero documentario sia un sogno o che spetti al pubblico decidere se quello che vediamo è un sogno o la realtà.
Sì, esattamente. Penso che sia il punto principale perché per me era interessante, come antropologa, portare questa esperienza senza giudicare e senza dare un’interpretazione. Guardando i sogni o le sensazioni che lei ha si può anche pensare che possa avere problemi di salute mentale o una sorta di schizofrenia. La cosa importante è che non stiamo giudicando e per loro l’esperienza è una realtà. Anche se noi potremmo pensare che non è vero, la persona in questione prova davvero sofferenza e ansia. Quando si fa un film tutti vogliono sapere sempre e subito se quello che vediamo è vero o meno, ma, in realtà, non c’è bisogno di sapere esattamente di cosa si tratta. È anche la magia del cinema.
Angry Spirits di Iris Pakulla
Spetta a noi interpretare quello che vediamo sullo schermo. Ma sicuramente questi sogni, queste presenze, reali o meno, portano a una riflessione più grande, quella sull’ambiente in generale e sul rapporto tra natura ed esseri umani.
Sì e mi ricollego a quello che dicevamo all’inizio a proposito del mondo e soprattutto della visione del buddismo dove la natura fa parte di ciò che gli esseri umani fanno ogni giorno. Quindi se fai qualcosa di male nella tua vita o offendi, la natura ti si può ritorcere contro; non è solo che fai qualcosa di male, ma anche che qualcosa ti accadrà e penso che questa visione sia molto diversa dalla nostra. Noi pensiamo che l’ambiente sia qualcosa che è separato da noi, un luogo in cui andiamo e ci divertiamo, ma al quale siamo collegati in molti modi. Alla fine siamo parte di tutti questi metabolismi individuali e collettivi e penso che sia qualcosa che per me è molto importante dimostrare nel film perché siamo parte di un tutto ed è come se fossimo collegati con la natura.
I colori
E, infatti, Ainur è la prima a capirlo. Non a caso inserisce dei colori nel bianco e nero e nel grigio di una natura sofferente. Lei trova un varco, una connessione.
Perché una delle cose che succede quando non stai vivendo una vita sana con te stesso, ma anche con la tua famiglia e con tutti è che sembra che vada tutto male a prescindere. E tutto questo era ed è strettamente connesso con la natura. Io all’inizio avevo il documentario e non sapevo cosa sarebbe successo. Sapevo di tutti questi sogni e mi sono buttata per fare il film, ma non sono una psichiatra, quindi non so come si muoveranno le cose. Lei, però, ha seguito le mie indicazioni per il film e si è trasformata completamente. È diventata una persona diversa grazie al film, grazie al documentario, ma lo sono diventata anche io conoscendo e riconoscendo la terra.
Iris Pakulla al Festival dei Popoli
Il film è nel concorso internazionale del Festival dei popoli, ma è già previsto un tour?
Vorrei mostrarlo in Mongolia, sarebbe bello mostrarlo nei cinema intorno a gennaio-febbraio, anche se sono un po’ spaventata di come le persone potranno reagire a questo tipo di tematiche.
Alcuni amici mongoli e dell’Asia in generale che l’hanno visto lo hanno apprezzato perché è un film molto asiatico e questo mi ha rasserenata. Speriamo venga apprezzato.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli
Per l’intervista e le foto si ringrazia Davide Ficarola, Valentina Messina e Antonio Pirozzi, ufficio stampa del Festival dei Popoli